LISC - Libreria Internazionale della Sinistra Comunista
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LA BATRACOMIOMACHIA
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Content:

La Batracomiomachia
1. Per farci ridare il «La»
2. Optiamo per gli ignoranti
3. Protagonista nuovo
Ieri
4. Classe che nasce vecchia
5. Atrofia dialettica
6. I rapporti di produzione
7. Fuori dal seminato
8. Capisaldi terminologici
9. Metafisica dello sfruttamento
Oggi
10. Stato e rivoluzione
11. Estinzione della burocrazia
12. Iliade e batracomiomachia
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Sul filo del tempo

La Batracomiomachia

1. Per farci ridare il «La»
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Nel Filo a questo precedente, per collegare lo scadimento delle funzioni individuali nella storia sia quanto alle attività mentali che quanto a quelle economiche, riportavamo il passo di Engels che definisce l'avvento della quarta ed ultima fase del capitalismo mediante la scomparsa dei borghesi che, affidando allo Stato gli organismi di produzione e di scambio, si rivelano «una classe superflua» le cui funzioni sociali sono «disimpegnate da impiegati all'uopo mantenuti».

Engels ribadisce questo fatto in passi diversi e suggestivi che si ricollegano a quelli non meno espressivi di Marx circa la impersonalità del capitale e il carattere di puro, vuoto figurante del capitalista.

È ovvio che tali passi siano citati per stabilire che dove si sia arrivati al controllo e alla gestione statale di aziende produttive, e anche dove tutta l'industria sia statizzata, non per questo può parlarsi di socialismo.

Questo è però lungi dall'essere tutto. Necessita in più trarre da quelle citazioni due cose: in primo luogo che casi di statizzazione capitalistica erano già realizzati e noti quando la dottrina marxista si formò, e quindi per Marx ed Engels non erano fatti nuovi nella storia; in secondo luogo che essi non solo previdero il diffondersi sistematico di tali forme come sbocco immancabile della concentrazione del capitale, ma anche che fondarono tale previsione sulla definizione marxista del capitale contrapposta a quella borghese. Esso è fin dal suo apparire una forma e una forza sociale della produzione e non una nuova storica forma della proprietà privata, personale.

Proprio quindi se alle statizzazioni non fossimo giunti, e se lo Stato moderno si fosse mostrato capace di restare estraneo all'economia, non solo sarebbe caduta una previsione del marxismo, ma la teoria anti-marxista della produzione capitalista avrebbe messo al tappeto la nostra.

In altri termini: fin dalla sua prima apparizione, non è carattere essenziale e discriminante del capitale produttivo la sua intestazione a possessori singoli privati.

Le caratteristiche essenziali sono altre, tante volte da noi ricordate, e su cui con pazienza ritorneremo.

2. Optiamo per gli ignoranti
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Per l'evidenza di queste cose siamo condotti a stupirci che quei testi siano noti in dettaglio (dato che sono riportate le stesse citazioni) a taluni capi intellettuali di gruppettini e movimenti il cui torto non è di avere effettivi limitati, ma di pretendere che con effettivi limitati si possano gestire bacini di carenaggio per teorie che hanno navigato secoli di storia, convogliando milioni di seguaci.

Se una tale posizione fosse logica, evidentemente cadrebbe tutta la tesi marxista che un nuovo programma storico non può fare la sua apparizione nella testa di un autore singolo, o peggio in un cenacoletto da «boutique» di tipo esistenzialista.

L'esempio di cui ci occupiamo è quello della rivista «Socialisme ou barbarie» e del suo compilatore Chaulieu, che non ci pare proprio il più fesso e asino tra gli amarxisti. Un vero peccato.

Chi raddobberà i raddobbatori? Qui si tratta soltanto di sgombrare il campo dalle loro pecette, senza riuscire a spremere una lacrima su taluni loro ammiratori e cooperatori che ne scimmiottano le pretese; per quanto penoso sia che altra volta, a torto o a ragione, abbiano vantato ortodossia di scuola. La gran nave taglia meglio che mai le tempeste dell'oceano, e se doveva essere da questi tipi tenuta a galla, sarebbe ormai colata a picco.

Per spersonalizzare e slocalizzare parliamo di qui innanzi di raddobbatori e pecettisti (in dialetto romanesco pecetta è la toppa con cui si tura il buco, poniamo di un pneumatico sgonfiato, per lo più con quel successo che i veneti commentano col famoso «pezo el tacon dal buso»).

Il tentativo di provare che le falle esistono appare chiaro dalle frasi come questa: «tanto l'evoluzione del capitalismo che lo sviluppo del movimento operaio medesimo hanno fatto sorgere nuovi problemi, fattori impreveduti ed imprevedibili, compiti prima insospettati, sotto il peso dei quali il movimento operaio ha piegato, per arrivare alla sua attuale scomparsa».

In bacino dunque, per una operazioncella come: «prendere coscienza di quei compiti, rispondere a quei problemi». A Roma direbbero: hai detto un prospero!

Dopo un certo ricordo del «Manifesto dei comunisti» cui si riconosce vagamente il merito di avere affermato alcune prime intuizioni rivoluzionarie, e scoperta quella lotta di classe, che Marx teneva a non avere scoperta lui, si gira e rigira per venire a concludere che la teoria di oggi deve essere ben altra cosa da quella del 1848. Che non si voglia intendere che vi sono solo da aggiungere alcuni capitoli, o anche tagliare alcuni rami secchi per innestarne dei nuovi, ma che si tratti di sostituire l'intero tronco, è chiaro dalla puerile impostazione dei titoletti di un documento iniziale che scimmiottano quelli classici: borghesia e burocrazia - burocrazia e proletariato - proletariato e rivoluzione, al posto dei famosi: borghesi e proletari - proletari e comunisti. Ma che ammettendo questa tesi centrale: exit borghesia, ingredit burocrazia, non si fa una sostituzione di una parte ma del tutto, che non si ricuce la carena di legno ma si ostenta di impostare al suo posto quella di acciaio, lo mostreremo tra breve.

Questi carenatori varano in effetti barchette di carta.

3. Protagonista nuovo
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Poiché in sostanza se volete sapere che cosa era per Marx e i suoi seguaci nel 1848 o nel 1914 «imprevedibile ed insospettabile» lo deduciamo subito da altra frase centrale: «All'ingrosso si può dire che la differenza profonda tra la situazione attuale e quella del 1848 è data dall'apparizione della burocrazia in quanto strato sociale tendente a dare il cambio alla borghesia tradizionale nel periodo di declino del capitalismo». Questo personaggio, definito nuovo per le scene della storia, non è un generico, ma un primo attore. Infatti lo si presenta come strato (couche) sociale, ma presto lo si eleva a classe: come altrimenti la situazione sociale russa, a borghesia sparita, si definirebbe come economia e struttura di classe? Una classe è il proletariato, e l'altra? La burocrazia: questo è chiaro.

La definizione della burocrazia come classe sociale è un tale nonsenso che se per un momento la si ammette, tutta la teoria quale era al tempo del «Manifesto», e fino a Lenin (e per fortuna oggi ancora) va in frantumi, e nessuna parte e capitolo ne rimane superstite. Questo sarebbe ancora poco: sarebbe soltanto sorta, a lato di tante, una nuova demolizione del marxismo: se ne romperanno dentature! Ma il fatto è che l'errore insito in questa dottrina sta tutto in tesi non solo anti-marxiste bensì pre-marxiste, che il marxismo non ha solo sospettate e prevedute, ma che ha ripetutamente denunziate come già rancide al suo tempo, e stritolate con classici «passage à tabac» (italice: santantonii, che sono quelli che fanno in questura agli arrestati malcapitati).

Ci accingeremo dunque a provare che chi voglia fare il seguace del raddobbismo e pecettismo da rive gauche può accomodarsi, ma deve dichiarare di aver fatto a pezzi pagina per pagina sia Il Capitale che Stato e Rivoluzione.

Perché non si saprebbe meglio definire l'esatto contrario della posizione della sinistra marxista internazionale prima e dopo Lenin se non con le parole: «Il programma della rivoluzione proletaria non può restare quello che era prima dell'esperienza della rivoluzione russa e delle trasformazioni che si sono avute dopo la Seconda Guerra Mondiale in tutti i paesi della zona di influenza russa». Accade appena questo: che si mettono a rifare il programma della rivoluzione proletaria proprio quelli che dimostrano a chiare note di non aver mai appreso quale esso era, è, e sarà.

Il nostro movimento mira al polo contrario, e crediamo aver dato a questo lavoro un contributo non indifferente: «Il programma della rivoluzione proletaria deve restare quello che era prima della rivoluzione russa e della Prima Guerra Mondiale e della corruzione della Seconda Internazionale». Marx ritrovò nella Comune del 1871 il programma del «Manifesto» del 1848; Lenin nell'Ottobre 1917 e nella situazione successiva alla Prima Guerra Mondiale questo stesso programma. Il fatto importante è che tale programma non si vede in nulla attuato in Russia, e ciò è ben chiaro, ma non per le ragioni che ne danno i raddobbisti. In quanto sarebbe altrettanto non attuato se vincessero i loro postulati: democrazia e controllo proletario e riduzione dei godimenti della classe burocratica. Altro essi non sanno domandare.

Ieri

4. Classe che nasce vecchia
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Basterebbe una sola considerazione a porre la scoperta di questo nuovo pianeta nel sistema solare delle classi sociali storiche - la burocrazia-classe - pietosamente fuori di ogni minima comprensione della dialettica materialista, ricacciandola nei metafisici limbi di pensamenti affatto borghesi. La parodia incautamente tentata del «Manifesto» 1848 manca di ogni spiegazione, giustificazione e «apologia» di questa classe nuova, originale, che surroga le antiche. Se siamo stati testimoni, come si pretende, del suo avvento, siamo stati testimoni del formarsi e del vincere di una classe «inutile», e appena essa è apparsa l'abbiamo ritenuta meritevole solo di male parole. Quale diversa presentazione da quella che il «Manifesto» fa della rivoluzione borghese, della borghese conquista del mondo! Un errore, dunque, una distrazione, un aborto della storia? Questo è marxismo; o sporco idealismo di borghesia decadente!?

E perché questo aborto con la faccia orrida di vecchia decrepita, anziché gettarlo nel barattolo di alcool, fa tanta paura che impone di cambiare tutto «il programma della rivoluzione», e di rimettere a scuola di pallidi cerusici la «levatrice della storia»?

Questa ipotesi che l'apparato del potere di classe - altro in lingua marxista la burocrazia non è, lo Stato non è - tenga il potere non per la difesa di uno dei modi di produzione di classe ma lo tenga per sé, per il comodo suo, per cavarne i soldi per il cinema o per il bordello, altro non è che la più bassa edizione della più banale obiezione al socialismo proletario: portate pure al sommo della società forze nuove, non farete che ricominciare da capo, poiché chiunque governa e dirige non lo fa che per i propri affari. E ogni filisteo saprà dirvi: contro questo la sola ricetta è una ricetta morale, che governati e governanti siano onesti, è una ricetta liberale (il controllo, ohibò!...) per cui l'eletto a dirigere sia il servitore degli elettori come ad esempio nella vecchia Inghilterra, nella giovane America! E con questo stile insegnerete a Carlo Marx qualcosa che lui, poverino, non era riuscito a sospettare? Ma andate a fare piuttosto il mestiere di rivelare la verità ai mariti cornuti, che è più serio.

In una strana e sciatta polemica con Trotzky, cui danno torto in tutto quel che disse di giusto, e viceversa, colgono un suo cattivo movimento letterario nella frase che segue quella giusta (la certezza che la burocrazia non ha alcun avvenire storico): se lo scacco della rivoluzione permettesse alla burocrazia di installarsi stabilmente al potere alla scala mondiale, «sarebbe un regime di declino, significante un'eclisse della civilizzazione». Il proletariato e il marxismo rivoluzionario starebbero dunque lì pronti a far baratto del loro programma di classe, se si prova che il progresso si muta in declino, e che una civiltà comune a tutte le classi e superiore alle lotte delle classi minaccia di oscurarsi? Progresso, e luce della civiltà storica: altro non serve per cascare in pieno in quello che Marx ed Engels mille volte frustano come ideologia del socialismo borghese e piccolo borghese.

I raddobbisti vorranno superare il poco nostro marxismo: si godano questa confessione preziosa: per evitare che al capitalismo succedano regimi di declino e che la civilizzazione attuale (per noi tenebrosa al massimo) abbia ad eclissarsi noi non batteremo un tasto della macchina da scrivere o della linotype, e non accenderemo uno solo di quei tali prosperi: purché il regime borghese si tolga di mezzo, lasciamolo pur andare a letto al buio.

Ma per mostrare come la pretesa del raddobbo sia invece tentativo - certo inane - di smantellatura pezzo a pezzo, ci vuole un minimo di ordine: vediamo un poco la faccenda del corso economico, poi quella del potere politico.

5. Atrofia dialettica
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La polemica parte dal voler contraddire Trotzky sulla tesi che in Russia vi fosse tuttora, dopo la vittoria della burocrazia, uno Stato operaio. Trotzky avrebbe detto (in verità i giudizi critici di Trotzky andrebbero esaminati in ordine logico assai migliore) che l'economia era socialista nella produzione in forza della statizzazione della industria, ma non socialista nella sola distribuzione (o meglio ripartizione) dei redditi (o meglio dei prodotti). Ma nel confutare questa posizione con l'ovvio argomento che ognuna delle forme storiche di produzione presenta anche inseparabilmente caratteri suoi propri della distribuzione, si fa una folle confusione dei termini e dei concetti di base della economia marxista.

Noi dissentiamo da Trotzky nella definizione e nel riconoscimento dei vari stadi che ha traversato lo sviluppo sociale russo dal febbraio 1917, e riteniamo che egli ha avuto un costante «ritardo di fase» nell'accusare gli abbandoni delle varie posizioni rivoluzionarie: prima nel campo tattico, poi in quello politico, infine in quello economico. Oggi Trotzky - come pare abbia affermato la sua compagna Sedova - non parlerebbe più né di manovra né di potere né di economia proletaria per la Russia; questo è sicuro.

Ma la indiscutibile superiorità di Trotzky su questi suoi dispregiatori che in fatto di marxismo gli stanno alla suola, è che egli colloca lo sviluppo nella successione degli accadimenti storici e capisce che le relazioni tra strategia di manovra e politica economica si riconoscono tenendo conto del movimento di tutti i fattori sociali interni ed esterni, e sa distinguere tra le diversissime vie di vittoria, di arresto e di sconfitta delle rivoluzioni in gioco; anche quando adatta male al problema la soluzione del caso.

Questi suoi critici non vedono nulla storicamente e dialetticamente, e quando provano a raccontare la successione internazionale dei fatti lo fanno colla marcia dei gamberi, vedono tutto in modo disperatamente statico, statistico, e solo perché applicano parole e frasi lette in Marx, credono di trovare soluzioni nuove e felici. In verità essi non si sollevano da una sciocca «analisi» secondo la quale se mi date di un paese una fotografia dall'aereo io vi spiegherò quale è nell'inizio la posizione dei rapporti di produzione e di distribuzione e dopo potrò dare il verdetto sul «colore» del «regime».

A questa impotenza dialettica è impossibile capire che vi sono istanti in cui economia e politica, ad esempio, produzione e ripartizione, e perfino interessi della classe dominata e di quella dominante, ci appaiono con marcia perfettamente rovesciata, come la storia delle rivoluzioni e controrivoluzioni aveva insegnato a Marx prima del 1848 e come un riesame dei posteriori eventi conferma talmente, che non un chiodo nelle lamiere dello scafo va piantato in un buco diverso.

6. I rapporti di produzione
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Questo primario concetto marxista non è stato affatto digerito, sebbene si faccia ricorso a formulazioni classiche. Anzi è stato capovolto. Lo scopo che si vuole raggiungere è il legare i rapporti di produzione a quelli di distribuzione, e questo è giusto e noi lo abbiamo fatto correttamente a proposito dei caratteri mercantili dell'economia russa che dimostrano il suo carattere capitalistico, date essendo le condizioni storiche e politiche generali odierne. Ma al tempo, ad esempio, della introduzione della N.E.P., la conclusione poteva essere diversa.

Ma il fatto grave sta che nel ridefinire i rapporti di produzione viene talmente deformato il criterio marxista, da cadere in pieno in un idealismo anti-determinista crassamente borghese. Partendo infatti dal punto giusto si approda a questa razza di tesi, più volte ripetuta: «Sappiamo (!) che ogni rapporto di produzione è, in primo luogo e immediatamente (?), organizzazione delle forze produttive in vista del risultato produttivo».

In questo enunciato di una dozzina di parole messe tutte fuori del loro posto si ravvisano tutti i modi di pensare borghesi in economia e filosofia.

Il punto di arrivo cui tende tutta la tortuosa esposizione: la coscienza e la volontà, si è insinuato sotto mentite spoglie nel deforme punto di partenza.

Badate bene: il teorema vuole definire ciò che hanno in comune tutti i rapporti di produzione della storia, anche i più remoti.

La formula verte dunque sulle tesi idealiste e volontariste: in principio era la coscienza, in principio era la volontà. Poiché qualcuno organizzava, questo qualcuno disponeva la produzione e la economia secondo il suo piano, ossia la sua volontà. E poiché detto qualcuno aveva in chiara vista il risultato, in lui era già la scienza e la coscienza delle leggi economiche.

Ma chi è questo qualcuno? Chi rispondesse: l'uomo medio, sarebbe un corretto e leale anti-marxista liberale. Chi affermasse: l'uomo di eccezione, sarebbe un decente idealista di una delle tante scuole. Chi: l'inviato da Dio, sarebbe un rivelazionista conseguente. Ma il qualcuno dei raddobbisti ve lo diciamo subito: è la classe dominante(in Russia dunque la burocrazia, sovrana delle leggi economiche e dei risultati produttivi). Qui tutta la trama.

Si pretende di essere marxisti perché si introduce la classe anche quando non è classe (e forse solo allora). Si è letto Marx e compulsato a fondo, lo si cita forse più di noi, e proprio quando dimostra il contrario della «organizzazione in vista di un risultato produttivo». Sarebbe stato meglio non leggerlo: vi è anche un modo di leggere i libri che è simile a quello con cui lo scassinatore sfoglia i pacchi di biglietti da mille. Un compagno delle ore antelucane spesso si diverte a ricordare i nomi di tanti che, conoscitori a fondo di Marx e della sua opera, sono i peggiori nemici del marxismo.

Ripetiamo che la formula è generale per tutti i rapporti di produzione storici. Quasi che il maharajah indiano il cui peso è coperto in oro da tributi, quasi che il signore feudale vissuto decenni nelle crociate, avessero mai organizzati brandelli di produzione. Ma quando la pensiamo applicata al capitalismo vediamo la ricaduta, come nella filosofia, nella scienza economica borghese: la caccia al risultato produttivo. La spinta irresistibile a produrre senza limite e senza ragione, quindi senza coscienza di risultati e senza organizzazione, diventa, invece che la manifestazione contraddittoria e instabile che vi dimostra il determinismo economico, una cosciente e voluta ricerca di risultati da parte della classe dominante, la quale «costruisce» ad hoc il rapporto «materiale e personale». Siamo arrivati al punto voluto: tutto è un rapporto tra due persone: padrone ed operaio. Ed allora in generale si definiscono tutte le classi storiche in questo modo fossile: un gruppo di persone che sanno e vogliono e dirigono e un altro gruppo di persone che subiscono ed eseguono passivamente. Sicché la lotta tra le classi e soprattutto tra le forze che derivano dal vecchio e dal nuovo modo di produzione si rimpicciolisce pettegolamente ad una serie di aspetti di uno stesso conflitto eterno: tra il dirigente e l'esecutore! Ecco l'altra formula chiave dello sbilenco sistema.

Se poi la formula prima trattata dovesse definire il modo di produzione socialista, solo allora si potrebbe dire: organizzazione delle forze produttive in vista del risultato. Ma non si dovrebbe aggiungere produttivo, che puzza di affarismo e di economismo capitalista lontano un miglio, bensì: risultato di consumo, di uso. Questo sarà tra molto tempo in una società senza classi, e quando sarà risolto il filisteo problema di evitare che il dirigente freghi l'esecutore; ma fino a che vi sono classi, la cosciente realizzazione del risultato è impossibile, a singoli, e a classi. Solo al partito! Come rinfacciano a Lenin di aver proclamato.

7. Fuori dal seminato
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Si vuol provare che la proprietà nazionalizzata e statale non è socialismo; e ciò è giusto, ma la via che si segue è errata. Si dice che i rapporti di produzione sono un paio di maniche e le forme della proprietà un altro. Invece in Marx sono due maniche dello stesso paio. Sia l'azienda di un privato borghese o dello Stato, la forma di proprietà è la stessa, basta che si capisca di pensare non alla fabbrica o alle macchine ma al rapporto del lavoratore salariato al prodotto. La forma borghese di proprietà è quella quando al lavoratore è tolto ogni diritto di appropriazione sul prodotto dell'azienda. Naturalmente tolto è anche sugli strumenti di produzione, ma ciò è un derivato del fatto materiale che si lavora associati: sarebbe bello che (sia pure per decisione dell'autonomo consiglio di fabbrica) ogni operaio portasse via una pietra dal muro o una ruota dalla macchina...

Eppure si parte dalla più perfetta delle enunciazioni di Marx, scritta di certo un giorno che i maledetti antraci che gli fecero poi invocare la morte non lo straziavano, e uno di meno degli atroci sigari era stato fumato, quella della introduzione del 1859 alla Critica dell'economia politica. La riporteremo mettendo le parole non citate dal testo tra parentesi.

«Nella produzione sociale della loro vita gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà (rapporti questi di produzione i quali corrispondono ad un grado determinato dell'evoluzione delle forze produttive materiali). La struttura economica della società è costituita dall'insieme di questi rapporti di produzione, che formano la base reale su cui si eleva la superstruttura giuridica e politica (cui corrispondono determinate forme della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo della vita sociale, politica e spirituale in generale. Non è la coscienza degli uomini che modifica il loro essere, ma per converso è il loro essere sociale che determina la loro coscienza). Ad un certo punto del loro sviluppo le forze produttive materiali della società entrano in conflitto con i rapporti di produzione esistenti, ovvero, ciò che non è che l'espressione giuridica dello stesso fatto, con i rapporti di proprietà, nel cui ambito si erano mossi fino ad allora. (Tali rapporti sociali che fin qui furono forme evolutive delle forze di produzione, si trasformano in loro catene. Allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Trasformandosi le basi economiche della società, presto o tardi, si rivoluziona tutta la mostruosa superstruttura sociale. Esaminando tali rivoluzioni) bisogna sempre distinguere fra la rivoluzione materiale nelle condizioni della produzione economica (constatabile con precisione scientifica) e le forme giuridiche, politiche (religiose, artistiche o filosofiche), in breve ideologiche (in cui gli uomini divengono consapevoli del conflitto e in esso combattono. Così come non si giudica un individuo secondo ciò che egli pensa di essere, non si possono giudicare tali epoche di sovversione sociale dalla coscienza che esse si formano di sé stesse, ma si deve dichiarare la formazione di detta coscienza dalle contraddizioni della vita materiale e dal conflitto esistente tra le forze produttive sociali e i rapporti di produzione)».

La lezione di questo testo è chiara. Non lo stiamo dicendo noi, lo dicono quelli che lo hanno mutilato di tutti i passi tra parentesi. Chiara! Dopo aver letto una volta quel testo in possesso di tutte le facoltà fisiologiche, di leggeri si può appiccare fuoco alla biblioteca e strapparsi dalla materia cerebrale la circonvoluzione dell'alfabeto. Ma non è lecito ometterne brani a caso (peggio: non a caso, ma sempre che si tratta di mettere avanti la condizione materiale e in coda la coscienza, rinviata a molto dopo ogni rivoluzione, e che invece è il punto di approdo di tutto lo zibaldone, pietosamente indietro di un secolo a questo abbagliante fascio di luce). Se poi si fa innanzi chi vuole, gonfio della compulsazione di quanto pubblicato dal 1859, cambiare qualche parola, allora non resta che la notoria girandola di calci nella sottostruttura della coscienza.

8. Capisaldi terminologici
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Rileggiamo con calma. Produzione sociale della vita. Rapporto che esce assolutamente dalla persona e dal suo bilancio di dare e avere, in cui i pretesi aggiornamenti sono disperatamente condannati ad aggirarsi. Produzione per le associazioni umane dei loro alimenti e riproduzione biologica della specie, dei produttori di domani. Tutto mai pianificato da testa, o teste, ma determinato dallo stato delle forze produttive materiali. Anche gli uomini sono una forza produttiva, che si evolve, ma non può rompere le condizioni determinate dalle tecniche possibilità: zappa o aratro, remo o vela, slitta o ruota, fauna, flora, geologia del terreno. Queste sono le condizioni materiali, non i soldi nel portafoglio. La «coscienza» di questi svolti si può dichiarare nelle leggende di Giasone che corre a fendere il seno a Teti, di Encelao che prigioniero sommuove l'Etna, di Talo, che inventa la ruota e il tornio ed è ucciso dal maestro Dedalo, inferocito di avere inventato l'aeroplano e non la carretta... Dietro le chiacchiere di Socialisme ou Barbarie non si può dichiarare che la coscienza di zero.

Rapporti di produzione sono la stessa cosa che rapporti o forme di proprietà, solo che prima si esprimono in termini economici, dopo in termini giuridici. Inutile tentare di farne cose diverse, e allo scopo tacere i passi che stabiliscono come il diritto derivi dal rapporto economico.

Nello schiavismo il rapporto di produzione è che il prodotto del lavoro dello schiavo è a disposizione del padrone, senza corrispettivo oltre i minimi generi di consumo, e che lo schiavo non può allontanarsi o produrre per altri o per sé stesso. Rapporto di proprietà è quello sulla persona e la vita dello schiavo, ed esprime la stessa cosa, in diritto.

Forze produttive sono gli utensili, le macchine, i veicoli di ogni genere, le materie prime e le derrate che la natura offre, e beninteso la classe lavoratrice in ogni tempo. Modo di produzione (Produktionsweise) o forma di produzione è uno dei grandi tipi storici di relazioni produttive: risorse tecniche e forme di proprietà. Alla coltivazione della terra si adattano successivamente sia il primitivo comunismo che lo schiavismo, la servitù, il salariato. Alla produzione dei manufatti risultano mano mano inadeguati il comunismo primitivo, lo schiavismo, il libero artigianato, ed infine vi risulta ad un certo stadio il salariato stesso.

Il capitalismo è uno dei grandi modi di produzione storici, ed una delle forme di proprietà più importanti. Questa ben definita forma con le sue caratteristiche non consente evasioni traverso le pretese sostituzioni: capitalismo privato-capitalismo di Stato o borghesia-burocrazia.

Ma vi è un altro equivoco. Forme della proprietà sono i rapporti di diritto. Questi si spiegano colla loro determinazione dal fatto economico, ma altro è spiegare essi, altro è procedere a capire ideologia religiosa, filosofica e via.

Il rapporto di proprietà è un rapporto materiale. Lo Stato che funziona secondo la sancita norma giuridica è un materiale meccanismo ben più palpabile che un sistema filosofico. Se lo schiavo fugge gli agenti dello Stato lo catturano. Se il salariato prende un oggetto prodotto, o anche se l'industriale o il dirigente lo sequestra in fabbrica vengono i gendarmi ad arrestarlo o liberarlo. Le forme di proprietà sono materiali agenti economici e non fattori che agiscono solo «mistificando»! Io ad esempio sono con la coscienza bene al di là della mistificazione mercantilistica, ma quanto consumo lo compro con assoluta obbedienza spontanea alla legge del valore. Proprio così: in questa gente non vi è un concetto fuori del suo luogo.

9. Metafisica dello sfruttamento
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Non lasciamo ancora il tema economico. Tutta la concezione delle lotte di classe è ridotta ad una ininterrotta battaglia contro un nemico unico: lo sfruttamento. Il mostro è sempre lui, le vittime in rivolta cambiano: schiavi, servi, salariati e via. Qui siamo in piena Philosophie de la misère alla Proudhon. Roba sepolta nel 1847, altro che insospettabile nel 1848.

Si tratta di leggere e non capire che significa il brano: «gli stessi rapporti sociali che prima furono forme evolutive delle forze di produzione, si trasformano in catene». Ora lo sfruttamento del salariato, il sopralavoro, il plusvalore, solo oggi, a capitalismo avanzato, sono catene. Quando il capitalismo nacque erano forme evolutive utili delle forze di produzione. Liberté, égalité, fraternité, erano una mistificazione (come ricordano i nostri del tutto «en passant») va benissimo; e lo sono ancora come essi ipocritamente li riapplicano all'interno della classe proletaria, dimenticando di darci la ricetta cosciente, per quando, finalmente, non sarà più né classe né proletaria. Ma non era una mistificazione il fatto che lo stesso oggetto, poniamo la forbice, fatta dai salariati e non dal libero artigiano, permetteva al «povero» di avere una forbice invece di nessuna in casa, o quattro al posto di una. L'artigiano espropriato ferocemente, dato che appunto perché vittima incosciente delle tradizionali forme resiste contro il soggettivo interesse, guadagnerà in tenore di vita diventando salariato.

L'artigiano non prestava, almeno direttamente, sopralavoro. Ma il far prestare masse di sopralavoro ai salariati associati nelle nuove aziende e fabbriche era la sola via per accumulare capitale fin da allora sociale ed evolvere verso l'attuale dotazione di attrezzaggio. Che ci fosse lo sfruttamento è obiezione extra-marxista e scioccamente morale.

L'errore economico di base è quello di tutto ridurre alla contesa per il plusvalore, che si confonde con la ineluttabile fame di sopralavoro del capitale. Al suo sorgere il modo di produzione borghese rende possibile un maggior accantonamento sociale con minore lavoro dei viventi: non è dunque per essere fatti fessi ma per deterministica materiale influenza della moderna e futura più fervida forza produttiva, che i proletari danno mano a rompere le catene della servitù della gleba e della piccola produzione. Mano mano la legge della caccia al sopralavoro che vieta al capitale la «organizzazione in vista di uno scopo» conduce la nuova forma ad essere sfavorevole. Non vi è dunque un assoluto valore etico, ma un trapasso quantitativo di rendimento sociale. Naturalmente questi, che pecettano Marx scendendo sotto Lassalle, vedono nella lotta tra due storici modi di produzione la sola contesa operaio-padrone ovvero operaio-burocrazia, e la circoscrivono nel limite del margine di profitto che oggi è basso ad alto saggio del plusvalore per effetti meccanici.

Ed allora, accecati nel campo della ripartizione dei redditi e leggendo al rovescio le frasi che citano dall'altro formidabile testo della critica al programma di Gotha sulla spartizione della miseria, non vedono come in principio sia proponibile la tesi: la spesa per la burocrazia d'azienda e di Stato è una delle tante frazioni in cui si ripartisce il profitto: al fine di un veloce passaggio dall'economia parcellare semiasiatica ad un mercato nazionale e ad una fiorente industria, la somma sfruttata dalla presente burocrazia russa, in quanto consumo in sé e per sé, potrebbe essere il minore di tutti i guai, nel complesso cammino mondiale verso il miglioramento marxista delle «condizioni del vivente lavoro». La discussione che conducono con le cifre di Trotzky e degli apologeti stalinisti in cui consiste la loro precisa superiore analisi, dimostra solo che hanno un lungo cammino da percorrere prima di arrivare al livello a cui era la scienza economica, quando se ne formò la nuova costruzione propria del proletariato moderno. Litigano sulla riduzione di pochi centesimi, fanno la cresta sulla spesa come la serva al mercatino, non vedono il mondo che si tratta di conquistare.

Oggi

10. Stato e rivoluzione
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Dopo aver visto come la mania di migliorare e di aggiornare, e lo snob infelice di temere sempre di essere di qualche cosa indietro agli ultimissimi apporti della scienza conformista, hanno condotto a denegare paragrafo per paragrafo tutti i nostri testi economici, vediamo qualcosa del corso politico.

Che cosa è per noi lo Stato? È un apparato fatto di uomini con dati incarichi, e soprattutto uomini armati, il quale non è assolutamente necessario per ogni umana comunità (e qui, Lenin diceva, hanno ragione gli anarchici), dato che vi furono e vi saranno (la giusta ragione è in Engels) società senza Stato.

Ma non può non esservi Stato fino a quando vi saranno società divise in classi in lotta tra loro. Fin qui potrebbe venire anche l'anarchico.

Più esattamente lo Stato di una data epoca è una forma di proprietà che corrisponde a dati rapporti economici, che con essi apparve, e che tende poi a conservarli e li difende con la forza anche quando sono diventati «catene per le nuove forze produttive» capaci di far progredire il generale benessere.

Lo Stato, insieme di corpi armati e non armati, ossia sistema di burocrazie (polizia, milizia, magistratura, amministrazione, clero perfino) non è dunque sempre il male assoluto. Dopo la rivoluzione antifeudale lo Stato francese con la sua falange di funzionari, il suo esercito permanente, la sua guardia nazionale, i suoi gendarmi, ecc. ha la funzione di lottare contro la reazione. Diciamo che esso esprime la lotta dei nuovi capitalisti contro gli antichi aristocratici signori terrieri. Non è tutto. Lo Stato è spiegato dalla presenza di quelle due classi, ed è un attrezzo rompitore di catene e non serratore di catene, per il momento. Ma diremo più esattamente che esso esprime la lotta tra un futuro modo di produzione (il capitalista) ed uno passato e deteriore (il feudalesimo), lotta storica ed universale. Al di fuori della partizione della popolazione di Francia, un tale Stato in un tale momento storico esprime la pressione di tutte le classi borghesi e proletarie in lotta, e si può dire che oltre ad una rete mondiale di interessi rappresenta il potenziale di qualcosa di ancora più ampio: la irresistibile forza generativa di materiali forze produttive future.

A questa stregua dobbiamo giudicare le forme e le lotte di un tale apparato, e l'intreccio impressionante ne è dato nei tre classici testi di Marx.

Non con un andamento continuo ma con un processo assai complesso un tale apparato muta le sue funzioni «antiformiste» in funzioni «conformiste» e si leva contro di lui una classe ed una forza che mira ad abbatterlo.

Lo Stato è dunque quell'apparato che si poggia su una classe che difende e rivendica un dato modo di produzione e che dopo il successo rivoluzionario resiste al ritorno delle antiche forze, e modi.

Chiaro quindi che ogni rivoluzione sociale a cavallo tra due grandi tipi della forma di produzione, ed in ispecie la veniente rivoluzione del proletariato, deve fare a pezzi il vecchio Stato, disperdere le sue gerarchie e il suo personale. Ma chiaro anche - e qui gli anarchici non intendono, e arricciano il naso i gruppi più o meno anarcoidi - che per tutto il tempo in cui il vecchio modo produttivo ha forze e difensori non solo entro il territorio ma altresì fuori, occorrono in nuova forma e Stato, e corpi di uomini armati, e burocrazia.

Una tendenza anarcoide si svela in queste curiose parole: «il potere delle masse armate non è già più uno Stato nel senso abituale del termine»! Qui, al di sopra del marxismo, liberalismo e libertarismo di una maniera romantica si danno la mano.

11. Estinzione della burocrazia
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La necessaria per Marx e Lenin formazione del nuovo Stato rivoluzionario: la dittatura del proletariato, è in ragione del fatto che mentre la conquista del potere politico coi mezzi rivoluzionari è un salto brusco, non lo sono, e si diluiscono nel tempo: la piena sostituzione del nuovo al vecchio modo di produzione, la corrispondente scomparsa locale della classe che precedentemente aveva il potere e rispecchiava il vecchio modo di produzione, l'influenza delle forze estere che difendono quello stesso modo di produzione e contrastano il nuovo, e più di tutto i residui di influenze sovrastrutturali di tutti i tipi dominanti la ideologia e psicologia sociale. Quindi lo Stato non si abolisce, ma se ne fonda uno nuovo rovesciando l'antico. Con quel lungo processo, la cui lunghezza dipende dal grado di sviluppo interno delle forze sociali e dai rapporti internazionali di forza delle classi, lo Stato si estingue. Tutto ben noto e a cui i raddobbatori simulano di non apportare ritocchi.

Essi stessi citano Engels in passi ben chiari, quanto al provare che tale corso non è mutato se la concentrazione ha raggiunto lo stadio dell'industrialismo statale. «I mezzi di produzione divenendo proprietà dello Stato non perdono il carattere di capitale. Lo Stato è il capitalista collettivo ideale».

Ecco il punto cruciale. Se i mezzi di produzione da proprietà sparpagliata e individuale del lavoratore autonomo divengono capitale, lo faccia un privato finanziato o lo Stato, è processo al modo di produzione capitalistico. Se da capitale divengono mezzi della produzione sociale, ossia sono impiegati senza forma salariale della produzione e senza forma mercantile della distribuzione, allora è passaggio dal modo capitalistico a quello socialistico. Questo secondo trapasso non può, è chiaro, essere fatto né da privati, né dallo Stato politico della classe borghese; può essere fatto solo dal nuovo Stato rivoluzionario, dalla dittatura del proletariato.

Qui sta la soluzione vanamente cercata nella «piramide dei redditi» e nello scandalo della sproporzione degli stipendi in Russia - sproporzione contro cui si potrà sulle tracce gloriose della Comune, levare una rivoluzione soltanto socialista, in un tessuto di avanzato capitalismo.

Deve tuttavia riconoscersi che lo Stato operaio, che solo può assolvere quei compiti di trasformazione della forma di produzione, può bene in periodi non solo di evoluzione e sviluppo tecnico interno, ma anche di lotta politica internazionale, essere astretto a gestire forme di capitalismo di Stato a sfondo salariale, mercantile, in altri termini in certi stadi - che quello stalinista di oggi ha da anni e anni superato - restare Stato politico del proletariato e del futuro mondiale modo socialista di produzione, pure occupandosi ancora della preliminare trasformazione «di mezzi di produzione in capitale».

Lo Stato russo, con l'inevitabile burocrazia, è oggi «addetto» soltanto a trasformare mezzi di produzione in capitale, come uno Stato capitalista giovane, ed è divenuto un apparato che non combatte più per il modo di produzione proletario ma è, come tutti gli altri, pronto a difendere quello capitalista.

Volete vedere svanire questa teorizzante burocrazia senza bisogno di rivoluzioni e di guerre? Supponete veramente possibile il passaggio al modo socialista di produzione: imparate che esso presenterà sparizione del mercato e della registrazione dei prezzi, della divisione aziendale e della registrazione dei salari, della divisione professionale del lavoro e della differenza tra città e campagna, e comprenderete che la ribalta di squallidi moccoli che è formata dai funzionari di ogni tipo si spegnerà da sé stessa, declinando l'onore, troppo grande per l'ignavia dei ronds-de-cuir, di dare il nome ad un periodo della storia.

12. Iliade e batracomiomachia
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Ecco «l'altra soluzione», tutta fatta da secoli, che vale a chiarire i problemi dei raddobbatori e i loro pretesi dati ignoti al marxismo.

A queste armi critiche poderose essi sostituiscono la statistica pettegola dei redditi, cercano, ma non sanno, le quote del reddito e del plusvalore, e soprattutto non sanno indicare come qualitativamente variano: in su o in giù, verificando il progresso di diffusione del capitalismo, che essi barattano colla solita palinodia: cresciuta estorsione, diminuito tenore di vita, e altre balle.

La soluzione sta nel classificare, assenti i borghesi russi, distrutto lo schema: due classi (almeno), e lo Stato per una sola di esse (e fatto quindi a pezzi il testo di Marx sulla Comune e quello di Lenin sullo Stato), i cittadini sovietici tra «operai» e «burocrati». Ma se il rapporto di produzione fosse quello operaio-Stato sarebbe rapporto unico, e non vi sarebbe differenza né lotta di classe. Tale selezione arbitraria e irreale è la peggiore parodia del marxismo. Vale la sostituzione dell'urto di due forme storiche che descrive miticamente l'Iliade, con una lotta di specie tra topi e rane che Omero stesso avrebbe umoristicamente cantata nella Batracomiomachia.

Nell'Iliade due civiltà antiche si scontrano terribilmente e determinano la storia di successivi secoli. Da una parte la immobile, agraria, satrapica società asiatica di eterne monarchie e signorie teocratiche cui sono tributari i popoli ancora nomadi e le tribù ancora comuniste (poverissime, Marx lo prova, di burocrazia: una dozzina di tipi per ogni tribù, incluso l'astrologo. Perché la gente da penna di cui trattiamo neanche sul terreno retorico ha inventato nulla: dovrebbe sapere che tra burocrazia dominante e barbarie non vi è parallelo, ma diretta antitesi!) - dall'altra la navigante, commerciante, industriale rispetto ai tempi, stirpe eolia e jonica, che le sovrastrutture giuridiche e filosofiche, il geniale individualismo, avvicinano alla borghesia romantica del migliore evo moderno europeo. Due mondi e due forme diverse sul serio della umana organizzazione, effetti determinati dalla stessa distanza di sfondo geografico tra la immensità dei deserti e delle terre interne e la frastagliatura capricciosa di penisole ed arcipelaghi, tra il clima glaciale e torbido a un tempo del supercontinente, e quello dolce e temperato dei ridenti lidi mediterranei, si scontrano, quando il carro di Ettore e quello di Achille cozzano terribilmente.

Ma con la statistica del ventisette del mese il quadro si vuota, come allorché, distinguibili tra loro a prima vista, i topolini e le ranocchie si azzuffano, ripetendo a gran voce le invettive degli eroi prima del duello, ricalcando le alterne vicende della decennale guerra dei continenti, e scimmiottando nei nomignoli da burla Troiani e Argivi.

Lo scontro tra il modo capitalista di produzione e quello socialista, sta in queste stesse proporzioni con la tentata descrizione (impotente a citare un solo episodio storico o di cronaca che riempia non diciamo un libro omerico ma un telegramma Reuter) della società russa. È la proporzione tra il grande poema epico, e la piacevole toporanocchiata.

Source: «Il Programma Comunista», n.10, 21 maggio - 4 giugnio 1953

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