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STRUTTURA ECONOMICA E SOCIALE DELLA RUSSIA D’OGGI (XIX)



Content:

Struttura economica e sociale della Russia d’oggi (XIX)
33 – Lo scandalo del voto plurimo
34 – Ingranaggio dei soviet
35 – Il «diritto al voto»
36 – Rapporto tra i due alleati
37 – La «dittatura democratica»
38 – Quale termine doveva cadere?
39 – Dittatura e democrazia proletaria
40 – Decisione nella dittatura
41 – È marxista l’autorità individuale
42 – Conclusioni al 1918
43 – Democrazia, eredità contadina
44 – Lezione ai rinnegati
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Notes
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Struttura economica e sociale della Russia d’oggi (XIX)

33 – Lo scandalo del voto plurimo

Le caratteristiche storiche del nuovo sistema elettorale sovietico apparso in Russia, che suscitarono le più violente polemiche contemporanee, ed a tante riprese nel futuro, sono essenzialmente due.

L’esclusione di una parte dei «cittadini» russi dal diritto di voto, che è l’espressione della «dittatura», su cui Stalin nel 1936 sfoggerà grandi speculazioni su date citazioni atte a travisare il pensiero di Lenin – ed il diversissimo peso attribuito al voto del componenti delle due classi vittoriose: gli operai e i contadini poveri.

Iniziamo a trattare questi punti di base passando in rassegna le misure del testo della nuova Costituzione, alla quale, come Lenin dovrà in appresso ricordare a derisione dei «democratici puri» russi ed esteri, forse più che i bolscevichi avevano lavorato i socialisti rivoluzionari e perfino i menscevichi, tracciando gli Statuti dell’ingranaggio dei Soviet così come essi si erano spontaneamente costituiti nelle lotte rivoluzionarie del 1917, e fino a certi casi dal 1905. Il prevalere del compito operaio su quello contadino fu un dato di origine storica, più che di origine dottrinale.

Il III Titolo della Costituzione del 1918 si intitola «Struttura del Potere sovietico». La sezione A tratta dell’Organizzazione del potere centrale, e comincia col capitolo VI: Congresso panrusso dei Soviet dei delegati operai, contadini, cosacchi e soldati dell’esercito rosso.

L’art. 24 stabilisce che tale Congresso è il potere supremo della Repubblica Socialista Federale Sovietica Russa.

Il testo del fondamentale articolo 25 è questo:
«Il Congresso pan-russo dei Soviet è composto dei rappresentanti dei Soviet di città in ragione di un delegato ogni 25 mila elettori, e dei rappresentanti dei congressi dei Soviet provinciali (rurali) in ragione di un delegato ogni 125 mila abitanti».

Salvo a discutere più oltre della differenza tra le espressioni: elettori, usata per le città, e abitanti, usata per i governatorati, resta fin da questo punto ben chiaro che nello Stato russo, ed in quanto il potere derivi, nella costruzione ufficiale e costituzionale, dalla base della popolazione (nel che per i marxisti non è affatto un principio fondamentale) il voto di un operaio ha un’efficacia quintupla di quello di un contadino.

Fermo restando il numero dei delegati di ogni Governatorato, ci sono due vie per designarli: o dai Congressi di Governatorato, o, se questi non sono riuniti prima del Congresso Nazionale, direttamente a questo dai Congressi di Distretto (il Governatorato si divide in Distretti).

Gli articoli successivi stabiliscono quanto è già noto: tra un Congresso Panrusso dei Soviet e il successivo, il potere centrale è nelle mani del Comitato esecutivo centrale panrusso, eletto dal Congresso nel numero massimo di 200 membri. Il C.E.C. ha l’obbligo di convocare il Congresso panrusso dei Soviet non meno di due volte all’anno. Il capitolo VII fissa i compiti del C.E.C. tra cui è l’approvazione delle leggi e decreti e la formazione del Consiglio dei Commissari del Popolo, che costituisce il Governo. Per pura analogia si è sempre detto che il C.E.C. sarebbe il Parlamento degli Stati tradizionali. Ma allora questi non hanno un organo comparabile al Congresso dei Soviet, cui il C.E.C. risponde di ogni suo operato.

Il capitolo VIII regola le funzioni del Consiglio dei Commissari del Popolo, il cui primo elenco era di 18. Ad ognuno di essi era aggiunto un Collegio confermato dal Consiglio dei Commissari, con poteri di controllo e di appello al Consiglio stesso o al C.E.C. (È stato oggi ripristinato questo tipo di Collegio, sparito nella Costituzione di Stalin?).

34 – Ingranaggio dei soviet

I capitoli XI e XII riguardano tutto il sistema dei Consigli dalla sommità alla base, ma è forse meglio descriverlo in ordine inverso.

Nelle città il Soviet ha un delegato ogni 1000 abitanti, ma il numero totale dei delegati è compreso tra un minimo di 50 e un massimo di 100.

Negli «agglomerati rurali» (villaggi e molte altre denominazioni tipiche russe del Caucaso, delle terre cosacche, delle steppe, ecc.): 1 delegato ogni 100 abitanti.

Prima di risalire la scala gerarchica sarà bene dire che giusta il successivo capitolo XIV le elezioni si fanno «secondo gli usi e costumi stabiliti» e «nei giorni fissati dai Soviet locali». In generale si trattava di grandi adunate popolari senza la beffa borghese del voto segreto.

Per le piccole località delibera anche l’assemblea generale degli elettori.

Ogni Soviet elegge nel suo seno un Esecutivo di 5 membri al massimo nelle località rurali, di 3 a 15 membri nelle città, di non oltre 40 membri per Pietrogrado e Mosca.

I congressi di cantone [o mandamento] sono esclusivamente rurali, ed ogni soviet di località vi invia un delegato per ogni 10 dei suoi membri, o frazione. Circa un delegato al Soviet di cantone per ogni 1000 abitanti.

I congressi di distretto sono rurali e urbani. I delegati rurali devono essere 1 per 1000 abitanti, e quindi le località di popolazione minore di 1000 eleggono insieme il loro inviato al distretto. Le città inferiori a 10 mila abitanti inviano anche delegati al congresso di distretto.

I congressi di governatorato devono avere rappresentanti dei Soviet municipali e rappresentanti dei congressi di cantone in ragione di 1 delegato ogni 2000 elettori: numero massimo 300 delegati.

I congressi di regione sono formati da rappresentanti dei Soviet municipali in ragione di un delegato ogni 5000 elettori, e da rappresentanti dei congressi di distretto in ragione di 1 delegato per 25 mila abitanti. Ovvero da delegati indicati dai congressi di governatorato, se riuniti prima, nelle stesse proporzioni. Non oltre 500 delegati per l’intera regione.

Nel congresso di regione, che è lo stadio immediatamente precedente il Congresso panrusso, ritorna il rapporto di 5 rurali per ogni urbano. Abbiamo ogni volta trascritta con cura la parola abitanti o elettori. Prima di trarne deduzioni, si esamini il IV capitolo, o Parte, sul Diritto Elettorale.

35 – Il «diritto al voto»

Art. 64. Sono elettori ed eleggibili ai Soviet, indipendentemente dalla nazionalità, dalla religione, dalla residenza, dal sesso, tutti i cittadini dai 18 anni in poi, appartenenti alle seguenti categorie:

a) Quelli che si guadagnano la vita con un lavoro produttivo o socialmente utile, o che si occupano delle necessità domestiche dei primi, e quindi: Operai ed impiegati di ogni specie e categoria nell’industria, commercio, agricoltura, ecc.; contadini e cosacchi; agricoltori che non impiegano manodopera al fine di ottenere un profitto; b) soldati dell’esercito e della marina; c) cittadini delle dette categorie che abbiano perduta la capacità lavorativa.

I soviet locali possono abbassare l’età minima. Come dall’articolo 20, sono elettori ed eleggibili gli stranieri di origine proletaria.

L’art. 65 stabilisce chi sono gli esclusi dal diritto di voto:

a) Chi impiega salariati per ottenere un profitto; b) chi vive di redditi non provenienti da lavoro: rendite immobiliari, profitti di intraprese, e simili; c) i commercianti privati e i rappresentanti di commercio; d) i frati, gli addetti ai culti e alle chiese; e) gli impiegati e agenti degli antichi corpi polizieschi, pubblici e segreti, e i membri della deposta casa regnante; f) gli alienati e interdetti; g) i condannati per furti e delitti infamanti nel termine di legge o di sentenza.

Possiamo ora riesaminare, sia pure qui sotto il profilo quantitativo, il rapporto tra la «dose di sovranità» che la Costituzione attribuisce al contadino e all’operaio delle città. Siccome nel primo caso si parla di un posto nel supremo organo statale (il Congresso panrusso) ogni 25 mila elettori e nel secondo di uno ogni 125 mila abitanti, si tratta di sapere il rapporto medio tra gli elettori e gli abitanti.

La distinzione tra città e campagne rimane fedelmente la stessa nella composizione dei congressi di regione. Nei gradi inferiori spesso il riferimento si fa nei due casi agli elettori con parità di proporzione al numero dei delegati (governatorato) o con parità, ma agli abitanti (distretto). Negli ultimi gradi (cantone, città, aggregato rurale) non si parla più di elettori, bensì di abitanti sempre. Alla base, per ragioni evidenti, la proporzione è sempre agli abitanti, molto piccola rispetto a quella del livello «politico» e anche invertita: un delegato su mille abitanti in città, mentre nelle località minime perfino uno su uno (assemblea generale diretta).

Ora il rapporto degli elettori agli abitanti con l’indicata estensione del diritto di voto è molto alto: gli esclusi sono pochi nelle città e quasi nessuno nelle località rurali, ove d’altra parte i soviet possono far votare anche i ragazzi che lavorano da età molto inferiore ai 18 anni. Di qui la scarsa importanza data al riferirsi agli elettori in campagna: tutta la famiglia contadina lavora, ed è contata nel voto al Soviet: quindi restano fuori solo i bambini più piccoli. Più semplice dunque prendere la cifra degli abitanti.

36 – Rapporto tra i due alleati

Dato che, specie nella società russa, tutti gli esclusi dal diritto di voto, o quasi, stanno nelle città, fu un motivo di principio quello che fece stabilire che i delegati, poniamo di Mosca, derivavano il potere dai lavoratori e non dagli sfruttatori di Mosca; e non perché si volesse mitigare l’inferiorità contadina rispetto alla città proletaria. Conserva quindi tutto il suo peso il rapporto di 1 a 5 e l’ulteriore ricerca ha valore di pura curiosità. Coloro che vivono di rendita e di profitto industriale non possono superare che una bassa percentuale, non più del dieci per cento e, in quella storica contingenza, in cui i ricchi erano già fuggiti dalle città e dalla parte del paese controllata dai Soviet, non più del 5 per cento. Resta quindi da detrarre la sola popolazione sotto i 18 anni. Secondo tabelle italiane, che possono essere comparabili alle russe, i minori di 18 anni sono circa il terzo degli abitanti. Se ne può dedurre che gli elettori rispetto agli abitanti sono 60 per cento, considerati anche gli esclusi.

Allora un delegato ogni 25 mila elettori vuol dire uno ogni 40 mila abitanti in città, che contro i 125 mila della campagna dà sempre un rapporto di circa tre. Dunque la forza politica data al proletariato, in teoria quintupla, diviene in pratica tripla, cosa sempre notevole; e distrutta nel 1936.

Tali rapporti riguardano però gli aventi diritto al voto, non i partecipanti ad esso. Considerata la difficoltà di raccogliere i voti nelle campagne in quella ardente situazione, è chiaro che basta questo fatto a rialzare il rapporto di forza a favore degli operai, ben più di quanto lo abbiamo ora disceso!

La ragione, di politica classista, era soprattutto che i contadini sono in Russia ben più numerosi dei proletari. Secondo cifre che Lenin riporta nel 1919, relative a 26 soli governatorati della Russia già «controllata», contro 42,4 milioni di popolazione delle campagne stanno 10,3 milioni delle città: un quarto circa. Il comunismo rivoluzionario ha la sua radice nelle città industriali e trae da esse la sua potenza dirigente: il transitorio alleato russo, che qualitativamente ne sta di un’intera epoca storica al di sotto, fu dalla dottrina e dalla forza del partito guida riportato anche quantitativamente al di sotto della classe proletaria, egemone della Rivoluzione Sociale.

Questo dato fondamentale, questa pietra angolare della Rivoluzione, fu sotto Stalin abbattuto, e allora vantata, e oggi più ancora, come merito agli occhi dei nuovi alleati, i capitalisti di occidente, la «ortodossia» democratica pura!

37 – La «dittatura democratica»

Urgendoci il tema dei rapporti di produzione, non possiamo abbandonare l’ordine cronologico dei fatti economici, e non ora svolgiamo la critica della costituzione del 1936, che verrà più oltre.

Tuttavia la forma storica uscita dalle lotte, più che dal volere dei partiti e degli uomini politici, costituì luminosa conferma della previsione teorica di Lenin e della sua interpretazione del divenire russo, anticipata due decenni prima, e soprattutto costituisce una riprova della efficacia dell’applicazione del metodo marxista alla storia che si svolge dopo averlo fondato su quella che già si è volta.

Prima che il fatto storico la confermasse, la formula poteva sembrare incomprensibile, e perfino, come avvenne allo stesso Trotsky, poco rivoluzionaria; pure essendo ben chiaro che non era una formula della rivoluzione europea, per cui valeva fin dal 1871, e fu agitata nel 1917 e anni seguenti, quella della «dittatura del proletariato» su tutte le altre classi superstiti. La formula di Lenin valeva dichiaratamente solo per la Russia e la sua uscita dal feudalesimo, nella previsione che doveva servire di punto d’appoggio non alla società socialista in Russia, ma ad una politica socialista del potere russo nella direzione della rivoluzione e della dittatura proletaria europea.

Tra il 1917 e il 1921 tutti i documenti della Rivoluzione stanno a provare quanto fosse ardua la dirigenza di questa politica dell’alleanza e del trattamento dell’alleato-pericolo. Il comportamento verso i vari strati contadini dovette fondarsi sul fatto che solo la loro forza combattente permise di non soccombere a quelle della controrivoluzione zarista e capitalista nelle dure lotte di anni ed anni, e in una serie di difficili tappe nello scambio tra i prodotti industriali e quelli agrari, che consentirono alle forze rivoluzionarie, prima ancora di vincere, di materialmente vivere, con sacrifici tremendi per l’avanguardia operaia delle città.

I difficili movimenti di questa perigliosa traversata storica sono ad ogni passo stati invocati dal dilagante opportunismo, quando ogni pericolo di controrivoluzione era stato eliminato, per obliterare la tesi dottrinale marxista e leninista circa la futura funzione reazionaria dei contadini proprietari di terra, o goditori di terra, che è lo stesso, e circa la necessità di una lotta ulteriore contro di essi dei salariati delle città e delle campagne.

38 – Quale termine doveva cadere?

Per il filisteo la formula di Lenin era contraddizione in termini, in quanto si ha la dittatura se si nega la democrazia, e la democrazia se si nega la dittatura; il che non toglie che il filisteo borghese opti sempre per la propria dittatura, e contro la democrazia «generale», quando non ha storicamente altra via per non essere fregato. Se questa situazione russa è transitoria, dissero i filistei, che cosa verrà dopo di essa? Dovrà buttarsi via il sostantivo dittatura, o l’aggettivo democratica?

Lo stalinismo del 1936 pretese che Lenin, fin dal 1919, avesse previsto che si sarebbe dovuti passare, ferma restando l’alleanza con i contadini, ad un’eliminazione della dittatura e ad una «democratica convivenza» di proletari e contadini.

Obliterò fin d’allora, e fin dalla promulgazione della controrivoluzionaria (in quanto appunto, come torneremo a spiegare in dettaglio a suo tempo, instaurava la menzogna del dichiarato avvento socialista) Costituzione del 1936, la teoria di Marx e di Lenin sul rapporto tra proletari e contadini, teoria chiaramente stabilita in tutti i testi dottrinali (per Lenin, tra gli altri, «Stato e rivoluzione» e «Il rinnegato Kautsky»). Estorse, Stalin, con le solite citazioni, la tesi che i caratteri salienti della rivoluzione del 1917, e perfino tra essi l’esclusione dal diritto di voto delle classi non operaie né contadine povere (senza di cui si sarebbe avuta una democrazia operaio-contadina, storicamente pensabile come una democrazia totale e borghese soltanto, e non una «dittatura» fruente dell’ora analizzato ingranaggio democratico), fossero una norma soltanto russa, e non uno storico saggio della molto più severa norma che nelle rivoluzioni dei paesi capitalisti avanzati avrebbe buttato fuori dallo Stato Rivoluzionario tutti i godenti di proventi estranei al lavoro.

Secondo la retta accezione non è il termine dittatura, ma quello democratica, che dovrà cadere (e che sarebbe caduto se la rivoluzione avesse vinto in Europa) per dar luogo alla dittatura proletaria, dopo la quale muore lo Stato, e con esso e per sempre la democrazia.

Per stabilire questo ci serviremo del testo di Lenin, su cui la speculazione staliniana venne fondata per compiere il voltafaccia, e lo riferiremo al quadro della situazione in cui fu dettato: e a tutta la sua costruzione.

39 – Dittatura e democrazia proletaria

L’ordine cronologico, anche interponendo altra pausa alle questioni di stretta economia, ci riporta ad uno scritto che Lenin stese nell’aprile 1918, dal titolo: «I compiti immediati del potere sovietico».

Caratterizza l’impostazione storica di questo scritto la sua successione immediata alla Pace di Brest Litovsk. In aprile 1918 appare che il più grande sforzo militare della rivoluzione per difendere il conquistato potere sia già passato. Sebbene in queste stesse pagine Lenin ribatta la necessità di un potere di ferro e non perda di vista l’eventualità della guerra civile, egli considera che si sia passati ad una terza tappa; dopo la prima tappa della conquista del potere di ottobre 1917, e la successiva della sua salvezza dall’agguato dell’imperialismo tedesco, e dello schiacciamento di una prima serie di assalti reazionari, di cui Lenin elenca quelli di Kerenski, Krasnov, Savinkov, Goz, Dutov e Bogaevskij, che allora si era arreso nel Don. Cita infatti il solo Gegechkori come una forza ancora resistente in armi. Non sembra prevedere che ulteriori lotte saranno aizzate dagli imperialisti del campo opposto ai tedeschi, che la «seconda tappa» dovrà ancora fare i conti con Kolčak, Denikin, Judenič, Wrangel e tutti gli altri che ben conosciamo; sicché dal 1919 al principio del 1921 si ricadrà in questa seconda tappa. La terza, che Lenin studia in quell’aprile 1918, è quella di «amministrare la Russia», e tutto il contesto mostra come sarebbe una fortuna riuscire a farlo pur conservando molte e molte forme borghesi e capitaliste.

Tuttavia il criterio della struttura del potere è qui pienamente rivendicato e contrasta alquanto con le citazioni sfruttate da Stalin, che risalgono al tempo dell’VIII congresso del partito bolscevico, marzo 1919, in un momento in cui la difesa armata era tuttora il compito primario della rivoluzione bolscevica. La differenza delle due situazioni può spiegare il diverso tono delle enunciazioni, dato che quelle che fece comodo a Stalin usare nel 1936 non fossero state deformate, come è lecito credere.

Le parole dello scritto del 1918 sono queste:
«Il carattere socialista della democrazia sovietica, cioè proletaria [corsivo del testo], nella sua applicazione concreta, attuale, consiste in primo luogo [corsivo nostro] nel fatto che gli elettori sono le masse lavoratrici sfruttate, e che la borghesia è esclusa; in secondo luogo tutte le formalità burocratiche e le restrizioni elettorali sono cessate: le masse fissano esse stesse il sistema e la data delle elezioni, ed hanno piena libertà di revocare gli eletti».

Lenin in terzo luogo sottolinea quella che chiama coincidenza tra il potere legislativo e quello esecutivo, e si riporta al
«compito di far sì che tutta la popolazione impari a governare e cominci a governare».

Aggiunge questa formulazione:
«Tali sono i principali contrassegni del democratismo messo in atto in Russia, democratismo di tipo superiore, che rompe con la contraffazione borghese del democratismo e segna il passaggio al democratismo socialista, a condizioni che permettono allo Stato di estinguersi»[156].
Abbiamo sottolineato questo per collegarci ad un passo solo di Lenin in «Stato e rivoluzione», anzi al fondamentale passo di Engels, che Lenin cita:
«… per un partito il cui programma economico non è solo socialista in generale, ma veramente comunista, per un partito il cui scopo politico finale è la soppressione di ogni Stato e, quindi, di ogni democrazia«[157]. Engels parla del nostro, ossia del suo partito, allora ammorbato dal nome di socialdemocrazia. La citazione è nel cap. IV, n. 6, dal titolo: «Engels sul superamento della democrazia». E Lenin fa sua l’idea nel contesto più volte:
«infinitamente più importante della questione del nome del partito è l’atteggiamento del proletariato verso lo Stato […]. Si cade abitualmente nell’errore contro il quale Engels mette in guardia […] cioè si dimentica che la soppressione dello Stato è anche la soppressione della democrazia, e che l’estinzione dello Stato è l’estinzione della democrazia».

40 – Decisione nella dittatura

Nello stesso scritto di aprile 1918 il concetto di democrazia estrema, proletaria, di governo della popolazione – capolavoro della rivoluzione russa – non toglie non solo che la Dittatura sia richiesta sempre più inesorabile, ma – contro mille ideologi piccolo-borghesi ed anarcoidi del tempo – sia nella più netta maniera giustificata marxisticamente la forma unipersonale del suo esercizio. Questo, al tempo del «ritorno al marxismo-leninismo» nello sconcio XX congresso, non lo possiamo saltare. Né un Carlo Marx né un Vladimiro Lenin hanno mai applicato alla Dittatura l’oggi favoleggiato preservativo collegiale, o altro lubrificante.

Lenin parte dalle resistenze incontrate dalla decisione del III congresso dei Soviet su una «organizzazione ben congegnata» o «funzionale», e sul rafforzamento della disciplina. È uno dei tanti atti della lotta contro l’autonomismo anarcoide nelle fabbriche e nelle aziende, sulla loro autodirezione di massa, fesseria gigante di cui ci liberammo in dottrina ai primi passi marxisti, in pratica in quel torno del 1919, e che oggi c’è chi tira fuori come nuova formula della società proletaria, in correzione di Marx! Lenin qui staffila quelle posizioni piccolo-borghesi e pseudo-estremiste (a suo tempo egli apprese esserne stata la Sinistra italiana sempre spietata nemica), e quanto scrive può valere per i «ritornatori» a lui nelle sbevazzate sulla democrazia popolare e le direzioni collegiali.

«Sarebbe una grossissima sciocchezza e un ridicolissimo utopismo ritenere che senza costrizione e senza dittatura si possa passare dal capitalismo al socialismo»[158].

«In ogni transizione del genere la dittatura è indispensabile per due ragioni essenziali».
La prima è la resistenza degli sfruttatori, la seconda è che, anche senza la guerra esterna, è inevitabile l’interna guerra civile.

«Di questo insegnamento di tutte le rivoluzioni Marx ha dato una formula breve, netta, precisa ed incisiva: dittatura del proletariato.»

«Ma dittatura è una grande parola. E le grandi parole non vanno gettate al vento. La dittatura è un potere ferreo, rivoluzionariamente audace e rapido, implacabile nel reprimere sia gli sfruttatori che i criminali. Il nostro potere invece è eccessivamente mite; addirittura più simile alla gelatina che al ferro!».

«[…] Questo elemento [la controrivoluzione] agisce dall’interno, sfruttando ogni fattore di disgregazione, ogni debolezza, per corrompere, per aggravare l’indisciplina, la rilassatezza, il caos. Quanto più ci avviciniamo alla definitiva repressione armata della borghesia, tanto più questo elemento anarchico piccolo-borghese diventa per noi pericoloso […] La lotta contro di esso va condotta […] anche con la costrizione.»

«La lotta si è accesa su questo terreno intorno all’ultimo decreto sull’amministrazione delle ferrovie, che conferisce pieni poteri dittatoriali (o ‹poteri illimitati›) a singoli dirigenti […] Tra i socialisti-rivoluzionari si è sviluppata contro il decreto un’agitazione veramente da banditi».

41 – È marxista l’autorità individuale

Quei da Mosca, pigliate su:
«La questione ha assunto veramente un’enorme importanza: in primo luogo in linea di principio la nomina di singoli individui, investiti di poteri dittatoriali, illimitati, è o no compatibile con i principi fondamentali del potere sovietico?».

«Che assai spesso, nella storia dei movimenti rivoluzionari, la dittatura di singoli individui sia stata espressione, veicolo, strumento della dittatura delle classi rivoluzionarie, lo dimostra l’inconfutabile esperienza della storia. La dittatura di singoli è stata indubbiamente compatibile con la democrazia borghese».
Quante volte non abbiamo ricordato al filisteismo sinistroide italico il Generale Garibaldi, dittatore a Napoli, che fessamente la consegnò ad un re parlamentare?

Voi, dice Lenin ai filistei di Europa 1918, volete da noi una democrazia superiore a quella borghese, e poi ci dite: Con la vostra democrazia sovietica, ossia socialista, la dittatura personale è assolutamente incompatibile!

«Questi ragionamenti non stanno in piedi. Se non siamo anarchici, dobbiamo ammettere la necessità di uno Stato, cioè della coercizione, per il passaggio dal capitalismo al socialismo».
La forma di quella coercizione è determinata, Lenin spiega, da una serie di circostanze: sviluppo della classe rivoluzionaria, effetti della guerra, grado di resistenza degli sfruttatori.
«Non v’è quindi assolutamente nessuna contraddizione di principio tra la democrazia sovietica e l’uso del potere dittatoriale di singoli individui».
La contraddizione di principio non sta tra mollezza democratica e dittatura individuale, ma tra dittatura condotta dalla borghesia contro il proletariato, e dittatura del proletariato per schiacciare la borghesia. Purché passi la seconda e non la prima, ben venga la direzione suprema individuale, nelle adatte circostanze; esempio preclaro: Lenin stesso in aprile ed ottobre, contro tutti i «collegi» infessiti.

Chiarita la questione della dittatura politica suprema, Lenin passa a quella nei singoli servizi ed istituti dello Stato rivoluzionario, e ne fa una altrettanto serrata e risoluta difesa. Le formule sono tali da far l’effetto del panno rosso davanti al toro sui soliti piccolo-borghesi e libertari.
«Qualsiasi grande industria meccanica esige un’assoluta e rigorosissima unità di volontà, che diriga il lavoro comune di centinaia, migliaia e decine di migliaia di uomini».
«Come assicurare la più rigorosa unità di volontà? Con la sottomissione della volontà di migliaia di persone alla volontà di uno solo».
Più cruda di così non vi si poteva somministrare, patiti della dignità della persona!

«La rivoluzione ha appena spezzato le più antiche, solide e pesanti catene imposte alle masse dal regime del bastone. Così accadeva ieri; ma oggi la rivoluzione stessa esige, e proprio nell’interesse del socialismo, la sottomissione senza riserve delle masse alla volontà unica di chi dirige il processo lavorativo […] una disciplina ferrea durante il lavoro, una sottomissione senza riserve alla volontà di una sola persona, del dirigente sovietico».

42 – Conclusioni al 1918

Ripetiamo che non abbiamo aggiunto nessun corsivo a quelle parole e frasi incisive, di cui si potrebbe compiere un florilegio per i rapporti sui crimini… di Stalin, da dare da bere ai fessi.

Il quadro della situazione dato da Lenin cominciava con lo stabilire la precarietà della tregua che la Russia aveva ottenuto nel persistere della conflagrazione mondiale. Non si trattava affatto di «costruire socialismo». Si dovevano
«tendere al massimo tutte le forze per sfruttare la tregua concessaci da un concorso di circostanze per curare le più gravi ferite inferte dalla guerra a tutto l’organismo sociale della Russia e per risollevare economicamente il paese, senza di che non si può nemmeno parlare di un aumento più o meno serio delle sue capacità di difesa».

E Lenin aggiunge:
«È chiaro altresì che potremo recare un serio contributo alla rivoluzione socialista in occidente – che ritarda per una serie di circostanze – solo se sapremo risolvere il problema organizzativo che ci sta dinanzi»[159].

Interessano lo sviluppo dei rapporti produttivi i temi che seguono: Nuova fase della lotta contro la borghesia, che impone di «rallentare», sia pure non politicamente, l’offensiva contro il capitale. Importanza della lotta per il censimento (o inventario) economico e il controllo popolare. Aumento della produttività del lavoro, difettosa in Russia. Organizzazione dell’«emulazione». Organizzazione ben congegnata e dittatura (cui abbiamo sopra attinto) – Sviluppo dell’organizzazione sovietica. Per dimostrare la necessità del censimento economico Lenin scrive queste rilevanti parole, nelle quali si legge il futuro superamento del mercantilismo, da cui ancora la Russia di oggi è ben lontana:
«Lo Stato socialista può sorgere soltanto come una rete di comuni di produzione e di consumo che calcolino coscienziosamente la loro produzione e i loro consumi, economizzino il lavoro, ne elevino costantemente la produttività, riuscendo così a ridurre la giornata lavorativa a sette, a sei ore e anche meno»[160].
L’analisi economica ci renderà del tutto evidente che la società russa «di Stalin» è andata in direzioni opposte su tutti questi punti, uno per uno.

Nella conclusione finale del suo scritto Lenin torna ad additare come il più grave pericolo «il minaccioso elemento della rilassatezza e dell’anarchismo piccolo-borghese» e come il più importante compito dell’ora la lotta contro di esso.

Al puntò di dire:
«Questo è l’anello della catena degli avvenimenti storici a cui ora dobbiamo afferrarci con tutte le nostre forze per dimostrarci all’altezza del nostro compito, fino a quando passeremo all’anello seguente».

Era forse l’anello seguente «l’edificazione del socialismo» in Russia?! Lenin lo dice subito:
«L’anello che ci attrae con particolare splendore, con lo splendore delle vittorie della rivoluzione proletaria internazionale»[161].

E stavolta le maiuscole ci devono andare!

Egli torna a bollare il rivoluzionario chiacchierone ed impaziente.
«L’origine sociale di tipi siffatti è il piccolo proprietario esasperato dalla guerra, dall’improvvisa rovina […] che si dibatte istericamente […] oscillando tra la fiducia nel proletariato e gli accessi di disperazione…».
«Bisogna capire bene e fissarsi bene in mente che su questa base sociale non si può edificare nessun socialismo»[162].
Zac!

43 – Democrazia, eredità contadina

Per intendere che la linea storica, prima teorizzata e poi attuata, della rivoluzione bolscevica non contiene MAI l’edificazione del socialismo nella Russia isolata – che le sue tappe sono: conquista del potere politico da parte del partito operaio; completamento della rivoluzione democratica borghese; rivoluzione socialista politica, ossia dirigenza sociale anche nelle campagne da parte dello Stato operaio – basta ricorrere alla polemica di Lenin (e di Trotsky) contro i traditori del marxismo in occidente.

Le tappe della rivoluzione russa nelle campagne sono anzitutto determinate dalle condizioni di fatto: agricoltura estensiva, limitatissimo numero di salariati rispetto al contadiname totale, ignoranza tecnica e culturale nelle campagne.

(In Italia dovremmo essere in prima linea per la forza gloriosa del bracciantato rurale, prima fila del comunismo, e del capitalismo intraprenditore agrario: Lenin rinfaccia agli opportunisti che in Inghilterra vi sono ben pochi piccoli contadini, ma ciò è compensato dall’imborghesimento dei proletari di un’industria che allora succhiava da tutto il mondo. Tra noi, in combutta lurida, partito dei preti e partito degli stalinisti lavorano ad imborghesire il proletariato rurale quanto le aristocrazie urbane tipo FIAT ove bene hanno allignato).

Da una situazione come quella russa ad una gestione collettivista dell’agricoltura non si passa che traverso molte e lunghe fasi di transizione. Una sola forza storica le poteva abbreviare: la rivoluzione in Europa.

Dai testi di Lenin più volte risulta che la democrazia nello Stato operaio, nella formula di democrazia contadino-operaia, o in quella di democrazia proletaria, ci è rimasta nelle costole a causa della situazione delle campagne: non si poteva fare diversamente. Ma tutta la lotta è stata parimenti condotta nelle forme non parlamentari, ma dittatoriali, dal partito rivoluzionario: conquista gigante soprattutto per la rivoluzione occidentale, che ancora attendiamo.

Nel marzo del 1919 Lenin da un lato parla ad ogni passo della rivoluzione ungherese che vince le sue battaglie – dall’altro vede le nuvole nere della guerra civile che ha riconquistato territori alle truppe bianche, le quali tendono a trovare base oltre che nei ricchi kulak (che non è difficile liquidare nelle ritirate dei rossi) nella massa oscillante (Lenin) dei contadini medi. Lenin lotta disperatamente perché non si commetta l’errore di farseli nemici, e rivendica concessioni per essi, senza nascondere che sono di tipo borghese.

Prendiamo da un testo di allora un passo importante:
«La nostra opera di edificazione nelle campagne [né del socialismo, né delle sue basi] ha già superato il periodo nel quale tutto era subordinato all’esigenza fondamentale: la lotta per il potere».
E così Lenin scolpisce il trapasso di Ottobre:
«Questa opera di edificazione ha attraversato due fasi principali. Nell’Ottobre 1917 abbiamo preso il potere insieme ai contadini nel loro complesso [corsivo di Lenin]. Era una rivoluzione borghese, in quanto la lotta di classe [Lenin intende non tra contadini e feudatari, ma tra contadini semi-proletari e contadini ricchi, borghesi] nelle campagne non si era ancora sviluppata. Come ho già detto, la vera rivoluzione proletaria nelle campagne ebbe inizio soltanto nell’estate del 1918. Se non avessimo saputo suscitare questa rivoluzione, la nostra opera non sarebbe stata completa».
Lenin, sempre superbo di esattezza e chiarezza (e pure tanto falsato!), insiste ancora:
«La prima tappa fu la conquista del potere nelle città e l’instaurazione della forma sovietica di governo. La seconda tappa fu ciò che è essenziale per tutti i socialisti, senza di che i socialisti non sono tali: la differenziazione, nelle campagne, degli elementi proletari e semi-proletari [contadini costretti a prestare opera parziale di salariati] e la loro unione con il proletariato delle città per la lotta contro la borghesia rurale. Anche questa tappa nelle sue grandi linee è terminata»[163].
E qui Lenin ricorda i Comitati dei contadini poveri, e la possibilità ottenuta di «sostituirli con Soviet regolarmente eletti», organi dello stesso potere proletario nelle campagne.

Nella risposta a Kautsky egli annota che nel VI congresso dei Soviet del settembre 1918 i delegati bolscevichi, tra città e campagne, erano il 97 per cento[164]. Spulciate pure le concessioni di Lenin alla parola democrazia: non resterete che con un pugno… di pulci in mano.

44 – Lezione ai rinnegati

La formula di avere seguito i contadini, nella prima tappa, nel loro insieme, non è un modo di dire, ma un teorema della dottrina. La troviamo nell’«Anti-Kautsky» (scritto in fine del 1918).

«Tutti sanno che soltanto nell’estate e nell’autunno del 1918 i nostri villaggi hanno compiuto la ‹Rivoluzione d’Ottobre› (cioè la rivoluzione proletaria [parentesi nel testo])… A un anno dalla rivoluzione proletaria nelle capitali [sic!] è scoppiata, sotto l’influenza e con l’aiuto di questa, la rivoluzione proletaria nei villaggi più sperduti».

«Dopo aver portato a termine, assieme ai contadini nella loro [udite] totalità, la rivoluzione [udite] democratica borghese, il proletariato di Russia, appena è riuscito a scindere le campagne, a unire a sé i proletari e i semi-proletari rurali, a raggrupparli nella lotta contro i kulak e la borghesia, compresa la borghesia contadina, è passato definitivamente alla rivoluzione socialista».
E noi aggiungiamo: politica.

In mancanza di questo, Lenin segue, si sarebbe visto che il proletariato russo non era maturo per la rivoluzione socialista, i contadini sarebbero rimasti
«un tutto unico»«e la rivoluzione non avrebbe varcato i confini della rivoluzione democratica borghese».

Anche in questo casoLenin dice, badate – non sarebbe dimostrato che il proletariato non dovesse prendere il potere! E adesso ascoltate bene – siamo in fase, per quei cialtroni, di ritorno a Marx-Lenin!
«Giacché solo il proletariato ha condotto realmente a termine la rivoluzione democratica borghese, soltanto il proletariato [lasciateci anche qui enfatizzare!] ha fatto qualcosa di serio per avvicinare la rivoluzione proletaria mondiale, soltanto il proletariato ha creato lo Stato sovietico, compiendo il secondo passo – dopo la Comune – verso lo Stato Socialista»[165].

In principio marxista, rivoluzione socialista vuol dire creazione dello Stato socialista. Che può essere fondato in un paese solo, anche arretrato.

La creazione della società socialista in Russia è un granchio, che dalla penna marxista di Lenin non è mai uscito, signori falsari.

Egli ripete (lo fa sempre):
«La rivoluzione dei contadini nel loro insieme è ancora una rivoluzione borghese, e in un paese arretrato è impossibile trasformarla in rivoluzione socialista senza una serie di trapassi e stadi di transizione».

Si parla sempre di rivoluzione di classe, non di struttura economico-sociale. Uno di quegli stadi erano i venti anni, dopo i quali, anche tardando la rivoluzione in occidente, si poteva passare non al socialismo, ma dalla democrazia operaio-contadina nella forma sovietica alla pura dittatura proletaria, senza democrazia comunque aggettivata.

Dobbiamo ancora vedere come lo stalinismo ha sostenuto – e il preteso anti-stalinismo ripete – che proprio in quelle date Lenin prevedeva che si sarebbe passati dalla dittatura al suffragio universale! Nessun interesse hanno, i venticongressisti, a dirci dove si trova il falso editoriale.

Nella polemica con Kautsky, Lenin, dopo aver ricordato che «in Russia vi sono operai agricoli [salariati] ma il loro numero è limitato», e dopo avere ammesso che in forza della democrazia operaio-contadina si dovette, malgrado la dittatura delle bolsceviche capitali, subire la formula socialrivoluzionaria del godimento egualitario, cioè della non marxista pratica spartizione, deride la soluzione di Kautsky, che ormai «sente» una democrazia sola: quella borghese.

«Egli non tocca affatto il problema posto dal potere sovietico del modo come passare alla coltivazione della terra mediante le comuni e le associazioni. Ma la cosa più curiosa è che Kautsky vuol vedere ‹qualcosa di socialista› nella cessione in affitto dei piccoli appezzamenti. In realtà, questa è una parola d’ordine piccolo-borghese in cui non vi è l’ombra di ‹socialismo›. Se lo ‹Stato› che dà in affitto la terra non è uno Stato del tipo della Comune, ma una repubblica parlamentare borghese (tale l’eterna ipotesi di Kautsky) la cessione della terra in piccoli lotti sarà una tipica riforma liberale»[166].

Proveremo che la formula del colcos non è leniniana, ma sotto-kautskiana.



Notes:
[prev.] [content] [end]

  1. «I compiti immediati del potere sovietico», in Lenin, «Opere», XXVII. pagg. 243–244. [⤒]

  2. «Stato e rivoluzione», in Lenin, «Opere», XXV. pag. 427 e, poi, 428. [⤒]

  3. «I compiti immediati del potere sovietico», in Lenin, «Opere», XXVII., pag. 235. Le citazioni seguenti alle pagg. 237, 239, 240, 242, 243. [⤒]

  4. «I compiti immediati del potere sovietico», in Lenin, «Opere», XXVII., pag. 214. [⤒]

  5. «I compiti immediati del potere sovietico», in Lenin, «Opere», XXVII., pag. 227. [⤒]

  6. «I compiti immediati del potere sovietico», in Lenin, «Opere», XXVII., pagg. 246–247. [⤒]

  7. «I compiti immediati del potere sovietico», in Lenin, «Opere», XXVII., pagg. 247–248. Il lettore si documenti sullo sviluppo della stessa polemica nel parallelo «Rapporto sui compiti immediati del potere sovietico» presentato da Lenin alla seduta del Comitato Esecutivo Centrale di tutta la Russia del 29 aprile 1918 («Opere», XXVII, pagg. 251–274) e lo tenga presente anche in vista di quanto si dirà più avanti sulla NEP, oltre che sulla questione del capitalismo di Stato in generale. [⤒]

  8. «Rapporto sul lavoro nelle campagne», 23 marzo 1919, in Lenin, «Opere», XXIX, pagg. 182–183. [⤒]

  9. «La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky», in Lenin, «Opere», XXVIII, pag. 307. [⤒]

  10. «La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky», in Lenin, «Opere», XXVIII, pag. 307 e 308. [⤒]

  11. «La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky», in Lenin, «Opere», XXVIII, pag. 310. [⤒]


Source: «Il Programma Comunista», N. 17, Agosto 1956

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