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STRUTTURA ECONOMICA E SOCIALE DELLA RUSSIA D’OGGI (VI)



Content:

Struttura economica e sociale della Russia d’oggi (VI)
47 – Verso la conferenza di aprile
48 – Dissenso alla conferenza
49 – Ancora la questione del potere
50 – La nuova forma del potere
51 – La chiara alternativa
52 – Un piede e l’altro piede
53 – I passi ulteriori dei due piedi
54 – Cattive mosse dei primo piede
55 – La difficile manovra dopo aprile
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Notes
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Struttura economica e sociale della Russia d’oggi (VI)

47 – Verso la conferenza di aprile

L’arrivo di Lenin, Zinoviev, Sokolnikov, Krupskaja ed altri compagni avvenne il 16 aprile 1917 nuovo stile (calendario europeo gregoriano) e 3 aprile vecchio stile (russo). Le note tesi furono lette da Lenin alla conferenza allargata già indetta a Pietrogrado dalle organizzazioni locali, il 4/17 aprile[27]. Questa conferenza era in preparazione a quella nazionale (settima) del partito del 24 – 29 (7 – 12 maggio). Conviene seguire la vecchia cronologia per non dover chiamare conferenza di maggio quella ormai nota come di aprile, e rivoluzione di novembre la classica Rivoluzione di ottobre. Lo scarto tra le due date è di 13 giorni.

Abbiamo già detto che la conferenza era già in corso e vi si stava varando la risoluzione di intesa con i menscevichi, ed anzi vi era la proposta di unificazione delle frazioni del vecchio partito socialdemocratico russo. A detta di Trotsky
«Il contrasto era troppo stridente. Per raddolcirlo, Lenin, contrariamente alla sua abitudine, non sottopose all’analisi la risoluzione accettata (già prima, in sua assenza), ma semplicemente le voltò le spalle»[28].

Abbiamo esposto lo smarrimento che provocò in tutti il discorso inatteso, con le tesi che lo ricapitolarono. La dimostrazione di Trotsky che Stalin era totalmente, con quasi tutti del resto, sconfessato, è tanto inconfutabile quanto la storia dei trucchi incredibili grazie ai quali la storiografia posteriore ufficiale ha in seguito, a poco a poco, falsato tutto il periodo e il contrasto: prima aprile – dopo aprile; lasciando, si capisce, nelle peste Kamenev e gli altri futuri «trotzkisti». Nel 1924 Stalin ammise di aver condiviso l’erronea posizione di compromesso con il governo provvisorio, che «portava acqua al mulino del difesismo» e confessò: «l’ho ripudiata solo alla metà di aprile, dopo aver aderito alla tesi di Lenin». Ma nel 1926 dice che «sono chiacchiere» e si trattò solo di «tentennamenti passeggeri: chi non ne ha avuti?». Nel 1930 viene perseguitato lo storiografo Jaroslavskij per aver fatto cenno a quei tentennamenti. La frase di Leone è felice: L’idolo del prestigio è un mostro vorace!

Finalmente nella Storia ufficiale si bollano per quella posizione semi-menscevica Kamenev, Rykov, Bubnov, Nogin e si attribuisce la reazione a Stalin appena tornato dall’esilio, a Molotov e ad altri. Noi non diamo a questa polemica eccessivo peso. Stalin = Kamenev, nel tempo anteaprile, è uguaglianza dimostrata. Ma davanti alla storia rivoluzionaria è riabilitato a conti fatti non Stalin, ma Kamenev. Potrebbe essere l’opposto, l’analisi delle forze storiche resterebbe.

Trotsky non può essere seguito quando vuole rivendicare qui un suo giudizio del 1909 sul dissenso tra le «due tattiche» secondo cui vi erano elementi anti-rivoluzionari nella tesi menscevica e in quella bolscevica, i primi tali che già allora affioravano, i secondi tali che sarebbero affiorati solo in caso di vittoria rivoluzionaria[29]. Questo sarebbe accaduto in Aprile, e sarebbe stato dovuto a Lenin il «riarmo» del partito, espressione usata da Leone nel 1922 che scatenò poi le ire degli stalinisti. Trotsky vi innesta la sua teoria del capo geniale che esprime le masse più rivoluzionarie del partito, e il partito più rivoluzionario della sua «macchina» organizzativa.

In queste idee è la prova del tardivo avvicinarsi di Trotsky a Lenin e di una parte di verità della controcritica staliniana, sebbene i due campi abbiano torto nel far credere che con la bomba di aprile Lenin operasse una revisione delle vecchie tesi.

Noi ribadiamo il peso rivoluzionario della funzione del partito con la prova che la teoria aveva tutto preveduto in modo ortodosso quanto sicuro. Se Lenin «riarmò» il partito, il termine cuoce a quelli che stavano «disarmando», ma prova appunto, come nella nostra presentazione, che Lenin lo rimise sulle posizioni del vecchio contrasto tra le «due tattiche» che a Trotsky non garbava. Non dette Lenin al partito nuove armi segrete o inedite: gli fece riprendere quelle che stava lasciando cadere.

48 – Dissenso alla conferenza

Vi fu la resistenza a Lenin. Non da parte di Stalin, che si mise da un canto a guardare, ma dai più ingenui Kamenev, Rykov, Nogin, Dzeržinskij, Angarski ed altri. «La rivoluzione democratica non era finita». «L’impeto per una rivoluzione sociale doveva venire dall’Occidente».

Prima di passare alle risposte di Lenin, decisive, bisogna qui dare una formulazione felice nel racconto di Trotzky, dopo quest’ultimo riferimento all’Occidente:
«Questo era vero. Tuttavia lo scopo del Governo Provvisorio non era di completare la rivoluzione democratica, ma di rovesciare il suo corso. Donde risultava che la rivoluzione democratica poteva essere completata solo con la classe proletaria al potere»[30].
Qui era in linea.

La conferenza panrussa delle organizzazioni bolsceviche del 24–29 aprile vide rappresentati ben 79 mila membri del partito da 131 delegati con voto deliberativo, più 18 con voto consultivo. Di quei 79 mila ben 15 mila erano della capitale, Pietrogrado. Ecco le vere dimensioni di un partito rivoluzionario di classe. Altro che sguaiati festivals con conti di greggi, e di versamenti in cassa sollecitati con» attractions» da Luna Park!

A conferma delle dichiarazioni di Trotsky pare che anche il Cremlino sia del parere che Aprile non è molto interessante. Nelle «Opere Scelte» di Lenin tradotte in italiano (oggi si stampano le Opere complete) del contributo di Lenin alla conferenza di Aprile si riportano solo le brevi tesi sulla questione agraria e sulla questione nazionale, tuttavia espressive ed importanti quanto mai. Manca dunque il rapporto principale di Lenin sul Momento attuale che, in modo organico, sviluppò i temi delle «Tesi di Aprile». Dobbiamo ricorrere dunque a testi riassuntivi, tratto uno da una pubblicazione italiana di tipo popolare, l’altro da un resoconto in tedesco piuttosto saltuario[31].

I temi della conferenza erano (dopo il discorso di apertura che fu tenuto da Lenin, sottolineando la storica portata di quella conferenza in quanto «fa parte non solo delle condizioni della rivoluzione russa, ma anche della rivoluzione internazionale che sta avanzando») i seguenti
1) Il momento attuale;
2) La conferenza della pace;
3) L’atteggiamento da tenere nei Soviet;
4) Revisione del programma del Partito;
5) Situazione nell’Internazionale;
6) Unificazione delle organizzazioni socialdemocratiche internazionaliste (avanzo postumo dell’organizzazione della conferenza dopo quella di marzo);
7) La questione agraria;
8) La questione nazionale;
9) L’assemblea costituente;
10) Questioni di organizzazione;
11) Rapporti per regioni;
12) Elezioni del Comitato Centrale.
La conferenza aveva il valore di un congresso di partito. Lenin dopo il suo arrivo fu incaricato di svolgere i punti 1, 7, 8 dell’ordine del giorno, ma parlò anche sul punto 4 e 6, sull’atteggiamento verso i Soviet operai e contadini, a sostegno della risoluzione sulla guerra, e sulla situazione dell’internazionale e i compiti del POSDR. Tenne anche il discorso di chiusura.

Non seguiremo tutto lo sviluppo in quanto la costruzione da Lenin sviluppata nei suoi molti interventi è quella stessa delle «Tesi di Aprile» da noi integralmente riportate precedentemente e commentate a fondo. Vi sono tuttavia qui chiarificazioni e formulazioni molto notevoli.

49 – Ancora la questione del potere

Lenin chiarisce ancora che nel febbraio il potere è caduto dalle mani del dispotismo feudale in quelle della borghesia capitalista e dei grandi proprietari fondiari, rappresentati dal Governo provvisorio e dai suoi uomini parlamentari cadetti e liberali, sostenuti dalla banda dei populisti e socialistoidi opportunisti. Ma la storia pone alla borghesia dominante tre compiti che non può risolvere: far finire la guerra, dare le terre ai contadini, trarre il paese dalla crisi economica. La borghesia è solidale con gli imperialisti stranieri nella guerra di rapina, come lo era lo zar, anzi soltanto più di esso.

Al massimo potrebbe giungere ad una pace imperialista, che prepari nuove guerre. La borghesia capitalista non ha interesse alla nazionalizzazione della terra, non perché tale misura sia incompatibile col capitalismo, ma per i legami tra fondiari e capitalisti, per i crediti ipotecari sulla terra delle banche borghesi. Infine la borghesia non può concepire ed attuare misure di ripresa economica, che non siano a tutte spese dei lavoratori delle campagne e delle fabbriche.

Quindi il potere deve essere tolto alla borghesia ed assunto dal proletariato rivoluzionario, appoggiato dai contadini.

Qui abbiamo una formulazione suggestiva. Dinanzi alla solita obiezione che mancano le condizioni per il passaggio da una rivoluzione sociale borghese ad una socialista, Lenin risponde:
«I consigli dei deputati operai contadini e soldati devono prendere il potere non per creare una repubblica borghese, e nemmeno per passare immediatamente al socialismo»[32].

Nell’esposizione di Lenin, la questione economica e quella politica sono ancora una volta messe a pieno fuoco.

«Non possiamo essere per la 'introduzione' del socialismo. Sarebbe la più grave delle assurdità. Dobbiamo propugnare [altra volta trovammo tradotto preconizzare] il socialismo. La maggioranza della popolazione in Russia è composta di contadini, di piccoli proprietari, che non possono nemmeno pensare al socialismo. Dobbiamo quindi proporre misure concrete»[33].

Abbiamo detto molto su queste misure concrete economico-sociali nei vari campi, ed è assodato con le parole di Lenin che esse non hanno carattere tale, da uscire dal quadro capitalistico. Non ci ripetiamo sul controllo della produzione e sulla banca di Stato, ma diamo ancora una definizione del postulato della nazionalizzazione della terra:

«La nazionalizzazione della terra, che è una misura borghese, assicura alla lotta delle classi la massima libertà possibile e concepibile nella società capitalistica e libera il godimento della terra di tutte le sopravvivenze non borghesi. Inoltre, la nazionalizzazione, in quanto abolizione della proprietà privata della terra, vibra in pratica un colpo così formidabile alla proprietà privata di tutti i mezzi di produzione in generale, che il partito del proletariato deve contribuire in tutti i modi a questa riforma»[34].

Qui l’impiego della scienza economica marxista giunge al massimo rigore. Statizzare la terra (in altro testo si dice Staatseigentum, ossia proprietà statale) vale sopprimere dei tre personaggi il primo, reddituario fondiario, e lasciare in gioco nella lotta di classe altri due: affittuario capitalista e agricoltore salariato. Questo val meglio che passare il godimento, per definizione borghese, al piccolo contadino coltivatore diretto. Comunque nella tesi Lenin lo tollera, a condizione che si organizzino a parte i Soviet dei braccianti salariati (oggi scomparsi, ma con qual senso sociale?), e in vista dell’altro vantaggio: abolire la proprietà della terra è un gran passo per poter preconizzare l’abolizione di ogni proprietà privata, anche sul capitale.

50 – La nuova forma del potere

Quindi tutte queste misure concrete, necessarie a far muovere la maggioranza contadina nel nostro senso, e a farle appoggiare il passaggio del potere dal Governo provvisorio (parlamento, assemblea costituente) ai Consigli, non significano affatto «mettere un piede economico nel socialismo». Ma, quanto al trapasso del potere integrale ai Soviet, questo sì significa mettere «un piede nel socialismo», quello politico. In relazione a queste considerazioni abbiamo scartata la definizione dell’Ottobre come rivoluzione borghese condotta dal proletariato.

L’Ottobre deve dirsi rivoluzione socialista, non solo perché il proletariato è la classe pilota e dominante, ma per la sua forma politica e statale originale, che trascende ogni repubblica borghese e che è quella propria della rivoluzione socialista internazionale, mentre tuttavia la trasformazione socialista della struttura economica questa nuova forma e forza non la potrà cominciare dalla Russia, bensì dall’Europa.

Vediamo come va questo sviluppo nelle parole di Lenin, o meglio nei resoconti che ne possediamo.

«Quali sono i compiti del proletariato rivoluzionario? Il difetto e la lacuna fondamentale di tutte le trattazioni dei socialisti sta nel fatto che il problema è posto in un modo troppo generale: passaggio al socialismo; mentre si deve parlare dei passi e delle misure concrete. Alcune sono mature, altre no. Stiamo attraversando un periodo di trapasso. Abbiamo chiaramente creato forme che non sono simili alle forme statali borghesi: i consigli degli operai e dei soldati, una forma di Stato che finora non è mai esistita. È questa una forma che rappresenta i primi passi verso il socialismo, e all’inizio storico della società socialista è un fatto decisivo. La rivoluzione russa ha creato i consigli operai. In nessun paese borghese del mondo esistono istituzioni statali di questo genere, né possono esservi: nessuna rivoluzione socialista potrà operare con una forma di potere diversa da questa»[35].

«La rivoluzione è borghese, quindi non si deve parlare di socialismo, dicono gli avversari. Noi invece diciamo: poiché la borghesia non può uscire dalla situazione creatasi, proprio perciò la rivoluzione continua. Non dobbiamo ridurci ad una fraseologia democratica, ma spiegare chiaramente la situazione alle masse e indicar loro una serie di misure pratiche: prendere nelle loro mani i sindacati [leggi: i sindacati di produzione; noto esempio degli zuccherieri], controllarli mediante i consigli degli operai e dei contadini, ecc. E tutte queste misure avranno per effetto, se realizzate, che la Russia si troverà con un piede nel socialismo»[36].

E in un passo della risoluzione:
«Il proletariato della Russia, che agisce in uno dei paesi più arretrati di Europa, in mezzo ad una gigantesca popolazione piccolo-contadina, non può porsi immediatamente come scopo la realizzazione della trasformazione [Umgestaltung] socialista. Ma sarebbe un gravissimo errore e, in pratica, il completo passaggio dalla parte della borghesia, se si volesse da tanto dedurre la necessità di un appoggio politico della classe operaia alla borghesia stessa, o limitare la nostra attività al quadro di ciò che la piccola borghesia può accettare, o la rinunzia al ruolo dirigente del proletariato nell’illuminare il popolo sulla indilazionabilità di una serie di misure praticamente già mature che conducano verso il socialismo [nella direzione che conduce al socialismo]»[37].

51 – La chiara alternativa

Prendere dunque il potere, rovesciare il governo provvisorio, abolire il dualismo, fare dei Consigli la esclusiva base dello Stato politico rivoluzionario, è la tesi inesorabile, non contraddetta dal fatto che le misure in se stesse non sono socialiste, ma, costituendo una decisiva avanzata dal cessante feudalismo al capitalismo, vanno verso il socialismo.

L’incitamento ricorre ad ogni passo. Abbiamo già riferito: la rivoluzione continua. Altre espressioni:
«Se i Consigli devono prendere il potere lo devono solo a questo scopo [in fine delle altre misure, statizzazione del trust degli zuccheri]. Altrimenti non ha nessun senso prenderlo. La questione si pone così: O i Consigli si sviluppano, o cadranno come la Comune di Parigi. Se si ha bisogno di una repubblica borghese, possono darcela anche i cadetti [.…]. Il successo pieno di queste misure è possibile solo in caso di rivoluzione mondiale, solo se gli operai di tutti i paesi sostengono la rivoluzione ed essa strangola la guerra. Perciò la presa del potere è l’unica misura concreta; l’unica soluzione».

«Che cosa debbono fare i Consigli, se il potere passa nelle loro mani? Devono mettersi forse dalla parte della borghesia? La risposta è: per la classe operaia la battaglia di classe continua».

«È impossibile passare direttamente al socialismo. A che scopo dunque devono i Consigli prendere il potere? Proprio per fare i primi passi concreti verso questo trapasso, che si possono e devono fare. Sotto questo aspetto il peggior nemico è la paura. Bisogna chiarire alle masse che questi passi concreti vanno fatti subito, altrimenti il potere dei Consigli degli operai e dei soldati non avrà più senso, non darà nulla al popolo»[38].

Traduciamo questo discorso ribadito venti volte in parole semplici. In un ambiente arretrato, feudale, le piene misure capitalistiche hanno il valore di passi dati verso il socialismo. Nella specifica situazione russa e per quella di guerra imperialista mondiale, la borghesia non farà mai questi passi di deciso, totale capitalismo, di eversione feudale radicale. Occorre lasciar vivere una repubblica mezzo-borghese, esporsi alla controrivoluzione feudale perfino? Mai più. Il proletariato e il partito comunista devono prendere il potere e tagliamo fuori la borghesia, per attuare quelle misure di capitalismo integrale, totale: con tali drastici passi la Russia mette un piede – quello politico, diciamo noi, e non quello economico – nel socialismo.

52 – Un piede e l’altro piede

Anche un Lenin nelle sue immagini di propaganda può talvolta essere pedestre. Noi saremo addirittura nella nostra modestia pedissequi, e di questi due piedi ci occuperemo per un tratto.

Anzitutto, ripetendo che disponiamo di resoconti a frammenti e non ordinati e abbiamo dato un nostro ordine progressivo alle questioni, rileveremo che le «dispense «di marca stalinista cui talvolta attingiamo concludono il passo che abbiamo citato togliendo di mezzo la storia del piede e sostituendola con queste sfrontate parole: E queste misure, una volta attuate, trasporteranno di colpo la Russia sul terreno del socialismo!

Naturalmente per quanti sforzi facciamo non potremo mai venire in possesso sicuro di quei verbali del 1917. Ma non ci sono necessari per dare ancora una volta alla divulgazione di fonte stalinista la taccia di menzogna.

Vediamo un altro passo di Lenin a base di piede.
«Questa misura [seconda: la prima è come noto la nazionalizzazione del suolo agrario; vengono ora il controllo dei Soviet sulla grande produzione, sui sindacati degli zuccherieri, il carbone, i metalli, ecc., sulle banche, la tassazione più giusta e progressiva dei redditi e dei patrimoni], permanendo il grande capitale, [.…] non è il socialismo, è soltanto una misura transitoria, ma la realizzazione di una serie di misure di questo genere, insieme con l’esistenza dei Consigli degli operai e dei soldati, farà sì che la Russia si trovi con un piede nel socialismo: con uno solo, perché l’altro settore della vita economica del paese è dominato dalla maggioranza contadina»[39].

Il primo dei due piedi si riferisce dunque al proletariato dell’industria, il secondo ai piccoli contadini coltivatori diretti. Il primo sta nel socialismo, il secondo fuori. Il primo vi sta in senso politico perché vi è giunto grazie a due condizioni: la presa del potere da parte dei Soviet, e il controllo dello Stato proletario sulla grande industria, l’industria pesante. Ora questa, come ampiamente vedremo nel corso ulteriore della presente trattazione, è anche una condizione politica; si tratti di controllo su quanto rimane di grande capitale privato, si tratti di statizzazione delle grandi fabbriche, di Staatseigentum di esse. È condizione politica socialista perché l’industria pesante assicura a chi l’ha in potere le armi della guerra di classe e della guerra civile davanti alla controrivoluzione interna ed esterna. Non è invece condizione economica socialista, poiché economicamente si tratta ancora di azienda privata soggetta al controllo di Stato, ovvero più oltre di azienda in proprietà dello Stato. E una condizione economica di «capitalismo di Stato», in cui il sistema aziendale, salariale, mercantile, monetario resta in piedi: sarebbe condizione, oltre che politica, anche economica socialista, dal momento che il mercantilismo e la redditibilità dell’azienda singola fossero superati, e con essi il sistema del salario.

Dunque il piede messo con la frase di Lenin, anche ammettendo che non sia tra le sue la più elevata, nel socialismo dalla Russia è dovuto ad un passo fatto dal solo settore urbano-industriale-proletario: questo passo consiste nel potere assunto dagli operai contro la borghesia e nel ruolo dirigente rispetto al «popolo» minuto e contadino, e consiste nell’avere adottato la misura di togliere ai borghesi il controllo di banche, assicurazioni, trusts industriali e così via.

Il piede rimasto nel capitalismo è quello rurale-agrario, dove non si può porre nel 1917 (né si è posta nel l955) una consegna di misure di integrale capitalismo di Stato. La nazionalizzazione o statizzazione della terra non è nemmeno capitalismo di Stato, perché si può associare al capitalismo privato grande e minuto. La terra in Marx non è capitale né in campo economico né in campo storico: rimandiamo per questo basilare assunto alla serie sulla questione agraria nel marxismo, per la quale Lenin è l’Ortodosso degli ortodossi. Capitale sono gli strumenti produttivi dell’esercizio agricolo, le scorte vive e morte, fisse e circolanti. Un capitalismo pieno nella terra sarebbe l’aver trasformato tutti i contadini in salariati di grandi aziende, c da privato diverrebbe di Stato quando questo espropriasse e confiscasse tutte le aziende agrarie, il capitale di esercizio agrario, le scorte tutte.

Perciò nazionalizzando la terra ci si assicura «l’appoggio della maggioranza contadina», ma non si crea nessuna base ad un socialismo nell’agricoltura. Si espleta semplicemente un lato della rivoluzione agraria borghese, liberando il piccolo contadino dalla servitù feudale e da una parte della rendita dovuta al proprietario fondiario; una parte, perché lo Stato, borghese o proletario che sia, dovrà necessariamente imporgli tasse almeno pari a quelle che il proprietario titolare del suolo pagava, se non a tutta la rendita di cui egli godeva.

53 – I passi ulteriori dei due piedi

 

Una costante aspirazione di Lenin è la prevalenza del proletariato rurale sul piccolo agricoltore esercente: e questi resta tale sia che abbia la proprietà, sia che abbia il godimento divenendo in fondo un affittuario dello Stato. Anticipando quanto in seguito si dirà, è chiaro che non è facile giungere, nemmeno nei paesi più sviluppati, ad una agricoltura tutta a salariati, che si ha quando le famiglie rurali non consumano direttamente il prodotto del proprio lavoro in natura. Solo da questo gradino si potrebbe pensare a salire a quello di un capitalismo agrario di Stato, e dire: non siamo certo al socialismo, ma abbiamo messo il piede sullo scalino che vi conduce. Lenin riprenderà questa idea nell’opuscolo 1921 sull’imposta in natura di cui parleremo a lungo.

Supponiamo che, spariti i boiardi ed i grandi proprietari fondiari di tipo borghese (landlords, latifondisti), gli imprenditori agrari (kulaki in Russia) avessero spogliati tutti i piccoli contadini e conducessero tutta l’agricoltura con salariati. Sarebbe stato salito lo scalino al capitalismo privato in campagna, e si potrebbe dire: Se statizziamo tutto il capitale dei kulaki, e almeno dei grandi, entriamo nel capitalismo di Stato e mettiamo l’altro piede (fermo restando che tutto il potere lo abbiano i salariati dell’industria e della terra) nel socialismo.

Che cosa è invece avvenuto in Russia? Si sono più che espropriati, liquidati i kulaki, sia pure. Il loro capitale non è passato allo Stato ma è stato diviso in due parti: l’una l’hanno grandi aziende cooperative ma non statali, l’altra in tante piccole porzioni tutti i contadini di dette aziende, che sono quindi mezzi salariati, mezzi produttori diretti, e il prodotto diretto parte consumano, parte vendono. Questa soluzione ha preso il posto della diffusione quantitativa delle vere aziende di Stato, che coltivano relativamente poca terra. Questo non è stato un passaggio dal capitalismo privato a quello statale, ma un permanere in una forma che per metà è piccola produzione parcellare, ossia sta sotto l’agricoltura capitalista, per l’altra non vi sta sopra, in quanto una «cooperativa di lavoro» rurale con le sue entrate e spese può essere divenuta una grande azienda non più parcellare, ma è sempre azienda privata e non di Stato.

In altre parole ripetiamo il concetto. Il piccolo contadino in regime borghese differisce dal servo feudale perché è libero da servitù personali di lavoro e prodotto. Egli sintetizza in sé (Marx, Lenin) tre figure: è proprietario fondiario, perché tutta la poca terra su cui lavora è sua; è capitalista perché tutto il piccolo capitale di esercizio è suo; è lavoratore perché tutto il lavoro sul campo è dato da lui e dai familiari.

Nazionalizziamo la terra senza passare da piccola a grande azienda: sparisce la figura di proprietario, e restano nel produttore parcellare le due di piccolo capitalista e di lavoratore (analogia: l’artigiano, il piccolo affittuario lavoratore, o colono).

Passiamo alla grande azienda capitalista: i piccoli contadini sono espropriati di terra e capitale: resta la terza figura di lavoratori a salario nelle imprese concentrate in grosse unità.

Passiamo al colcos russo. Il piccolo contadino è divenuto, per metà circa del suo tempo (forza) lavoro, salariato e capitalista collettivo (gli si versa una quota salario e una quota utili in un sistema complicato che vedremo) e per metà è ridivenuto produttore parcellare: ha la casa, il capitale scorte, e vi impiega l’altra sua parte di tempo (forza) lavoro.

Lasciando le due parti minoritarie di grandi aziende di Stato, e di piccole famiglie contadine non colcosiane ancora, resta il fatto che la maggioranza dei lavoratori della terra in Russia aderisce ancora alle forme della minima produzione, con tutte le conseguenze economiche sociali e politiche. Il secondo piede è rimasto in terra non socialista, ed è perfino precapitalista.

54 – Cattive mosse dei primo piede

Indubbiamente dopo le violente crisi di cui ci occuperemo – lotta per la conquista del potere, per lo strangolamento della guerra, per l’uccisione della controrivoluzione – l’industria ha preso da un lato a divenire tutta o quasi statale e dall’altro ad assumere un peso quantitativo molto più forte nell’economia sociale russa. Ove un tale fatto fosse rimasto associato al potere politico nelle mani del proletariato russo, e legato al moto generale del proletariato rivoluzionario mondiale, il piede di cui diceva Lenin starebbe ancora più fortemente nel socialismo pure essendone il corpo ancora fuori, in ambiente mercantile e di capitalismo di Stato.

Purtroppo è l’altra condizione politica base che si è allentata. Lo Stato russo ha partecipato in pieno ad una guerra tra Stati imperialisti, come alleato di uno (qualunque) dei due gruppi di essi. Il proletariato russo non ha più ruolo dirigente rispetto alla classe contadina, sia pure colcosiana, cui è reso pari nella costituzione politica del 1936 e nel diritto. Il suo movimento politico non è più legato al programma internazionale della rivoluzione armata e della dittatura, l’Internazionale Comunista è stata smontata. Quella condizione è stata demolita pezzo per pezzo, e l’espressione fisica di tale fatto sono state le persecuzioni all’opposizione di sinistra e le «purghe» che ne hanno sterminato le file.

In queste condizioni il capitalismo di Stato resta, il dominio della grande industria resta, ma il carattere socialista della realizzazione di queste «misure» si è perduto: siamo al livello di un capitalismo di Stato come quello tedesco e di altri paesi (che Lenin illustra nel citato opuscolo del 1921).

La rivoluzione che Lenin voleva, e l’Ottobre ci dette, fu dunque socialista, perché mise solidamente il piede politico-proletario nel socialismo.

Vi avrebbe messo il secondo piede economico-rurale se fosse venuta in soccorso la rivoluzione proletaria internazionale. Forse solo dopo questa perfino paesi avanzati come Germania e Stati Uniti vedranno come forma di passaggio il grande capitalismo agrario di Stato. E vi sarebbe entrata con tutto il suo corpo iniziando lo sradicamento della autonomia aziendale del salariato e della distribuzione mercantile monetaria, in città e in campagna in parallelo.

Ma ha vinto nel mondo la controrivoluzione capitalista, pure essendo stata battuta in Russia quella feudale, spalleggiata dai borghesi del tempo.

Non solo quindi non è stato portato il secondo piede sul terreno del socialismo, ma il primo ne è stato ritratto. Tutti e due, oggi, e da non pochi anni, quasi trenta, ne stanno fuori.

Non solo la Russia non è una società socialista, ma nemmeno una repubblica socialista. Socialista resta, alla luce della storia rivoluzionaria, la Rivoluzione di Ottobre, e la coerente monolitica lungimirante costruzione di Lenin del cammino della Russia.

55 – La difficile manovra dopo aprile

Lenin aveva appena guadagnata l’aspra battaglia di sciogliere il partito bolscevico da ogni legame con la tolleranza del governo borghese e del difesismo, che si trovò di fronte l’obiezione sedicente di sinistra: Avete detto che occorre prendere il potere: benissimo; torniamo nella illegalità e prepariamo a breve scadenza l’insurrezione.

Il rapporto di Lenin sugli sviluppi tattici, secondo la trama delle Tesi del 4 aprile, fu tanto delicato quanto esauriente.

Noi, egli disse, non abbiamo che una minoranza: occorre essere molto diffidenti. Molti lavoratori sono in buona fede caduti nel difesismo, per euforia rivoluzionaria, anche nelle città. I contadini, fino alla attuazione delle misure economiche concrete, non saranno con noi. Se vogliamo salvare alla rivoluzione internazionale la forma nuova dei Consigli, non possiamo attaccare il Soviet solo perché in maggioranza non segue noi ma gli amici opportunisti del borghese governo provvisorio.

Disse Lenin[40]: Alcuni si domandano: non ci siamo ritrattati? Avevamo preconizzata la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile ed ecco che ora parliamo di azione pacifica e non armata per il passaggio del potere ai Soviet. Ma noi siamo, spiegò, in un periodo di transizione in cui Miljukov, Guckov non hanno ancora impiegata la violenza: e quindi ci occorre una profonda paziente propaganda. Se noi parlassimo ora di guerra civile non saremmo marxisti, ma blanquisti. La nostra politica deve nell’immediato futuro condurre il governo borghese a smascherarsi, e ancora più i suoi manutengoli menscevichi (evidentemente, a quella data, su questo Lenin non insiste nei testi pubblici). Ma nella costruzione di Lenin la futura fase di guerra civile è certa e precisa: ne discuteranno a lungo i bolscevichi nei mesi successivi, e freneranno ancora l’azione nel luglio, dopo il quale saranno assoggettati a persecuzioni e provocazioni: alfine in ottobre accetteranno la sfida.

Il partito, ben disse Trotsky, aveva bisogno di un periodo di riarmo, e di chiarificazione dell’orientamento dei militanti e della parte avanzata delle masse; solo dopo avrebbe al momento segnato dalla storia dato battaglia, per vincerla.

Questo poderoso insieme di decisioni venne fuori dagli apporti di Lenin sul programma di lavoro, predisposto sotto l’effetto di un indirizzo precedente e non molto felice. Venuta al punto della unificazione dei socialdemocratici internazionalisti (con cui Kamenev e Stalin intendevano in marzo il ripescamento di quasi tutti i menscevichi), la Conferenza, seguendo la linea di Lenin, condannò ogni intesa coi social-sciovinisti russi ed esteri e con ogni opportunismo e formulò la parola d’ordine dell’internazionale Comunista[41].

Abbiamo così dato ampio sviluppo a quanto Lenin sostenne in ordine al compito da svolgere nella situazione politica di quello svolto fondamentale, e anche in riguardo al tema sulla questione agraria. Meriterà ulteriore attenzione la questione delle nazionalità; gravissima nell’impero degli zar, definito mosaico di cento popoli.

Il successivo congresso (quinto) della fine luglio segnerà il passaggio dalla fase di lotta pacifica alla nuova insurrezione armata: ma la linea teorica e storica sarà il chiaro sviluppo della conferenza di aprile, e gli stessi nomi faranno parte dei 32 del comitato di ottobre, come dei 14 di aprile. Stalin fu chiamato la prima volta al comitato centrale: Trotsky era ancora assente ed estraneo alla organizzazione bolscevica. Secondo Trotsky, a parte Lenin e Stalin, di tutti gli eletti in questo Comitato Centrale solo Sverdlov morì di morte naturale, tutti gli altri furono o giustiziati o soppressi non ufficialmente, nel seguito.

È forse nella storica conferenza di Aprile che i punti cardinali della rivoluzione russa splendono di maggior luce: rottura con la borghesia antizarista a metà, rottura con i social-opportunisti, rottura con la guerra, legame con il movimento rivoluzionario e lotta per lo stato della dittatura proletaria, in tutti i paesi[42].

Punti formidabilmente avanzati, pur nell’aperta dichiarazione che nella sola Russia non siamo allo svolto storico della trasformazione socialista.



Notes:
[prev.] [content] [end]

  1. Il primo numero indica sempre la data secondo il calendario zarista, il secondo quella secondo il calendario gregoriano. [⤒]

  2. L. Trotsky, «Stalin», cit., pag. 271. [⤒]

  3. L. Trotsky, «Le nostre divergenze», in appendice al 1905. [⤒]

  4. L. Trotsky, op cit., pagg. 277 c 278. [⤒]

  5. Passato lo… scandalo, il post-stalinismo si è deciso a pubblicare quello che nel 1954 era tabù. I rapporti e i discorsi alla VII Conferenza Panrussa del POSDR (b) si leggono ora in Lenin. «Opere», XXIV. pagg. 227–323. Si veda inoltre il vasto materiale sulla precedente Conferenza cittadina pietrogradese, del 14–22 aprile (27 aprile – 5 maggio), ivi pagg. 135–161. I resoconti dell’una e dell’altra non solo confermano quanto allora qui dedotto da testi monchi e divulgativi, ma lo rafforzava, come il lettore può agevolmente constatare. [⤒]

  6. Nel testo delle «Opere» pubblicato dagli Editori Riuniti nel 1966: «non per instaurare una normale repubblica o per passare direttamente al socialismo» («Opere», XXIV, pag. 241), e subito dopo:
    «Questo è impossibile. Che cosa devono fare allora? Devono prendere il potere per compiere i primi e decisivi passi verso questo passaggi». (Dal «Rapporto sul momento attuale»). [⤒]

  7. Lenin, «Opere», XXIV pagg. 241–142. [⤒]

  8. Lenin, «Opere», XXIV, pagg. 298–299 («Rapporto sullo questione agraria»). Non a caso Marx aveva scritto:
    «Il borghese radicale. che segretamente vagheggia la soppressione di tutte le altre imposte, arriva teoricamente alla negazione della proprietà fondiaria privata, di cui egli vorrebbe fare, sotto la forma di proprietà statale, la proprietà comune della classe borghese. Nella prassi tuttavia manca il coraggio, poiché l’assalto ad una forma di proprietà – a una delle forme di proprietà privata sulle condizioni di lavoro – sarebbe pericoloso per le oltre». (K. Marx, «Storia delle teorie economiche», Torino, 1955, II, pag. 192). [⤒]

  9. Con lievi varianti di pura forma, Lenin, «Opere», XXIV, pagg. 240–241 («Rapporto sul momento attuale»). [⤒]

  10. Con lievi varianti di pura forma, Lenin, «Opere», XXIV, pag. 318 («Discorso a sostegno della risoluzione sul momento attuale») [⤒]

  11. Idem, Lenin, «Opere», XXIV, pag. 320–321 («Risoluzione sul momento attuale»). [⤒]

  12. Lenin, «Opere», XXIV, pagg. 242–243, 316, 241, cioè rispettivamente nel «Rapporto sul compito attuate», e nel «Discorso a sostegno della risoluzione sul momento attuale». [⤒]

  13. Con lievi varianti, Lenin, «Opere», XXIV, pag. 317 («Discorso a sostegno», ecc.) [⤒]

  14. Ancora nel «Rapporto sul momento attuale», Lenin, «Opere», XXIV, pagg. 236–237. Vedi anche il «Discorso di chiusura» sullo stesso rapporto, ivi. pagg. 245–247. [⤒]

  15. «Risoluzione sull’unificazione degli internazionalisti contro il blocco difesistico piccolo-borghese», Lenin, «Opere», XXIV, pag. 302. [⤒]

  16. Si vedano in particolare, su questi ultimi punti, il «Discorso» di Lenin a sostegno della risoluzione sulla guerra, e la «Risoluzione sulla guerra», Lenin, «Opere», XXIV, pagg. 262–275, e 276–279, tutti alla VII conferenza del partito. [⤒]


Source: «Il Programma Comunista», N. 17, Settembre 1955.

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