I muscoli americani e le chiacchiere europee
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I MUSCOLI AMERICANI E LE CHIACCHIERE EUROPEE
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I muscoli americani e le chiacchiere europee
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I muscoli americani e le chiacchiere europee
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Nel marzo scorso sul nostro giornale, a commento di nuove minacce americane nei confronti dell'Iraq, scrivevamo:
«
La supervisione degli Stati Uniti - nel ruolo di legislatori, giudici ed esecutori di sentenza - serve a ribadire che essi sono i padroni militari del mondo, forza che utilizzano per il controllo economico della strategica regione petrolifera, osteggiando accordi concorrenti presi fra altre borghesie e quella irakena, come i recenti con Francia e Russia. Essendo il controllo delle fonti del petrolio fattore determinante, la guerra contro l'Iraq nel 1991 vide l'imperialismo USA approfittare della debolezza dell'Europa, della Russia e del Giappone per installare nella regione una presenza militare stabile, mossa d'anticipo in vista del futuro scontro interimperialistico».

Ora ci risiamo. Il ruolo egemone degli Stati Uniti si è di nuovo imposto, con l'autorità del massacro, su quel paese che è il nodo fondamentale dell'Asse centrale asiatico, asse che contiene nel suo grembo il 60% delle riserve energetiche del pianeta. Gli americani hanno così di nuovo ben chiarito di essere gli unici padroni e di non ammettere nessuna possibilità di autonomia di questi paesi. L'ex Segretario di Stato James Schlesinger era stato ben chiaro quando nel 1992 aveva detto durante il XV Congresso Mondiale per l'energia:
«
Quello che il popolo americano ha capito dalla Guerra del Golfo è che è molto più facile andare a prendere a calci nel sedere la gente in Medio Oriente che fare sacrifici (pagando prezzi più elevati) e limitare la dipendenza dell'America nei confronti del petrolio importato (...) Quelli che mi conoscono bene sanno che non mi sarei mai permesso di usare un' espressione come quella che ho appena utilizzato se questa non fosse usata a più alti livelli governativi».

L'economico-dipendente Clinton ha deciso di nuovo (sebbene in realtà lui ha deciso ben poco) di gettare altre bombe, dicono 'intelligenti', su di una popolazione stremata e alla fame che ha l'unico torto di vivere su di un territorio troppo ricco di petrolio. Per l'occorrenza gli Stati Uniti, con l'Inghilterra a far da spalla, hanno mobilitato i migliori caccia della nazione, navi dalla splendida tecnica stragista e coraggiosi generali ben contenti di farsi belli contro quei quattro miserabili. Le spese, inoltre, non sono a carico delle banche americane ma dei più schiavizzati paesi arabi.

Ma oltre le cause del conflitto, che sono da vedere tra l'altro come episodio di una più generale guerra tra monopoli petroliferi, ciò che qui interessa rimarcare è la comparsa di una flebile voce di protesta da parte degli Alleati europei contro il gesto 'autoritario' degli USA. A differenza del 1991 il massacro in Iraq ha suscitato le pietose voci di presidenti e i telegiornali hanno inserito nelle loro chiacchiere guerrafondaie qualche 'critica' al gesto americano. Viene rimproverato a Clinton di non aver 'consultato' prima dell'attacco gli Alleati nonché l'ONU (quasi che questo organismo valga veramente qualcosa). Ma queste 'critiche' di che cosa son frutto? Forse di una tendenza europea 'pacifista' in confronto a quella americana? No, niente di tutto questo. Dietro la facciata ipocritamente semipacifista di politici e giornalisti si nascondono le cause di una guerra che, sebbene non guerreggiata, è di tutti i capitalismi.

Tra queste 'dissociazioni' quelle di Francia e Russia, timide e paurose di far saltare i nervi a Wall Street. La Francia è d'altronde la sconfitta dagli USA negli ultimi anni, in fatto di sfere d'influenza, ed ha visto nuovamente minacciati i propri profitti basati su armi e petrolio nella regione. La Russia, ridotta oramai ad una vecchia carcassa, ha provato anch'essa timidamente ad alzare la voce quasi a voler far credere che conti ancora qualche cosa nello scacchiere internazionale: ovviamente qualche giorno dopo si è subito chinata dinanzi a Sua Maestà il Dollaro.

La nostra fetida penisola, paesino di periferia rispetto a certe metropoli del Capitale, con gran 'coraggio' si è schierata anch'essa contro 'l'autoritarismo' americano, episodio da inserire nella sua politica internazionale negli ultimi anni fatta di tentativi d'imporsi nel cerchio delle potenti.

La Germania, dal suo canto, unica nazione che sarebbe potenzialmente in grado di imporsi, è rimasta a guardare, dimostrando sempre più la propria incapacità a fare il passo per diventare ciò che spetta al suo ruolo storico. Essa rimane un gigante economico, ma un nano politico.

Dunque l'Europa, questa accozzaglia di nazioni che pretenderebbero a breve di unificarsi, provando ad alzare la voce si è resa soltanto ridicola. La pessima figura quindi non l'hanno fatta gli Stati Uniti, che hanno anzi confermato di essere i padroni incontrastati del globo, ma proprio gli europei che ancora una volta hanno dato prova della più miserabile codardia.

L'Europa sta seguendo una strada ben definita. La crisi la spinge verso il tentativo di unire le forze in un ' unica unità politica, economica e militare, affinché venga contrastato lo strapotere economico degli Stati Uniti. Mentre nei cromosomi del Capitale è già scritta la rinascita futura del secondo polo che contrasterà gli USA, oggi l'Europa non può permettersi che un ruolo di timido oppositore, incapace di intendere e di volere.

La tendenza futura è scritta nella legge della decrescenza del tasso del profitto che implacabile non dà respiro al Capitale finché esso non si potrà sfogare in un grande nuovo macello mondiale. Abbiamo scritto nella recente riedizione de Il corso del capitalismo mondiale:
«
È vitale per la stabilità del sistema capitalistico l'esistenza di un formidabile centro mondiale di potere economico e politico. Questa funzione fu svolta inizialmente e per un lungo periodo dall'Inghilterra. Successivamente, in conseguenza del declino di Albione, non più in grado di assolvere quel compito, al punto che si vide l'insorgere di un periodo estremamente pericoloso di destabilizzazione per l'equilibrio generale, detta funzione fu trasferita agli Stati Uniti che si presentavano ormai con un apparato di forza tale da garantire con un incidenza più marcata un'altra lunga fase di condizioni favorevoli al Capitale per incrementare ulteriormente spoliazioni, razzie e saccheggi ai danni del pianeta e degli esseri viventi che lo popolano. Leggi economiche proprie del sistema capitalistico ci stanno facendo assistere al progressivo affievolirsi per gli Stati Uniti della sua funzione di centro mondiale in grado, da una posizione di forza preponderante, di assicurare stabilità, di garantire fiducia ed equilibrio al sistema imperante. Un nuovo centro di potere, adeguato ai tempi, che surroghi quello che lentamente, ma inesorabilmente, va logorandosi, oggi come oggi non esiste. In fasi storiche meno triviali di quella che ci ammorba la soluzione fu affidata al fragore delle armi, allo scontro armato (...) Ma l'epoca che viviamo oggi non è quella della guerra di Troia che fu guerra di eroi. La nostra è un'epoca di pantano, di palude che può dar luogo solo ad una Batracomiomachia, ad uno scontro tra rane e topi, non più di tanto rappresentando i cosiddetti big e gli stuoli di servidorame sciocco che ci attorniano brandendo armi fatte di cartacce e di vuoti eloqui. Gli Stati Uniti hanno fatto bene il loro percorso nell'interesse del Capitale mondiale e, al termine della corsa, cercano di passare il testimone; ma nessuno si sente in grado di raccoglierlo. La situazione risulta così anomala e per ragioni oggettive si è costretti a ricorrere ad una soluzione anomala (...) E così vediamo tutte le altre grandi Potenze (...) fare tutto il possibile perché gli Stati Uniti trattengano il testimone e si accollino lo sforzo assurdo della seconda frazione e, perché no, della terza e poi della quarta».
Questo è dunque il quadro che vede nell'Europa il centro del problema!

Noi abbiamo sempre detto che una revanche europea potrà un domani esser tentata esclusivamente per guida tedesca. In Germania rinascerà allora il movimento nazionalista, che denunci le dure leggi impostegli nella Seconda Guerra. Per ora la sudditanza delle borghesie europee fa sì che il continente venga sempre di più chiuso dagli Stati Uniti nella tenaglia fatta da una parte dall'Inghilterra, vassalla del capitale americano, e dall'altra dall'egemonia americana in Medio Oriente.

Queste le necessità oggettive del capitalismo internazionale. Ma qualsiasi risorto revenchismo europeo ed antiamericano non porterà a nuove più stabili equilibrare e pacifiche sistemazioni planetarie ma solo a future guerre da queste necessità determinate, a nuovi orribili massacri di giovani schiere di proletari, se questi non sapranno opporsi sul loro piano di classe e rivoluzionario.

Il proletario stia in guardia riguardo al pacifismo borghese (di cui gli europei un domani potrebbero darne una buona prova): il pacifismo borghese, ricordiamoci, è stata da sempre il pretesto di guerre future! Sempre 'per la pace' si dichiarano le guerre e nella 'pace' si son sempre trovate le migliori giustificazioni della guerra da rivolgere ai proletari.

Noi, per conto nostro, ce ne freghiamo dell'attuale incapacità europea d'imporsi, ma solo ci doliamo che il proletariato non sia ancora in grado di muoversi per le sue parole d'ordine di classe. Aspettiamo con ansia il momento in cui il proletariato innalzerà la bandiera rossa e creerà le premesse per la cessazione di ogni guerra. Quando il proletariato finalmente ricomincerà a lottare di pacifisti borghesi non se ne troveranno più, mentre le bombe intelligenti non avremo dubbi su quali deretani puntarle!

Source: «il partito comunista», n.264, Gennaio 1999

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