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TORNA LA QUESTIONE EBRAICA?


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Torna la questione ebraica?
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Torna la questione ebraica?

Sembra che si levi all’orizzonte una questione di cui il marxismo classico fornisce subito gli indiscussi estremi, inquadrati nella teoria della razza e della nazione. Basti per ora un richiamo di pochi spunti, specie per i giovani cui la cosa sa di nuovo, e per questa Italia in cui mai si è parlato di un conflitto di razza contro gli ebrei, nemmeno – se non per… ragioni d’ufficio – sotto il fascismo.

Marx era ebreo, chi non lo sa? Ma gli ebrei sarebbero pronti a classificarlo come un rinnegato della razza, malgrado la loro civetteria nell’attribuirsi tutti i grandi geni della umanità: Mose, Cristo, Paolo, Marx, Einstein.

Ma con Marx finiva la voga delle dottrine sui popoli eletti da Dio, gli uomini inviati da Dio. Marx introduceva la chiave degli interessi economici e delle classi sociali, e nel nuovo quadro della storia la funzione delle razze e nazionalità non scompariva, ma veniva trasportata sotto una luce polarizzata. Marx giovane era in mezzo ad una democrazia borghese non ancora del tutto sfatta, che ponendosi di contro come fantasma antirivoluzionario la chiesa cristiana, simpatizzava per i giovani ebrei anticlericali massonici e (un poco a denti stretti) atei. Ma nella sua geniale «Judenfrage», l’Ebreo nella società moderna perde la veste suggestiva del rivoluzionario e viene refratto nel borghese, il nemico della nostra e nuova rivoluzione.

La simpatia per gli ebrei non finì tanto presto e molti di essi furono, quanto il maestro, valenti compagni di strada del comunismo proletario. Non finiva contro di essi l’odio chiesastico e cristiano, e ancora in fine del secolo la questione dell’antisemitismo, scottante sempre in tutta l’Europa orientale e centrale e sotto la maledizione zarista, bestia nera del marxismo, esplodeva in Francia nel famoso affaire Dreyfus, con l’innocente ufficiale condannato come spia dell’incanata clericale e sciovinista.

I massacri della controrivoluzione russa furono in gran parte strage di eroici combattenti ebrei con baricentro nell’epico ghetto di Varsavia. Nel tempo della Prima Guerra Mondiale la questione dei rapporti tra ebrei e socialismo è in primo piano. Perché, dicevamo noi socialisti latini, ma soprattutto internazionalisti e arazzisti, deve esistere un «Bund», un partito proletario ebreo?

Presto i marxisti ebrei furono tutti coi bolscevichi. Bastino i nomi dei Trotzky, Zinoviev, Kamenev, Radek e tanti altri, e basti fuori di Russia il nome di Liebknecht. In tutti i partiti vi erano compagni ebrei valorosi e di prima linea. E in Italia? Se ve ne erano non lo si sapeva, con stupore dei compagni esteri. La distinzione non era avvertita, e solo nella papesca Roma qualche imbecille sapeva chi erano i «giudii». Noi arrivavamo ad elencare solo per notorietà il compagno Terracini. Allora non gli fregava niente di essere cattolico o israelita, come non fregherebbe ad uno di noi: oggi non so, forse non gli frega più dell’appellativo di compagno.

Ogni buon compagno ebreo trattava la questione da… non ebreo. In un comizio di compagni ebrei a Berlino parlava, da marxista par suo, Karl Radek. Fu così radicale che un ebreo del pubblico si indignò. Non era facile non prendere Radek per israelita, la sua faccia splendente di ingegno poteva essere prestata allo scespiriano Shylok. Ma quello gli urlò: non sei ebreo! Radek ebbe il suo ghigno ed un gesto che non diciamo. Ah sí? Passa un momento nel corridoio, e ti mostrerò che sono ebreo!

Non è la critica della teoria storica del popolo eletto che vogliamo ora tracciare. Nella serie dei loro calvari gli ebrei hanno pagato il peso di aver fatto di questa teoria la loro bandiera. Se con i cattolici quanto a deismo si equivalgono, perdettero la partita storica per il cosmopolitismo cattolico romano. Anche nella ondata recente dell’hitlerismo la grandezza di Roma si vide nella non discriminazione dei suoi millenari nemici di Sion.

Il nazismo voleva per sé il ruolo del popolo eletto, ruolo idiota e nefando. In Italia vi era da sfruttare la Roma pagana e non cristiana. Ma in Germania si ricorse all’idolo senza grandi colori della razza ariana. Chi è un ariano? Può essere un celta o un indiano, quel che si vuole. La definizione dovette essere negativa e fu infame: ariano è chi non è ebreo. La cosa si ridusse, nelle persecuzioni bestiali, a passare in corridoio alla Radek.

È rimasto qualcosa in piedi di questa dottrina razziale ariana? Può essa ridipingersi in un qualunque modo? Che sottostrato sociale rappresenta?

Il marxismo non ha difficoltà a liquidare questo problema con armi intatte e lucide di un secolo di grande storia. Gli ebrei hanno risolta la loro questione storica, dopo che Hitler fu schiacciato, ottenendo una terra ed uno Stato. Dietro di essi vi è il sistema capitalista e mercantile di sempre.

Ma che di diverso e migliore vi sarebbe dietro uno sciagurato antisemitismo di oggi 1960? Vi può essere un tessuto connettivo tra questi gruppetti di Bonn, di Londra, di America?

Per ora vale solo un confronto. Roma tutelò gli ebrei tra tutti gli altri antifascisti, più o meno resistenti in convento.

Fece, fa o farà qualcosa Mosca per essi? Fuori le carte! Non ricorderemo chi uccise i grandi bolscevichi di cui abbiamo scritto qui sopra i nomi. Ma restano i nomi di tre città e le date di tre anni da non scordare. Varsavia 1945, Berlino 1953, Budapest 1956. In tutti questi episodi tragici della storia del dopoguerra vi furono ebrei contro moscoviti. Non sempre lo stesso taglio razziale coincide con quello di classe. Ma soprattutto nel 1945 davanti a Varsavia i russi attesero il tempo necessario perché le ultime forze di Hitler annegassero il ghetto nel sangue. Sapeva Mosca che ne avrebbe tratto vantaggio immenso. Varsavia non era in quel momento ebrea o non ebrea, non era meno contro Mosca che contro Berlino; cadeva per la rivoluzione proletaria senza razza e senza bandiera! Cadeva per un’altra gloriosa Comune. Assisteremo tra le vergogne di questo tempo di lenoni ad una campagna dei servitori di Mosca che voglia scongiurare il mostro dell’antisemitismo? La cosa è del tutto prevedibile e plausibile.

Gli ebrei sono vittime di una illusione di millenni, ma hanno nel sangue l’intelligenza della storia. Se interrogati sulle memorie atroci dello sterminio nazista e sulle misure contro il rinascere del mostro, rifiuteranno una salvezza che dovesse loro venire dal Kremlino, ove si nazisteggia nel mito di un altro popolo eletto, e si cerca la missione di quello russo nella tradizione nazionale di Pietro il Grande.


Source: «Il Programma Comunista» n. 3 del 1960

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