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LACRIME E SANGUE NELL'ANGOLA
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Lacrime e sangue nell'Angola
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Lacrime e sangue nell'Angola
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Se perfino missionari, diplomatici e giornalisti si sono scomodati a denunziare i crimini del colonialismo portoghese nell'Angola (e negli altri possedimenti extrametropolitani del cristianissimo Portogallo) e a calcolare in 100.000 gli indigeni sterminati durante le recenti campagne di repressione delle rivolte negre, si può star certi che quest'ultima cifra è inferiore alla realtà, e i primi assai peggiori di quel che si dica.

La repressione, del resto, ha le stesse origini di quelle che hanno punteggiato di lacrime e sangue la opera... civilizzatrice del capitalismo bianco in tutto il mondo: da due anni l'Angola attraversa, per i portoghesi, un periodo di boom economico con forti esportazioni di caffè, diamanti industriali, sisal, olio di palma, prodotti della pesca, che contribuiscono a sanare il deficit della bilancia commerciale portoghese (giacché l'Angola è «provincia», non colonia, del Portogallo!), e i grandi piantatori, mercanti e industriali metropolitani non possono tollerare che «quegli animali di indigeni» turbino con le loro pretese la dolce vita delle loro aziende, prospere e benedette come sono dal cattolicissimo governo di Lisbona.

D'altra parte, sotto la pressione di ciò che avviene in altri settori dell'Africa nera, la popolazione indigena non si mostra più disposta a tollerare un giogo che è tra i più infami di cui la storia della civilizzazione bianca del pianeta possa vantarsi. Non tollera più la schiavitù del famoso «lavoro obbligato» che, come abbiamo già avuto occasione di spiegare in articoli precedenti, mette i negri alla mercé della polizia e dei mediatori bianchi per un periodo minimo di sei mesi di occupazione forzata equivalente alla schiavitù (anzi più feroce, perché il sistema vigente combina gli aspetti peggiori dello schiavismo precapitalistico con quelli del «libero salariato» capitalistico, eliminando invece i fattori di compenso impliciti nel patriarcale rapporto schiavo-padrone); non tollera più la tortura e lo scudiscio come mezzi normali di... arruolamento dei «disoccupati» e degli «oziosi», o l'obbligo - soddisfatto prevalentemente dalle donne e dai bambini - di provvedere alla manutenzione delle pessime strade di Stato; non tollera più il regime feroce di polizia che il mantenimento di una simile struttura economica rende necessario, e che impedisce od ostacola la nascita di organizzazioni non diciamo politiche, ma neppur sindacali, di difesa della popolazione lavoratrice indigena - popolazione che è stata privata delle terre migliori e, in cambio, si vede costretta a sudar sangue a suon di frusta e «palmatoria» ogni qualvolta a un privato imprenditore bianco o all'autorità pubblica interessa che un «lavoro di utilità comune» sia portato a termine.

L'ipocrisia con la quale la ferocia del colonialismo portoghese si nasconde è tale per cui l'amministrazione coloniale può vantarsi che non esista nel suo territorio alcuna... linea di colore. Non esistono, infatti, le stupide discriminazioni formali di cui si diletta l'Unione Sudafricana, e la repubblica lisbonese si gloria di considerare la colonia come una provincia della metropoli; ma il lavoro forzato è esclusivo appannaggio degli indigeni, e così la frusta e il bastone; e, sul piano politico, la linea di colore è costituita da un'altra linea da una parte della quale stanno i «civili» e dall'altra gli «incivili», i primi equiparati ai bianchi agli effetti dei diritti civili e politici, i secondi lasciati in balia della «giustizia», della polizia, dell'arbitrio personale dei colonizzatori; e della prima categoria possono entrare a far parte, oh gran bontà dei governanti cristianissimi, quei negri che, per aver raggiunto un certo grado li «cultura», possono considerarsi «assimilados» e quindi (come i bianchi) «civili», ma il giudizio su questo grado di cultura è riservato all'arbitrio esclusivo dei negrieri, anche ammesso - cosa estremamente rara - che l'indigeno riesca a seguire corsi scolastici regolari.

Così nell'Angola, su una popolazione negra di 4.006.598 anime (contro 78.826 europei e 29,753 altri), i «civili» o «assimilados» sono appena 30,089, cioè lo 0,74%.

Ma la percentuale è in realtà anche minore, perché, come osserva G. M. Carter in «Indipendence for Africa», circa la metà degli assimilados sono donne e la metà dei «civili» dei due sessi sono bambini, il che significa che fra i «civili» sono stati inclusi un'alta percentuale di nativi che non possono affatto godere della «istruzione» ufficialmente richiesta e che, in ogni caso, rappresentano una facile massa di manovra in mano ai governanti; la percentuale effettiva dei «civili)) si riduce dunque a forse lo 0,4% dell'intera popolazione indigena, e del resto nella Guinea portoghese è dello 0,29%, nel Mozambico dello 0,44% e a Timor dello 0,35%. Inutile dire che questi «incivili» devono però lavorare nelle forme che si è detto e pagare tasse personali e reali: incivili sono per ciò che riguarda i diritti; civilissimi per quanto riguarda i doveri.

Gli indigeni che si sono ribellati a quest'infame regime di sfruttamento economico e di oppressione politica possono ben gloriarsi d'essere - in confronto a così «civili» reggitori - degli «incivili», e per quante violenze commettano non saranno mai tante né tali da potersi paragonare a quelle che i complessivi 131.022 portoghesi esercitano, nel complesso delle loro «province d'oltremare», su 10 milioni 607.666 indigeni, e che sono indispensabili affinché un'esigua minoranza possa continuare a detenere il monopolio delle terre, del lavoro e della vita di un'immensa massa di colore. I centomila morti (se bastano) dell'Angola, più un numero imprecisato di feriti, dispersi e incarcerati, rappresentano per noi la testimonianza storica di quello che hanno potuto e possono la «civiltà» e la «morale» dell'imperialismo bianco; per vendicarli, ben venga e venga presto la «barbarie» della rivolta indigena e, in avvenire - quando il proletariato metropolitano potrà e saprà unire le sue forze a quelle del nascente proletariato - negro della rivoluzione comunista!

Source: «Il Programma Comunista», Anno X, N.16, 5 settembre 1961

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