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TESI DI MILANO


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Tesi supplementari a quelle di Napoli sul compito storico, l’azione e la struttura del partito comunista mondiale
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Tesi supplementari a quelle di Napoli sul compito storico, l’azione e la struttura del partito comunista mondiale

(1966)

1. – Le Tesi di Napoli rivendicano la continuità delle posizioni che da oltre mezzo secolo formano il patrimonio della sinistra comunista. La loro comprensione e la loro naturale e spontanea applicazione non deriveranno mai da consultazioni di articoli di codici o di regolamenti, né saranno assicurate mai, secondo la prassi a cui tendevamo da sempre e che finalmente abbiamo abbracciata, da consultazioni numeriche di assemblee e peggio di collegi o corti giudicanti che sciolgano interpellanze di singoli meno illuminati. Il lavoro che svolgiamo per raggiungere questi difficili risultati non può avere esito felice se non s’impiega il largo materiale storico tratto dalla viva esperienza del movimento rivoluzionario nei lunghi cicli, che prima e dopo la pubblicazione delle tesi con assidua opera comune abbiamo allestito e diffuso.

2. – Il piccolo movimento attuale si rende perfettamente conto che la grigia fase storica attraversata rende molto difficile l’opera di utilizzazione a forte distanza storica delle esperienze sorte dalle grandi lotte, e non solo dalle clamorose vittorie quanto dalle sconfitte sanguinose e dai ripiegamenti senza gloria. Il forgiarsi del programma rivoluzionario, nella corretta e non deformata visione della nostra corrente, non si limita a rigore dottrinale e a profondità di critica storica, ma ha bisogno come linfa vitale del collegamento con le masse ribelli nei periodi in cui la spinta irresistibile le determina a combattere. Questo legame dialettico è particolarmente difficile oggi che la spinta delle masse si è sopita e spenta per la flaccidità della crisi del capitalismo senile, e per la sempre maggiore ignominia delle correnti opportuniste. Pure accettando che il partito abbia un perimetro ristretto, dobbiamo sentire che noi prepariamo il vero partito, sano ed efficiente al tempo stesso, per il periodo storico in cui le infamie del tessuto sociale contemporaneo faranno ritornare le masse insorgenti all’avanguardia della storia; nel quale slancio potrebbero ancora una volta fallire se mancasse il partito non pletorico ma compatto e potente, che è l’organo indispensabile della rivoluzione. Le contraddizioni anche dolorose di questo periodo dovranno essere superate traendo la lezione dialettica che ci è venuta dalle amare delusioni dei tempi passati e segnalando con coraggio i pericoli che la Sinistra aveva in tempo avvertiti e denunziati, e tutte le forme insidiose che volta a volta rivestì la minacciosa infezione opportunista.

3. – Con tale obiettivo si svilupperà in profondità ancor maggiore il lavoro di presentazione critica delle battaglie del passato e delle ripetute reazioni della sinistra marxista e rivoluzionaria alle storiche ondate di deviazione e di smarrimento che si sono poste da oltre un secolo sul cammino della rivoluzione proletaria. Con riferimento alle fasi in cui le condizioni di una ardente lotta tra le classi si presentarono, ma venne meno il coefficiente della teoria e strategia rivoluzionaria, e soprattutto con la storia delle vicende che inficiarono la Terza Internazionale quando sembrava che il punto cruciale fosse stato per sempre superato, e delle posizioni critiche che la Sinistra assunse per scongiurare il pericolo che grandeggiava, e la rovina che purtroppo seguì, si potranno consacrare insegnamenti che non possono né vogliono essere ricette per il successo, ma moniti severi per difenderci da quei pericoli e da quelle debolezze in cui presero forma le insidie e i trabocchetti, quando la storia vi fece tante volte cadere le forze che sembravano votate alla causa dell’avanzata rivoluzionaria.

4. – I brevi punti esemplificati che facciamo ora seguire non vanno intesi come diretto riferimento ad errori e inconvenienti che possano minacciare l’opera attuale, ma vogliono essere un altro contributo alla trasmissione dell’esperienza delle passate generazioni, che si è costruita in una fase in cui vi era già ottima restaurazione della giusta dottrina (dittatura proletaria in Russia; opera di Lenin e dei suoi nel campo teorico; fondazione della III Internazionale nel campo pratico) ed era anche in pieno svolgimento, in tutto il mondo come in Italia, la battaglia rivoluzionaria dei partiti comunisti con ampia partecipazione delle masse. Quei risultati giocano oggi con un forte «spostamento di fase» nel senso storico e cronologico, ma la loro retta utilizzazione resta sempre condizione vitale oggi come nel sicuro domani, più fertile dell’oggi.

5. – Una fondamentale caratteristica del fenomeno che Lenin con termine ammesso da Marx ed Engels chiamò, trattandolo a ferro rovente, opportunismo, sta nel preferire una via più breve più comoda e meno ardua a quella più lunga più disagiata ed irta d’asprezze sulla quale sola si può attuare il pieno incontro tra l’affermazione dei nostri princìpi e programmi, ossia dei nostri massimi scopi, e lo svolgersi dell’azione pratica immediata e diretta nella reale situazione del momento. Lenin aveva ragione quando diceva che la proposta tattica di rinunziare da quel momento (fine della prima guerra) all’azione elettorale e parlamentare, non doveva essere sostenuta con l’argomento che l’azione comunista e rivoluzionaria in parlamento fosse tremendamente difficile, perché erano certo ancor più difficili l’insurrezione armata ed il successivo lungo controllo della complessa trasformazione economica del mondo sociale strappato con la violenza al capitalismo. La nostra posizione fu che era troppo evidente che le preferenze per l’impiego del metodo democratico derivavano dalla tendenza a prescegliere i comodi riti della azione legalitaria alla tragica asprezza di quella illegale, e che una tale prassi non avrebbe mancato di ricondurre tutto il movimento nel fatale errore socialdemocratico da cui con eroici sforzi si era usciti. Sapevamo come Lenin che l’opportunismo non è condanna di natura morale od etica, ma vale il prevalere nelle file operaie (Marx ed Engels per l’Inghilterra dell’800 avanzato) di posizioni proprie dei ceti intermedi piccolo-borghesi, ed ispirate più o meno coscientemente alle idee-madri, ossia agli interessi sociali, della classe dominante. La potente e generosa posizione di Lenin sull’azione in parlamento per collaborare alla distruzione violenta del sistema borghese e della stessa impalcatura democratica, sostituendovi la dittatura di classe, doveva dar luogo sotto i nostri occhi all’assoggettamento dei deputati proletari alle peggiori suggestioni delle debolezze piccolo-borghesi, che sfociano nel rinnegamento del comunismo e nel tradimento perfino venale al servizio del nemico.
Questa verifica ottenuta nell’arco di un’immensa scala storica (anche se la generalizzazione così ampia può sembrare non essere precisamente contenuta nell’insegnamento di Lenin, allievo come noi della storia) ci conduce al monito che il partito eviti ogni decisione o scelta che possa essere dettata da desiderio di ottenere buoni risultati con minore lavoro o sacrificio. Un simile impulso può sembrare innocente, ma traduce l’animo infingardo dei piccoli borghesi ed ubbidisce alla suggestione della norma basilare capitalistica di ottenere il massimo profitto con minimi costi.

6. – Un altro aspetto regolare e costante del fenomeno opportunista, come si generò nella II Internazionale e come oggi trionfa dopo la rovina ancora peggiore della III, è quello di appaiare il peggiore tralignamento dai principi del partito ad una ostentata ammirazione per i testi classici, per il dettato e l’opera dei grandi maestri e dei grandi capi. Costante caratteristica dell’ipocrisia del piccolo borghese è l’applauso servile alla potenza del condottiero vittorioso, alla grandezza dei testi d’illustri autori, alla eloquenza dell’oratore facondo, dopo di che nell’applicazione si scende alle più spregevoli e alle più contraddittorie degenerazioni. Perciò a nulla vale un corpo di tesi se quelli che lo accolgono con entusiasmo di tipo letterario non riescono poi nella pratica azione ad afferrarne lo spirito e a rispettarlo, e vogliono mascherarne la trasgressione con una più accentuata ma platonica adesione al testo teorico.

7. – Altra lezione che sorge da episodi della vita della III Internazionale (nella nostra documentazione ripetutamente ricordati attraverso le coeve denunzie della Sinistra) è quella della vanità del «terrore ideologico», metodo disgraziato col quale si volle sostituire il naturale processo della diffusione della nostra dottrina attraverso l’incontro con le realtà bollenti nell’ambiente sociale, con una catechizzazione forzata di elementi recalcitranti e smarriti, per ragioni o più forti degli uomini e del partito o inerenti ad una imperfetta evoluzione del partito stesso, umiliandoli e mortificandoli in congressi pubblici anche al nemico, se pure fossero stati esponenti e dirigenti della nostra azione in episodi di portata politica e storica. Si costumò di costringere tali elementi (per lo più ponendo a loro scelta il riavere o meno posizioni importanti nell’ingranaggio della organizzazione) ad una pubblica confessione dei propri errori, imitando così il metodo fideistico e pietistico della penitenza e del mea culpa. Per tale via veramente filistea e degna della morale borghese, mai nessun membro del partito diventò migliore né il partito pose rimedio alla minaccia della sua decadenza. Nel partito rivoluzionario, in pieno sviluppo verso la vittoria, le ubbidienze sono spontanee e totali ma non cieche e forzate, e la disciplina centrale, come illustrato nelle tesi e nella documentazione che le appoggia, vale un’armonia perfetta delle funzioni e della azione della base e del centro, né può essere sostituita da esercitazioni burocratiche di un volontarismo antimarxista.
L’importanza di questo punto nella giusta comprensione del centralismo organico si rileva dal tremendo ricordo delle confessioni cui furono ridotti grandi capi rivoluzionari, poi uccisi nelle purghe di Stalin, e delle inutili autocritiche cui furono piegati sotto il ricatto di essere espulsi dal partito ed infamati come venduti ai suoi nemici; infamie ed assurdità mai sanate dal metodo non meno bigotto e non meno borghese delle «riabilitazioni». L’abuso progressivo di tali metodi non fa che segnare la sciagurata strada del trionfo dell’ultima ondata dell’opportunismo.

8. – Per la necessità stessa della sua azione organica, e per riuscire ad avere una funzione collettiva che superi e dimentichi ogni personalismo ed ogni individualismo, il partito deve distribuire i suoi membri fra le varie funzioni ed attività che formano la sua vita. L’avvicendarsi dei compagni in tali mansioni è un fatto naturale che non può essere guidato con regole analoghe a quelle delle carriere delle burocrazie borghesi. Nel partito non vi sono concorsi nei quali si lotti per raggiungere posizioni più o meno brillanti o più in vista, ma si deve tendere a raggiungere organicamente quello che non è uno scimmiottamento della borghese divisione del lavoro, ma è un naturale adeguamento del complesso ed articolato organo-partito alla sua funzione.
Ben sappiamo che la dialettica storica conduce ogni organismo di lotta a perfezionare i suoi mezzi di offesa impiegando le tecniche in possesso del nemico. Da questo si deduce che nella fase del combattimento armato i comunisti avranno un inquadramento militare con precisi schemi di gerarchie a percorsi unitari che assicureranno il migliore successo dell’azione comune.
Questa verità non deve essere inutilmente scimmiottata in ogni attività anche non combattente del partito. Le vie di trasmissione delle operazioni devono essere univoche, ma questa lezione della burocrazia borghese non ci deve fare dimenticare per quali vie si corrompe e degenera, anche quando viene adottata nelle file di associazioni operaie. La organicità del partito non esige affatto che ogni compagno veda la personificazione della forma partito in un altro compagno specificamente designato a trasmettere disposizioni che vengono dall’alto. Questa trasmissione tra le molecole che compongono l’organo partito ha sempre contemporaneamente la doppia direzione; e la dinamica di ogni unità si integra nella dinamica storica del tutto. Abusare dei formalismi di organizzazione senza una ragione vitale è stato e sarà sempre un difetto ed un pericolo sospetto e stupido.

9. – La storica forma di produzione che è il capitalismo, col suo mito della proprietà privata come diritto degli uomini, che mistifica e maschera il monopolio di una classe minoritaria, ha avuto bisogno di segnare i nodi delle sue strutture e le tappe della sua evoluzione ed oggi involuzione con grandi nomi di progressiva notorietà. Nel lungo arco borghese, la cui sinistra storia pesa come un giogo sulle nostre spalle di ribelli, in partenza l’uomo più valente e forte raggiungeva la notorietà massima e tendeva ai massimi poteri; oggi, in questo dominante filisteismo piccolo-borghese, forse il più vile e il più debole acquistano importanza in funzione dello sporco metodo pubblicitario.
Lo sforzo attuale del nostro partito nel suo tanto difficile compito è di liberarsi per sempre dalla spinta traditrice che sembrava emanare da uomini illustri, e dalla funzione spregevole di fabbricare, per raggiungere i suoi scopi e le sue vittorie, una stupida notorietà e pubblicità per altri nomi personali. Al partito non devono mancare in nessuno dei suoi meandri la decisione ed il coraggio di combattere per un simile risultato, vera anticipazione della storia e della società di domani.


Source: «Il Programma Comunista», n.7 del 20 aprile-4 maggio 1966 (Tesi dette «di Milano», perché presentate a quella riunione generale del 2–3 aprile dello stesso anno)

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