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POLITICA EUROPEA DEGLI USA


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Politica europea degli USA
Ieri
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Sul filo del tempo

Politica europea degli USA

Ieri

Anche nella guerra 1914-18 gli Stati Uniti intervennero a metà dopo essere rimasti a lungo spettatori. Abbandonavano la cosiddetta dottrina di Monroe, che stabiliva il disinteressamento dagli affari di Europa e la rivendicazione che l’Europa rinunziasse ad ogni pretesa di controlli sul continente nuovo. Questa uscita dall’isolazionismo ricordava quella dell’Inghilterra, primo paese del capitalismo moderno e primo presidio mondiale fino ad allora del regime borghese. Ostentando una organizzazione interna modello ipocrita di libertà e di prassi democratica, non tenendo esercito permanente, sforzandosi intanto attraverso lo sfruttamento imperiale del mondo di realizzare la collaborazione di classe col proletariato della madrepatria traverso concezioni riformiste, la Gran Bretagna teneva in armi la prima flotta del mondo e aveva a volta a volta debellato gli imperi di oltremare di Spagnoli, Portoghesi, Olandesi, saccheggiando il pianeta. Vigile nei conflitti europei interveniva a tempo per abbattere le temute egemonie politiche e militari che avrebbero potuto concorrere troppo nello sfruttamento del mondo.

L’isolamento dell’America si è andato rivelando non meno intessuto di pretese ipocrite a fare da modello al mondo. Un capitalismo non meno spietato e crudele nella sua origine e nel suo sviluppo di quello inglese ha preteso di ammaestrare l’umanità con dottrine pietistiche e con mentiti esempi di prosperità, tolleranza e generosità.

Alla fine della guerra uno dei tipi più odiosi di falsi bacchettoni e di predicatori lavativi che la storia abbia annoverato, il famigerato Woodrow Wilson, forte dell’aiuto economico e militare dato ai suoi alleati, ostentò di voler riordinare la vecchia Europa secondo nuovi principii ed impose quei capolavori del regime borghese mondiale che furono il trattato di Versailles e la Società delle Nazioni.

Nelle file del movimento socialista del tempo naturalmente le correnti opportuniste andarono in sollucchero a questa versione ignobile della oppressione capitalista, e perfino nelle file del partito italiano fortemente restio alle seduzioni della «guerra democratica» non mancarono quelli che, dopo l’intervento americano, e anche dopo la prima rivoluzione russa del febbraio 1917 in cui vedevano un mero sviluppo democratico borghese e patriottico, parlarono di rivedere le posizioni nel senso di buttarsi nella ridicola crociata contro il militarismo teutonico.

Reagirono le correnti rivoluzionarie, che avevano sempre ravvisato i centri di più alto potenziale di classe del capitalismo e del militarismo imperialista nella Francia prima, nell’Inghilterra poi e vedevano sorgere nell’America la nuova centrale del supercapitalismo; lo sviluppo della rivoluzione russa fu ben altro da quello pensato dai socialdemocratici e socialpatrioti di tutti i paesi; il nuovo movimento di sinistra dichiarò diretti avversari della causa proletaria e rivoluzionaria in prima linea Wilson e quella sua Ginevra, da cui, a perfezionare la quacqueristica ipocrisia del metodo, l’America stava fuori.

Oggi

Anche nella Seconda Guerra Mondiale l’America è intervenuta a mezzo. Anche in questa la nota centrale della propaganda è stata la provocazione tedesca e la difesa degli aggrediti. Noi marxisti non abbiamo mai creduto alla distinzione tra guerre di difesa e di aggressione, ben diversa essendo la nostra valutazione delle causali. La nuova guerra derivò in modo diretto oltre che dalle leggi proprie del regime sociale attuale, dall’ordinamento del mondo e dalla situazione della Germania imposta a Versailles, col ribadire i grandi monopoli coloniali dei centri ultra imperialistici.

Contingentemente, come l’Inghilterra aveva finito di intervenire nella Prima Guerra dopo aver lavorato per distruggere con essa la minaccia tedesca, così tutta la politica dello Stato borghese americano tra le due guerre è stata una diretta continua preparazione ad una lotta di espansionismo a carico dell’Europa.

Il condimento di menzogne umanitarie e democratiche è stato impiegato su scala ancora maggiore, ed ha fiancheggiato l’allestimento economico industriale e militare le cui tappe si schierano in venti anni di storia.

La progressiva diminutio capitis della Gran Bretagna – sulla reazione della quale invano calcolò Hitler sottovalutando le determinazioni degli interessi di classe – cominciò ad essere sancita dal trattato di Washington 1930 in cui dalla formula di una flotta inglese pari alla somma delle altre due più forti del mondo, si passò a quella della parità tra marina inglese e americana tenendo indietro Francia e Giappone. Hitler non vi era ancora, né poteva essere Mussolini a far paura.

L’interventismo economico politico e militare nei fatti del mondo – e quale espressione esatta va sostituita a quella di aggressione se non l’interventismo? – evidente in pratica ovunque, viene ancor più apertamente dichiarato nel messaggio di Truman.

Esso si basa sulle solite premesse filantropiche degne del quadro bigotto e conformista dell’investitura presidenziale a base di Bibbie e Padreterni, e sulle solite estensioni degli immortali principii della democrazia borghese alle esigenze economiche, promettendo i magnati dell’alto capitalismo pane agli affamati e addirittura un condimento di abbondanza – tipo american prosperity? – al piatto ormai rancido della libertà politica ed ideologica.

Il punto notevole è il diretto disperato attacco al comunismo ossia alla esigenza di una economia anticapitalistica che urge sul mondo, tenuto ben distinto da un attacco alla Russia, a cui si dice anzi che potrà appartenere ad una combinazione mondiale anche se le sue tradizioni storiche sono di potenza imperialistica.

Truman con Stalin vuole trattare, ma non transigerà col comunismo. La situazione non potrebbe essere più chiara. Tra gli altri portavoce il vecchio Cachin ha risposto che tra il regime russo e i regimi capitalistici vi può essere collaborazione.

Dove non vi può essere collaborazione è tra i grandi centri mondiali del super capitalismo e il movimento del proletariato rivoluzionario. E questo che temono i Truman, più che la guerra.

Se per Truman il nemico numero uno è il comunismo e se egli ne combatte di urgenza la «filosofia» in un momento in cui i suoi schieramenti di classe e rivoluzionari non paiono evidenti, tanto ci è di conforto. Non è forse lontano il giorno in cui potenti strati del proletariato mondiale capiranno che il nemico numero uno è Truman, non la persona del funzionario ignoto fino a che non morì Roosevelt, non quella faccia da parroco di paese colle mani su due Bibbie e il sorriso melato, ma la bestiale forza del capitalismo oppressore oggi concentrata nella formidabile impalcatura di investimenti economici e di armamenti organizzata oltre Oceano.

Per capire tanto e per schierarsi in guerra di classe il proletariato deve però intendere un’altra cosa, che un simile rapporto di cose e di forze non si è costruito in due anni ma in cento, e che come al tempo di Lenin spinse nel letamaio i capi rinnegati che inneggiarono all’aiuto di guerra di Wilson, lo stesso deve fare con quelli che nella Seconda Guerra apologizzarono in modo sconcio e traditore l’aiuto di Roosevelt-Truman, e ne stettero al servizio.


Source: «Battaglia Comunista», n. 4 del 1949

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