Tra poco sarà passato mezzo secolo da che si riversano sui tedeschi i guai caduti sulla umanità in questo periodo tremendo, lungo il quale la «civiltà borghese» è andata rinculando da quello che poté essere un suo massimo vertice di grandezza.
Allo scoppio della guerra imperialistica del 1914, sulla denigrazione della Germania e del popolo tedesco si fondò l’inganno gigantesco di presentare il conflitto come guerra ideologica. Non era il capitalismo che imboccava la china ineluttabile della sua infamia e vergogna e della sua svelata barbarie, proclamata dai marxisti. No. La civiltà, una nel tempo e nello spazio, era attributo umano a cui uno solo attentava: il tedesco; tutti gli altri la difendevano in una santa crociata! La bestemmia secolare sta tutta qui; è stata la stessa nel 1939 ed è la stessa oggi.
Il grande movimento marxista mondiale sembrò lacerarsi. Gli ortomarxisti videro nella guerra la inevitabile conseguenza del sistema sociale capitalista e la reazione del capitale tedesco determinata dalla sua preclusione dal banchetto coloniale sulla pelle degli infelici popoli di colore. Dall’altra banda i rinnegati sostennero che il proletariato dovesse affittarsi a difendere la patria locale o la civiltà umana barattando alla causa propria, l’avvento della rivoluzione socialista.
I rinnegati allignarono anche e massimamente in Germania; e presentarono la minaccia alla civiltà e alla cultura nella Russia feudale che muoveva a distruggere un secolo di democrazia; la stessa cosa di cui gli intesisti accusavano gli imperi centrali.
I falsari del socialismo ricorsero a tutti i mezzi. Ma gli antitedeschi, fondando essi la infamia del razzismo e della predestinazione dei popoli a salvare o ruinare la specie umana tutta, soffiarono nell’odio perfido servendosi del testo della Germania di Tacito, in cui il civile latino descriveva quel popolo, ribelle alla oppressione imperiale, come un branco di bruti e di feroci belve; passati tal quale traverso due millenni.
Nella prima guerra la Germania fu debellata, ma il merito non fu dei socialisti fattisi crociati della idea liberale borghese. Proprio i socialisti dell’ala sana, che avevano sostenuto, al posto del crociatismo estero, il disfattismo interno e la guerra civile, scavarono la fossa allo stato del Kaiser. La Rivoluzione Russa di Ottobre tolse agli eserciti tedeschi un potente nemico; e tanto più quanto nel 1918 firmò la pace di Brest-Litovsk.
Ma il disfattismo, scuola viva e generosa del socialismo, passò la frontiera irta di ferro, e il grande proletariato tedesco capì la lezione russa. I fronti di Ovest cedettero, e fu la pace di Versailles e la Repubblica di Weimar.
Il proletariato tedesco aveva due strade. Una era la dittatura rivoluzionaria e la fondazione di una seconda e più grande Repubblica dei Soviet. La via opposta era un movimento di rivincita nazionale contro i patti infami di Versailles che – senza tuttavia smontare la quasi intatta macchina produttiva – disarmarono il vinto e fecero del paese che aveva capitolato uno Stato solo, ma due pezzi di territorio divisi dal folle «corridoio di Danzica».
La storia delle crisi del proletariato tedesco tra queste due spinte è piena di lezioni immense. Furono i socialisti traditori a preparare la logica soluzione hitleriana, contro la quale furono rilanciate tutte le stesse montagne di esercitazioni atrociste.
Noi comunisti della Internazionale di Mosca respingemmo ogni idea di fare fronte con una guerra nazionale anti-Versailles. Ma anche questa formula era stata sollevata.
Nella seconda guerra di rivincita tedesca in una prima fase la Russia, oramai deviata dal marxismo rivoluzionario, per un momento fece il blocco con Hitler e simulò la tesi leninista che Francia e Inghilterra (poi America) lottassero per lo squisito movente imperialista, quello del 1914.
Questa fu una prima vergogna, ma il secondo stadio fu peggiore. Tesa la mano a francesi inglesi ed americani, i russi si rigettarono al crociatismo democratico più criminale. La forza vitale del disfattismo di classe era spenta ovunque da due ondate di tradimento. Sconfitta una seconda volta, la Germania non ha ancora avuta la seconda Versailles, ma di peggio. I vincitori la divisero in due zone di occupazione che formano due Stati separati, sia pure senza corridoio tra i due pezzi di territorio. Sono due pezzi che si toccano, e anche Berlino è in due pezzi.
Problema della pace. Con chi i vincitori del 1945 possono stipularla? Possono fare dei due pezzi un unico Stato, sgombrarlo, e poi col suo governo firmare un trattato? La cosa non sarà mai, perché è impossibile. Lo sarebbe solo se l’impasse mostruoso di libertà democrazia e parlamentarismo non fosse, come il marxismo sa da cento anni, la più turpe delle menzogne.
Una soluzione pensabile, ma oggi non certo matura, è che ognuno dei due gruppi vincitori annetta il suo pezzo di Germania, e che segua un conflitto armato mondiale. Ci sarebbe questo di buono, che il «maledetto» popolo tedesco, combattendo parte di qua e parte di là, non potrebbe essere accusato la terza volta come il Caino della civiltà moderna. Vi può essere un’altra soluzione, che tutto il popolo tedesco sorga in una guerra nazionale contro gli oppressori di Est e di Ovest. Questo potrebbe essere uno slogan patriottico, divenendo chiaro che né America né Russia vogliono la unificazione, e quindi la pace con la Germania una, mentre non hanno interesse a due trattati di pace separati.
Abbiamo alcuni fatti. La Russia non fa il trattato con la Germania dell’Est. L’America non lo fa con quella di Bonn isolata (sarebbero atti inutili). Il presidente americano ha detto a quello russo a Camp David che teme la unificazione tedesca. Il primo ha smentito. Ma la verità è questa: che si sono detti, in tono distensivo, di non volere nessuno dei due la Germania unita, e di temerla. Vero accordo al vertice. Altro fatto: non si litiga per Berlino, ma si recita la commedia di litigare per l’U-2, i voli spia, e le basi.
Vi è ancora un’altra ardua splendida prospettiva. Non una guerra nazionale di tedeschi di nuovo patrioti e razzisti, contro tutti. Ma una guerra civile nelle due Germanie contro i governi manutengoli dell’America e della Russia, ossia una rinascita di classe del proletariato tedesco, il ritorno della parola della dittatura proletaria, e della grandiosa tradizione di Marx.
Non è la prospettiva di una assurda impresa, a condizione che la lotta interna di classe risorga nel centro nell’Ovest e nell’Est.
Quasi mezzo secolo è bastato a decidere che la direzione russa della lotta per il comunismo è finita nel fallimento. Le speranze possono essere solo in una missione del grande proletariato germanico, che riempia la storia di quanto resta del secolo. Non si tratta più della sola Europa. Sono in moto tutti i continenti. Benché la zavorra nazionale pesi ancora per molto, pur con rivoluzionario effetto, per quei popoli di colore, la loro guida sarebbe in un pieno internazionalismo della formula unitaria tedesca; il nuovo grande Stato del proletariato tedesco, che affronti le forze dell’Est e dell’Ovest tutte capitaliste socialmente.
I popoli di colore potrebbero passare rapidamente innanzi e saltare secoli di storia. La situazione di oggi è grigia, ma già sembra che la Cina sia meno proclive della Russia alla coesistenza distensiva.
Forse quando Pechino ha saputo che a Camp David si decretava la soggezione del bianco popolo tedesco, un giallo grido di protesta, ingenuo ma possente, ha fatto saltare lo schifosissimo compromesso.
Solo la linea di Marx, di Lenin, e della dittatura di classe può incanalare in un’unica fiumana le forze che fremono nel sottosuolo della storia per tutto il pianeta.