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AFRICA AMARA


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Africa amara
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Africa amara

In un articolo pubblicato nel n. 6 di quest’anno, [«Evviva la zagaglia barbara»] avevamo presagito – illustrando i rapporti di produzione e di lavoro vigenti nelle colonie portoghesi in Africa, – che nessun cordone sanitario avrebbe impedito alla rivolta negra di estendersi entro i confini dell’Angola o del Mozambico. Le recentissime sommosse e la loro feroce repressione ne hanno dato una pronta conferma.

Del resto, le autorità coloniali di Lisbona non sono nemmeno riuscite ad impedire che, in senso inverso, le notizie sulla tensione sociale nei territori d’oltremare (considerate dai dirigenti portoghesi come «provincie metropolitane», i cui abitanti è loro cristianissimo dovere di proteggere, educare e… incivilire) varcassero i confini e giungessero sia in Europa, sia alle N.U., dove 39 paesi afro-asiatici – ancora illusi di potersi servire di questo strumento ai finì della «decolonizzazione» – hanno presentato il 21 marzo una mozione affinché il problema delle colonie portoghesi e del loro aperto disprezzo dei «diritti fondamentali dell’uomo» sia discusso pubblicamente e con urgenza (campa cavallo!).

Non è da oggi, infatti, che S.M. cristianissima il fucile porta la… civiltà fra i negri soggetti a Lisbona. Citiamo alcune tappe di quest’opera gloriosa:
Agosto 1959: a Pijiguiti, nella Guinea portoghese, i lavoratori negri del porto entrano in sciopero; alcune diecine vengono uccisi a colpi di mitraglia.
Luglio 1960: a Cabinda, nell’Angola: massacro di operai manifestanti per rivendicazioni economiche.
Settembre 1960; a Mueve, nel Mozambico: più di 100 africani uccisi dalle forze dell’ordine durante una manifestazione a favore di due arrestati negri.
Ottobre 1960; a Icolo e Bengo, sempre nell’Angola: 30 morti e 200 feriti, e i villaggi rasi al suolo, per una analoga manifestazione di protesta.
Novembre 1960; a Loanda, nell’Angola: 8 prigionieri della prigione militare fucilati sul posto, senza processo.
Febbraio 1960; sempre a Loanda, nell’Angola: i morti in seguito alla repressione di una sommossa risultano – secondo un corrispondente della Radio-TV francese (forse lieto di poter scaricare sui portoghesi un po’ delle… glorie di cui il suo esercito si è coperto in Algeria) – circa 800. E, si badi, sono sommosse più o meno «urbane», che prescindono dalla guerriglia in corso nella boscaglia o ai margini delle grosse piantagioni europee.

È proprio sul terreno dei rapporti di lavoro (per i quali rimandiamo ai primo sommario articolo da noi pubblicato nel n. 6 di quest’anno), che tali sommosse sono perlopiù avvenute, o direttamente, o indirettamente, cioè per solidarietà verso arrestati e torturati. Le colonie portoghesi sono uno di quei casi di cui parlava Marx, in cui l’impianto di rapporti di produzione capitalistici in continenti extra-europei non esclude la persistenza di un’economia schiavista, ma si sovrappone e intreccia ad essa: qui il Capitale si serve sia della bandiera del «lavoro libero», sia di quella della schiavitù e del servaggio; diventa negriero nel modo e nelle forme classiche.

Ed è, naturalmente, benedetto dagli zelantissimi preti metropolitani…


Source: «Il Programma Comunista», 22 Aprile 1961, Anno X, n.8

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