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STRUTTURA ECONOMICA E SOCIALE DELLA RUSSIA D’OGGI (VIII)



Content:

Struttura economica e sociale della Russia d’oggi (VIII)
69 – Dopo aprile verso la gran lotta
70 – Preparazione legale o battaglia?
71 – La fase dopo aprile
72 – La lotta nelle campagne
73 – Le richieste degli operai urbani
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Notes
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Struttura economica e sociale della Russia d’oggi (VIII)

69 – Dopo aprile verso la gran lotta

Il lettore che ha inteso la portata della nostra trattazione sa che non intendiamo fare storiografia generica e racconto integrale dei fatti, che esigerebbe maggiore uniformità nella «densità della stesura». I fatti, anche in cronache, sono noti, tuttavia nelle loro pieghe alquanto controversi e resi ermetici: è dove ci soffermiamo con la documentazione e l’analisi più a fondo.

Ma quello a cui tendiamo è il confronto continuo tra l’elaborazione dottrinale compiuta in anticipo dal partito – o anche dagli altri partiti – che agiscono nel processo storico, e gli effettivi accadimenti posteriori.

Per tal motivo abbiamo dato molto spazio alla fase di Aprile: fase di bilancio teorico di partito tra due battaglie di contenuto diverso di cui ci è bastato e ci basterà tratteggiare le tappe essenziali, gli scontri importanti.

Il partito bolscevico aveva su larga scala adempiuto una grande costruzione di prospettive storiche nel periodo che va fino al 1905: innestando le conclusioni e previsioni relative alla Russia sulla grande prospettiva del comunismo marxista circa le battaglie del proletariato dei paesi di razza bianca.

Un secondo bilancio dovette essere affrontato nella nuova pausa determinata dalla reazione che seguì il 1905 e utilizzando gli insegnamenti di quella grande lotta, fino a che non si giunse alla nuova grande crisi che colpì il socialismo internazionale con lo scoppio della guerra del 1914. Una nuova battaglia dottrinale fu condotta, in primo tempo non tanto in seno al socialismo russo, che apparve anche a Lenin tutto contrario ad una guerra proclamata dall’odiatissimo zar (vedemmo che qui in gran parte Lenin si era illuso, non potendo pensare che dopo tanta preparazione di teoria e di lotta si esitasse su un tale punto), quanto nei partiti di occidente, i più dei quali erano crollati vergognosamente nel tradimento sciovinista.

Quando nel febbraio 1917 la crisi inghiotte lo Stato zarista russo tutte le previsioni della dottrina vengono di nuovo al vaglio dei fatti, ma gli effetti sconvolgenti della guerra europea e mondiale si accavallano con quelli dello scontro delle classi in Russia, e della rivoluzione antifeudale in cui la classe operaia deve scegliersi un posto di combattimento difficile a definire, ma certo nelle prime schiere.

Il partito che era stato l’ambiente di una così ricca preparazione dopo il febbraio, pure avendo nell’azione fatta degnamente la sua parte, non si ritrova sull’impostazione della fase ulteriore in riguardo a tre problemi, che abbiamo adeguatamente tratteggiati. Primo: comportamento davanti alla guerra. Secondo: compito del partito proletario nel procedere della rivoluzione antifeudale. Terzo: lotta contro l’opportunismo internazionale socialdemocratico e social-patriottico.

In aprile il bilancio storico è compiuto con una completezza di primo ordine, profittando della transitoria legalità vigente in Russia; il programma di azione è costruito decisamente: si tratta di applicarlo.

70 – Preparazione legale o battaglia?

La questione può vedersi sotto due aspetti, di principio e di metodo, di tattica. Due ali estreme, sebbene la dizione non sia esatta, la vedono in modo esclusivo. La dialettica veduta di Lenin vede i due tipi di attività e si sforza di collocarli per quanto possibile nelle fasi più opportune per giungere al successo.

Una posizione nettamente menscevica ed opportunista è dire: Lo zarismo è caduto, il potere è tenuto da una coalizione a volte nascosta a volte palese di borghesi e di opportunisti piccolo-borghesi. È assodato che non si può sostenere un tale governo su nessuna parte del programma interno ed estero: occorre dare la parola che il potere passi ai Consigli operai e contadini. Ma ora che la propaganda e l’agitazione sono libere, e da quando la rivoluzione democratica ha vinto, si tratta solo di guadagnare alla luce del sole e con mezzi legali la maggioranza nelle organizzazioni operaie e nei Soviet. Peggio sarebbe dire: Tale agitazione pacifica si deve estendere oltre, anche se si avesse la maggioranza nei Soviet, fino alla convocazione dell’Assemblea costituente, per riuscire a mettervi in minoranza la soluzione del governo di coalizione coi borghesi.

Una tale soluzione intanto è da respingersi come non rivoluzionaria in quanto non è proposta come riferita ad una fase che trascorre, ma nel senso di ammettere che, dopo la liberazione democratica, il partito per programma e per principio esclude la lotta armata, la guerra civile, pure avendo dal lato opposto escluso un blocco parlamentare e governativo coi partiti borghesi. È invece pienamente dialettica la risposta di Lenin: oggi, fine aprile, non ci conviene provocare a breve scadenza una guerra civile per prendere il potere. Tuttavia la guerra civile si avrà, ed anzi in due ipotesi: di una controrivoluzione zarista che tenda a rovesciare il governo provvisorio, nel qual caso lo sosterremo con le armi (ed avvenne), ed in una seconda ipotesi: che, essendo la lotta proletaria sviluppata fino alla capacità e necessità di assumere coi Soviet tutto il potere, il governo provvisorio resista a cederlo (ed avvenne).

Quindi Lenin risponde no a questa destra che vuole rinunziare per sempre ad una lotta armata, da ora in poi, e al tempo stesso le accorda che non sia ancora il momento di dar fuoco alle polveri e occorra lavorare legalmente.

Un’altra ala opposta cui anche sfugge il legame dialettico fra teoria e metodo strategico vuole la lotta immediata, da provocare senza indugio, e da avviare in ogni occasione con combattimenti preliminari. Avvenuta la rivoluzione liberale, dicono questi compagni, ogni eventualità di appoggio a governi borghesi, anche se ratificati da un parlamento, è esclusa e la via per abbatterli non è la conquista pacifica di una maggioranza ma solo l’insurrezione. Anche questa posizione è difettosa se diviene esclusiva, limitativa per il partito, e non dice soltanto che la lotta armata è plausibile e sicura in tempo futuro, ma asserisce che in ogni fase sia da pensare a questa sola, e non a pacifica preparazione.

Contro questi compagni Lenin dovette fare i più grandi sforzi perché non si attaccasse prima di essere pronti, pur ammettendo pienamente che in ogni spontaneo muoversi delle masse lavoratrici il partito dovesse essere presente non solo con l’agitazione politica ma anche con la forza materiale[62].

Data l’estrema difficoltà di individuare il momento propizio a così difficili conversioni per l’attività del partito, in momenti tanto convulsi, tra guerra sulla frontiera e crisi economica e sociale, quasi tutti i compagni si sono nel seguito aspramente rimproverati, chi di non aver voluto la lotta, chi di averla voluta compromettere scatenandola prematuramente.

È indiscutibile che, senza la poderosa preparazione del dibattito di Aprile, il partito sarebbe andato, o per la via della fiacchezza o per quella dell’esasperazione, alla sicura sconfitta e rovina.

71 – La fase dopo aprile

Sappiamo che già prima che la conferenza si aprisse, il 17 aprile, 14 giorni da che Lenin era giunto, le masse ebbero una reazione per una provocazione del Governo. Coincidendo la data col l° maggio nuovo stile, il primo postzarista, si ebbe altra coincidenza con la nota di Miljukov, ministro cadetto degli esteri, che prometteva, a richiesta degli alleati, la continuazione della guerra. Nonostante il grado relativo di infatuazione difesista da Lenin constatato nel popolo russo e nei soldati, in contrasto con le tendenze di immediata liquidazione della guerra, si aprirono a Pietrogrado e Mosca una serie di giornate in cui i lavoratori chiesero la testa di Miljukov con dimostrazioni armate, reclamando la pace e le sue dimissioni, date alcuni giorni dopo. Ma le masse non andarono oltre le dimostrazioni, ed il partito era ancora intento a liquidare i suoi dubbi.

Fu il 17 maggio, ossia il 4 maggio vecchio stile, dopo la chiusura al 12 maggio (29 aprile) della Conferenza, che giunse a Pietrogrado Trotsky (accolto con entusiasmo anche come antico presidente del 1905) e fece al Soviet un discorso in cui si dichiarò (non apparteneva ancora al partito bolscevico) pienamente concorde con la direttiva politica di Lenin.

Nelle giornate di Aprile alcuni bolscevichi avevano proposto di lanciare la parola di rovesciare il governo, ma il partito li riprese opponendosi. Trotsky afferma qui che Stalin sottoscrisse con due conciliatori il telegramma che invitava i lavoratori e marinai di Kronstadt a sospendere l’azione anti-Miljukov. Ai primi di maggio intanto Miljukov e Guckov si dimettevano da ministri, e nella coalizione entravano i menscevichi e i socialrivoluzionari.

Dopo il 12 maggio, chiusura della conferenza, e fino alla convocazione del congresso dei Soviet del 3/16 giugno 1917, i bolscevichi svolsero il lavoro di propaganda, organizzazione e penetrazione prospettato alla conferenza.

Frattanto gli opportunisti avanzavano sulla strada prevista da Lenin. Prima di aprile il comitato esecutivo del Soviet, da essi controllato, era quasi in pari numero favorevole e contrario ad entrare nel governo. Dopo quella prima crisi di piazza, 34 delegati contro 19 si dichiararono per l’accordo coi borghesi. Nel giudizio di Lenin, era la piccola borghesia che davanti alla minaccia di una nuova fase rivoluzionaria rinculava, consegnando ai capitalisti tutte le posizioni. Il 6/19 maggio fu annunziata la lista del nuovo governo, presieduto dal borghese Lvov con Kerenski e gli altri nominati sopra: borghesi e opportunisti avevano stretto il patto di acciaio.

Come era previsto, questo governo fu impotente anche nel senso riformista e i timidi passi dei «socialisti» furono presto bloccati, sicché nelle masse della città e delle campagne aumentò il disappunto verso il governo e verso i capi del Soviet in quel tempo.

72 – La lotta nelle campagne

Ribolliva la lotta dei contadini per prendersi in un modo o nell’altro la terra dei grandi proprietari, e uno degli scopi della coalizione era di deviare questo fermento minaccioso in conquiste pacifiche. Il ministro all’agricoltura Černov fece tentativi per attuare il contorto programma teorico di spartizione dei socialisti rivoluzionari. Egli accolse la richiesta delle zone rurali che denunziavano i tentativi degli agrari di salvarsi dalla spogliazione con vendite frazionate a prestanome e a contadini ricchi e medi: e adottò la misura di sospendere, con un ordine legale ai notai, tutti i contratti di compravendita di terre.

Contro questa strana misura, in contrasto teorico con lo stesso programma di una grande rivoluzione borghese, che come in Francia nel 1789 facesse «della terra un articolo di commercio», si levarono indignati i grandi fondiari pretendendo che Černov ritirasse il suo provvedimento. Miseramente costui prima lo mise praticamente nel nulla precisando che non era vietata la trasmissione dei diritti ipotecari, ed infine ancora più vilmente autorizzò la ripresa di tutte le contrattazioni conformi «alle leggi», sotto pretesto che solo la futura Costituente avrebbe diversamente potuto legiferare. Questa la misera fine di quello che era stato detto il «ministro dei mugic».

Qui si riconfermava la veduta esatta dei bolscevichi che proponevano che senza attendere la Costituente e senz'altro indugio fosse dichiarata la terra proprietà dello Stato, dandone l’immediato materiale possesso ai consigli locali dei contadini per la gestione collettiva o con transitorie distribuzioni di lotti alle famiglie coltivatrici.

73 – Le richieste degli operai urbani

Al tempo stesso nelle città la scarsità di risorse e di derrate agitava gli operai che invocavano aumenti delle paghe. Per mesi e mesi il governo non toccò questo tasto scabroso, non ebbe un ministro del Lavoro, mentre il progressista Konovalov era a quello dell’industria. Finalmente si dedicò alla cosa il menscevico Skobelev, ma col solo mezzo di far nominare nella cosiddetta ed ufficiosa conferenza della Duma una commissione divisa in sottocommissioni e sezioni prive di qualunque autorità, che indietreggiarono al dire dei datori di lavoro che ogni maggiore spesa avrebbe fermata la macchina produttiva o indotto aumento enorme dei prezzi. Circa un milione di operai industriali entrarono in agitazione nelle fabbriche, poco soddisfatti dei vaghi comitati di azienda che il nuovo regime esitando aveva riconosciuti.

Fino al principio di giugno il governo non trattò che in commissioni e con dichiarazioni teoriche la questione di una politica economica dello Stato, del suo controllo sulle fabbriche e delle prospettive di statizzazione delle maggiori, che vedeva poco favorevolmente in quanto… data la penuria di mezzi non si poteva passare al socialismo! Peggiorarono le condizioni dell’approvvigionamento, le code delle mogli degli operai duravano intere giornate, e nei grandi e medi centri l’onda del malcontento saliva irresistibile.

Quanto all’esercito, mentre il governo tramava una ripresa della lotta militare con appoggi delle potenze dell’Intesa pur temendo le conseguenze – che poi vennero – dello scatenarsi folle di offensive al fronte, cresceva nei soldati l’avversione alla prosecuzione della guerra e nei reggimenti si sollevavano agitazioni e organizzavano Consigli, orientati sempre più verso la tendenza bolscevica.

In questo quadro sociale torbido si apriva, per un altro grande scontro politico, ancora in forme incruente, il Primo Congresso dei Soviet di tutta la Russia.

Con la rinvigorita frazione bolscevica Lenin, come aveva portato la forza delle esigenze rivoluzionarie nella sessione di partito, si accingeva a recarla alle assise di tutta la classe lavoratrice. Fu urto memorabile.



Notes:
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  1. Per la posizione di Lenin di fronte a queste due ali del partito, cfr. in particolare il «Discorso di chiusura sulla questione del momento attuale», 25 aprile / 8 maggio 1917, in «Opere», XXIV, pagg. 245–247. [⤒]


Source: «Il Programma Comunista», N. 19, Ottobre 1955

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