Rimboccate le maniche e passati di alcool a 95 gradi gli avambracci mettiamo dunque le mani nel più grave processo infettivo del movimento socialista: l’anticlericalismo.
Si poté forse pensare negli ultimi anni del periodo capitalistico pacifico, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, che la frattura principale del contrasto politico si fosse spostata dal trito piano della lotta tra clericali e laici a quello del contrasto tra militaristi e internazionalisti, molto più aderente alla nostra impostazione di classe.
Così non è stato, in quanto tra le forze e le armi della classe borghese dominante nel mondo tanto l’apparato militare che quello chiesastico hanno tuttora peso formidabile. Così non è stato, in quanto tra le deviazioni della linea marxista proletaria, oltre alla caduta nelle suggestioni del patriottismo e della adesione alle guerre, figurano ancora e un opportunismo tollerante non solo confessione di principii religiosi ma addirittura pratiche di culto e, per converso, l’opportunismo dialetticamente complementare della alleanza con le equivoche correnti borghesi o piccolo borghesi libero-pensatrici e massoniche.
Potemmo dire in Italia quando si formò il fascismo che esso non era che una nuova forma del dominio borghese, più coerente ai moderni tempi ma non tale da far rimpiangere preferire e desiderare le altre già note, e che il vero pericolo che esso conteneva non era la sconfessione e il violentamento del liberismo democratico, ma la inevitabile nuova suggestione che purtroppo le rovinose dottrine di questo avrebbero tornato ad esercitare sulle masse proletarie. Dell’attuale forma di governo borghese che di nuovo fa pernio su un partito, come il democristiano, caro al Vaticano già bestia nera della italica borghesia, può a buon diritto dirsi che esso vale quanto i governi liberali e il fascista o quanto un ipotetico governo di sinistra demosocialrepubblicana, che fosse piaciuto ai vincitori dell’ultima guerra investire del potere. Il pericolo specifico che questo governo o, come si comincia a declamare, regime filocattolico presenta per noi, è appunto il risorgere della sbugiardata anticlericalesca campagna, nuova epidemia corruttrice del movimento di classe, che ha già traversato l’altra disastrosa crisi dell’antifascismo.
Solo a farragine possiamo tuffarci nel ricordo della cronaca anticlericale, ingombrante la giovinezza della generazione che ha vissuto le due guerre. Quelli che hanno i capelli grigi non possono non ricordare le invocazioni comiziali confusionistiche e bloccarde di questo tenore: siete monarchici? Dovete essere anticlericali perché la monarchia sabauda ha attuato l’unità italiana passando per la breccia di porta Pia e affrontando la scomunica papale. Siete repubblicani? Dovete essere anticlericali come lo furono Mazzini e Garibaldi, nemici inconciliati della Chiesa cattolica. Siete socialisti? Dovete essere anticlericali perché il prete è l’alleato dei padroni. Siete anarchici? Dovete essere anticlericali perché la prima libertà è quella dall’oscurantismo chiesastico. E quindi correte tutti nelle braccia del «blocco popolare» – del «circolo anticlericale» – della «Associazione del libero pensiero». E poi, non vociato in pubblica concione ma sussurrato nei casi opportuni a quattr'occhi, della Loggia Massonica.
Il materiale, l’armamentario di propaganda di questo movimento era immenso, metteva mano nella storia, nella letteratura, nella cronaca di tutti i paesi, serviva a braccia e a passo ridotto il pensiero di scuole, di autori, di scrittori per altri riflessi ragguardevoli, mobilitava Dante e la sua Lupa, San Francesco e Madonna Povertà, le persecuzioni agli eretici, i roghi di Arnaldo da Brescia e Giordano Bruno e cento altri, le guerre e le stragi dei riformati, la notte di San Bartolomeo, le gesta della Inquisizione, l’Indice, il Sillabo, le storie più o meno romanzate del Santo Uffizio e della Compagnia di Gesù, la Vandea di Francia e il potere temporale d’Italia col martirio degli eroi del Risorgimento, un vero insondabile arsenale di mozioni degli affetti.
Vere ventate di questa campagna nel periodo che abbiamo rammentato furono la legge in Francia per la soppressione delle congregazioni religiose come enti giuridici, con le esecuzioni di polizia per lo sgombero dei conventi contrastate dalla resistenza di folle biascicanti preghiere, vero divorzio della Terza repubblica dagli amori colla Roma dei papi – la tremenda ubriacatura in Italia di bloccardismo massonizzante tra socialisti di destra repubblicani e democratici radicali, che ebbe per bandiera il famigerato Asino di Guido Podrecca, giornale illustrato che esibiva ogni settimana fino alla noia la grassa e crassa figura di Bepi (Pio X) a lato di quella segaligna dello spagnolo segretario di Stato Merry del Val, e alimentava campagne clamorose con gli scandali di convitti cattolici portando alla celebrità storica i nomi di alcuni preti sporcaccioni – la campagna internazionale di protesta dopo la fucilazione nel fossato del forte di Montjuic dell’anarchico spagnolo Francisco Ferrer inviso all’influenza dei gesuiti, nel 1913, di cui profittarono le ipocrite correnti radicali borghesi per frammischiarsi alle organizzazioni estremiste, facendo perfino apparire in pubblica piazza, davanti alla Sorbona a Parigi, nella dimostrazione di popolo, le segrete divise e insegne massoniche indossate da supremi dignitari e «trentatré».
La critica marxista si rivolse contro i deleteri effetti di questo piano di contatto e di contagio tra forze politiche della classe borghese e movimento dei partiti operai, mostrando come esso conducesse direttamente allo smarrimento di ogni impostazione di classe. Tutto quel fumo ideologico sul preteso conflitto tra moderne ed intelligenti forze borghesi e oscurantismo chiesastico, tutto il chiasso sollevato in dimostrazioni multicolori di bandiere tricolori e di vessilli rossi, vellicante un estremismo da baraccone con le ondate di sibili e di urla di abbasso a qualche prete capitato a sgonnellare in nero per la strada, fu denunziato come un espediente dilatorio della formazione di precisi schieramenti di classe dei lavoratori nelle loro organizzazioni di lotta che minacciano direttamente l’interesse padronale del borghese e vogliono sopprimere lo sfruttamento capitalistico abbattendo il potere dello Stato che lo difende, senza usare diversità di trattamento al datore di lavoro o al funzionario di polizia che per avventura provassero di essere nemici del papa e di non credere in Dio.
Questa polemica che investe questioni profonde di dottrina ed esperienze fondamentali di tattica politica ebbe pieno sviluppo solo nei paesi latini e di religione dominante cattolica, con riflessi e risultati inadeguati nei paesi anglosassoni e in quelli orientali di Europa, ma costituisce un tratto fondamentale della lotta marxista contro l’opportunismo.
La lotta della classe borghese contro i poteri feudali si espresse teoreticamente come richiesta del libero esame e del diritto di critica per la necessità di opporsi al principio di autorità fondato essenzialmente sulle basi religiose e sugli organismi chiesastici. Questi grandiosi movimenti presentati nel campo del pensiero e della cultura come rinascimento, riforma, illuminismo, romanticismo, inquadrarono la salita al potere dei mercanti e degli industriali borghesi, e la loro tradizione storica è propria del nuovo tipo di società capitalistica moderna. Le vittime, gli oppressi, i nemici di questa nuova società e della nuova classe dominante, i lavoratori salariati, incamminati verso una nuova rivoluzione di classe e una nuova lotta per il potere, si dotano, col marxismo, di una nuova dottrina. Questa consiste a sua volta in una critica dei cardini del contemporaneo ordinamento, della sua natura economica e del suo generarsi storico, in una demolizione dei principii ideologici con cui esso si giustifica. Tale dottrina socialista si rende perfetto conto dell’importanza del trapasso sociale che fu annunziato dalla battaglia critica contro i caposaldi della concezione teologica del mondo, dalla lotta per sottrarre l’indagine scientifica e la diffusione dei suoi insegnamenti al monopolio dell’inquadramento religioso e ai limiti dei suoi canoni e dogmi. Ma nello stesso tempo essa scopre e denunzia la illusione che il «libero esame» sia una conquista sufficiente ad eliminare dal seno della società i rapporti di sfruttamento di sopraffazione e di oppressione di classe.
Del «libero esame» e delle grandi forze che sono rappresentate dalla scienza dall’insegnamento e dalla scuola, possono servirsi solo le classi giunte al potere: si tratta di una conquista realizzata solo dai membri di tale classe, ossia di una esigua privilegiata minoranza. La maggioranza obbligata ad un sopralavoro e ad una sottonutrizione non trae vantaggio alcuno dalla astratta e vuota proclamazione del diritto di indagare di studiare e di confessare i punti di arrivo della critica. Il diritto al cibo e alla vita deve precedere e non seguire il diritto al pensiero. Come è attuato nel seno della società borghese questo significa soltanto la costrizione dei non borghesi e degli affamati a pensare secondo i canoni e i teoremi delle dottrine che giustificano il capitalismo e il sistema del padronato, conforme agli interessi dei sazi e dei potenti.
Il nucleo della posizione marxista era perduto, se non si vedeva che questo inquadramento delle forze proletarie nella lotta per la libertà di pensiero «in generale» coincideva con la lotta per imporre ai proletari, parallela alla schiavitù economica, la soggezione di pensare e di commuoversi e peggio ancora di sacrificarsi e combattere per quei principii su cui la borghesia aveva costruito il suo potere.
Questa rivendicazione delle direttive classiste si chiamò, nella pratica e nella cronaca politica, intransigenza, rifiuto delle alleanze bloccarde elettorali, incompatibilità tra appartenenza al partito socialista e alla Massoneria e altre società anticlericali, università «popolari» e simili.
Fu da allora chiarissimo che l’aggettivo popolare ci faceva schifo. Il populus romano, e il demos greco escludevano gli schiavi ma raggruppavano patrizi e plebei. La signoria feudale non volle considerarsi popolo insieme ai vili meccanici, ma vantò tuttavia la cristiana liberazione degli antichi schiavi. La rivoluzione dei borghigiani antifeudali riportò sulla scena storica il popolo che nella moderna accezione significa complesso dei padroni industriali commercianti e finanzieri coi piccoli possidenti e coi dipendenti salariati, in un insieme indistinto, a comune disciplina giuridica. Popolo significa oggi abbraccio tra lo sfruttatore e lo sfruttato.
Il marxista che dice popolo e popolare ha commesso suicidio.
Siamo dunque di nuovo dopo tanti eventi alla lotta contro l’oscurantismo. I partiti dalla etichetta comunista e socialista amministrati con puro mestierantismo si sentono di dare mano a qualunque arsenale. Demandati a lottare contro l’hitlerismo e il fascismo trovando comodo usare dell’alleato democristiano, derisero le pregiudiziali antireligiose e antipretesche; organizzarono il lavoro rivoluzionario in convento; autorizzarono i tesserati alla messa, all’eucarestia e all’olio santo; ratificarono i concordati vaticaneschi non solo per far piacere agli alleati socialcattolici, ma nella stessa lettera stipulata dagli odiati fascisti.
Demandati oggi a lottare contro l’americanismo, poiché questo si serve del partito demopretesco in Italia, essi danno mano all’arsenale del vecchio massonismo. Ma pensate per un momento che i padroni americani avessero trovato terreno propizio a gestire l’Italia con un aggruppamento di tipo massonico, se fossero stati più forti i repubblicani i liberali i socialdemocratici di destra, vedreste quei signori, i socialcomunisti, fare ampio e disinvolto impiego delle tesi della critica marxista ortodossa alla borghesia laica e anticlericale.
Il segnale del nuovo schieramento è stato dato dalla scomunica vaticana, provocata dal fatto che i locali staliniani hanno cominciato a dare troppo fastidio non alle nuove gerarchie, ma ai circoli dirigenti del capitale internazionale.
E siccome oramai mezzo unico di lotta politica – non diciamo mezzo ammesso e tollerato, ma mezzo esclusivo – è l’appello ad una mobilitazione di collegati, subito è stata lanciata la campagna per la unione di tutti gli «spiriti laici», gelosi della sacra conquista della «libertà di pensiero» e delle nobilissime tradizioni anticlericali italiane.
Non sappiamo più dove questi alleati, ausiliari e collegati si potranno ritrovare, affittato come è tutto l’ambiente borghese piccolo borghese di taglia massonica al capitale e allo stato maggiore occidentale. Ma la sgonfiata laicista era di rigore e si tenta lo stesso. Non che possa commuovere i Saragat i Pacciardi e nemmeno i buoni corpi dei Nitti Orlando Bonomi e simili virgulti della cultura politica laica.
Non potendo mobilitare i vivi si mobilitano i morti illustri. Gli editori di partito e più o meno allineati ristampano Voltaire. I capi stalinisti prefazionano il «Trattato sulla tolleranza»!
La via del rinculo è una via senza fine. Siamo partiti da un vago riformismo della società borghese, siamo arrivati ad una difesa della rivoluzione borghese e addirittura alla rifabbricazione di essa, alla ripetizione storica del glorioso abbattimento del feudalesimo. Ancora un passo avanti – due indietro. Oggi apologizziamo il riformismo della società feudale, la prudente rivendicazione che essa permettesse culti diversi dal cattolico, come uno svolto pieno di – ovviamente concreta – attualità. Concretezza è anche quella del cadavere mummificato…
E dire che si tratterebbe dell’autentica scuola leninista! Dal terrorismo rivoluzionario e dalla dittatura del proletariato i moscoviti sono dunque arrivati di tappa in tappa alla tolleranza, parola che sembra suscettibile di dare decisi fastidi e porre seri intoppi alla politica di De Gasperi. Lasciamo andare che il piano sarebbe ed è parecchio scemo. Dobbiamo solo rilevare che purtroppo sarebbero rose e fiori se, partendo di tanto lontano, fossero giunti solo alla tolleranza laico-liberale. A parole hanno percorso questo cammino, nei fatti quello ancora più lungo che conduce al terrorismo controrivoluzionario. Voltaire fa ridere, ma sarebbe camomilla in mano ai porgitori di cicuta.
Anni fa fece il giro degli schermi un bel film dal titolo Intolerance. In uno scorcio della storia e delle sue tragiche lotte voleva avvalorare la tesi che origine di tutti i mali umani e di tutte le tragedie sociali fosse un fatto intellettivo e morale, la incomprensione, la dura ostinatezza a non ammettere e rispettare le opinioni altrui.
Tesi atta a commuovere una platea, tesi pienamente inserita sulla letteratura del laicismo e del libero pensiero.
O questa la impostazione che il marxismo ha voluto capovolgere per sempre. Non è la tolleranza che fa camminare il mondo. Essa lega nella loro remissione le classi oppresse al conformismo del privilegio. La storia si scuote quando il gregge umano si smuove dalla illusione della tolleranza. Pochi uomini sono lupi all’uomo, troppi sono pecore. Le dominazioni di classe vacillano quando, nel processo reale delle forme organizzate della produzione, violente incompatibilità con i tradizionali ingranaggi spingono l’avanguardia di una classe finora inginocchiata a sciogliersi dalle ipocrisie della tolleranza, per prendere la grande, intollerante via della Rivoluzione.