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LA BASE ECONOMICA DEL CONFLITTO ALGERINO
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La base economica del conflitto algerino
L'area geografica
Geografia dell'Algeria
Coesistenza esplosiva nell'agricoltura
Aspetti esplosivi dell'agricoltura
Classi sociali e interessi di classe
Cortina di ferro contro la Francia
Source


La base economica del conflitto algerino
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Questo studio fu presentato dai compagni francesi alla nostra riunione di Roma e uscirà prossimamente, in forma un po' diversa, sulla loro rivista: crediamo tuttavia utile anticiparne la pubblicazione perché le prospettive della questione algerina, ora giunta ad una svolta decisiva, cono strettamente legate alla natura dei rapporti di produzione e della struttura di classe del Paese.

La lotta anti-imperialistica che sconvolge tutta l'Algeria è scoppiata sotto la pressione irresistibile del sottosuolo economico. Lo stesso movimento nazionale che organizza questa lotta violenta è determinato da tale sottosuolo, in cui il marxismo legge, attraverso forze cieche e contraddittorie, la chiara visione del corso storico.

Poiché le strutture esistenti in Algeria risalgono spesso ad un passato millenario, è perfettamente «attuale» descriverle risalendo nei tempi. È inoltre opportuno situare il Paese nella sua area geografica per spiegarne il modo di produzione e le forme sociali.

L'area geografica
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L'assenza di proprietà della terra è - dice Marx - la chiave di volta di tutto l'Oriente, della sua storia politica ed anche religiosa. Se gli orientali non sono giunti alla proprietà fondiaria, lo si deve al clima, alla natura del suolo, e al fatto che l'irrigazione è la premessa necessaria dell'agricoltura.

La produzione agricola sfrutta due elementi naturali, la terra e l'acqua. Negli stadi primitivi della produzione, il carattere dell'agricoltura è determinato dal problema: l'acqua cade in quantità sufficiente, e al momento voluto? In Oriente, è l'aggiunta dell'irrigazione (lavoro comunitario) che permette di regolare le acque e rende possibile l'agricoltura. Quando l'agricoltura è favorita dalla pioggia, essa può utilizzare strumenti di lavoro efficaci per mobilitare le risorse della terra e, per i campi di grandi dimensioni, richiede gli animali da tiro. Invece, nelle zone irrigue, il lavoro può svolgersi con attrezzature relativamente più primitive, ma deve essere completato da tutto un arsenale di installazioni idrauliche spesso molto perfezionate; più il lavoro diventa intensivo grazie all'irrigazione, più le superfici necessarie alla riproduzione dei produttori immediati diminuiscono, e meno vantaggiosa diviene l'utilizzazione delle bestie da soma. Nelle zone irrigue, la produzione dipende perciò nel più alto grado dallo zelo del lavoratore, i raccolti possono essere numerosi, l'agricoltura prende un carattere orticolo, e non vi si mostra adatta la manodopera servile in senso proprio, cioè priva di ogni proprietà e famiglia e operante su fondi privati immensi (come a Roma). In Oriente non si trovano che schiavi di lusso, domestici.

Marx delimita l'area orientale nel modo seguente:
«
Il clima e le condizioni del suolo, specialmente la grande fascia di deserti che dal Sahara, attraverso l'Arabia, la Persia, l'India e la Tartaria, si estende fino ai più elevati altipiani dell'Asia, fecero dell'irrigazione artificiale mediante canali ed altre opere idrauliche la base dell'agricoltura in Oriente. Come in Egitto e in India, così nella Mesopotamia, in Persia ecc. le inondazioni sono utilizzate per fecondare il suolo; si sfruttano le piene per alimentare i canali d'irrigazione. La fertilizzazione del suolo, che dipende da un governo centrale e decade non appena l'irrigazione e il drenaggio vengono trascurati, spiega il fatto altrimenti incomprensibile che intere plaghe un tempo brillantemente coltivare, come Palmira, Petra, le rovine dello Yemen, e vaste zone dell'Egitto, della Persia e dell'Indostan, si ritrovino oggi aride e desertiche; spiega altresì come una sola guerra di devastazione abbia potuto, per interi secoli, spopolare un paese e privarlo di tutta la sua civiltà» («La dominazione britannica in India», 10.6.1853).

Si noti che i fattori da noi elencati indicano solo la possibilità di un tale sviluppo, non la sua realtà.

Ora si constata che le zone di irrigazione e di nomadismo presentano gli stessi tratti fondamentali: mancanza d'acqua, sia in quantità che al tempo voluto. Nello stadio primitivo dell'agricoltura, è inoltre determinante l'esistenza di una flora e di una fauna: l'assenza di queste condizioni ha prodotto una stagnazione in Australia e una cultura unilaterale nelle Ande. Le zone nomadi e irrigue hanno una base naturale comune: la struttura delle forze produttive spiega quindi i tratti specifici di queste due economie di produzione, il meccanismo dell'economia delle zone di frontiera tra di loro, le invasioni, le cosiddette dinastie nomadi, il fenomeno delle Grandi Muraglie e di altri grandi lavori eseguiti da masse di uomini. Per la stessa ragione, le grandi società nomadi si sviluppano in Africa ed Asia ai margini delle società agrarie che praticano l'irrigazione, e impongono loro dall'esterno un elemento militare e politico di inquietudine sociale. In Africa, l'insieme di queste zone confina con la regione tropicale in cui le economie primitive non possono regolare le acque in vista dell'agricoltura (ostacolo che neppure l'economia capitalistica, privata e mercantile, ha superato).

Accanto al fattore qualitativo della pioggia o del sistema di irrigazione mediante corsi d'acqua, interviene il fattore quantitativo, l'ordine di grandezza dei lavori idraulici - fattore decisivo per determinare le strutture della produzione agricola e dell'insieme dell'economia. Quando occorre domare l'acqua e canalizzarla su grande scala (Fiume Giallo, Nilo, Eufrate, ecc.) costruire dighe e sbarramenti, scavare canali, grandi opere idrauliche si impongono. La tecnica degli individui e gruppi locali allora non basta: la regolazione delle acque deve avvenire socialmente, ad opera dello Stato esistente o sviluppantesi man mano che i lavori aumentano. L'unità economica è - come si vede in Algeria - più piccola quando può essere organizzata da gruppi locali (soprattutto nelle zone di allevamento e nomadismo). La proprietà non vi è quindi mai individuale, ma statale o comunale, perché l'appropriazione individuale non può bastare a se stessa. Inoltre, in queste forme di economia legate alla natura, la piccola agricoltura e l'allevamento sono strettamente legati all'industria domestica o, nelle unità di produzione più estese, alle caste.

Geografia dell'Algeria
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L'Algeria non ha grandi fiumi paragonabili al Nilo o all'Eufrate; non ha perciò conosciuto una forma di produzione e proprietà così vasta e accentrata come i Paesi dotati di grandi corsi d'acqua. L'irrigazione avviene localmente in singole valli, e ad opera di unità relativamente piccole (tribù o gruppi di tribù): altrove prevale il nomadismo.

Inoltre, l'Algeria non dispone delle provincie interne intorno alle quali, nei paesi rivieraschi del Mediterraneo, l'unità nazionale si è compiuta, e sotto questo aspetto è ancora meno favorita che la Tunisia e Marocco. Essa non ha dietro di sé che delle estensioni infinite di steppe e deserti. Ridotta larghezza dell'Atlante, l'Algeria propriamente detta è una stretta fascia montagnosa pigiata fra il Mediterraneo e il Sahara. Lo spezzettamento del rilievo rende molto difficile la circolazione dall'ovest all'est; ma, soprattutto, la fascia costiera è squilibrata, perché, in confronto alla steppa, il Tell occupa più posto ad oriente che ad occidente, con ripercussioni sulla natura degli insediamenti umani, sul genere di vita e sull'attività economica. Infatti, se nell'Algeria orientale l'agricoltura sedentaria si estende fino all'Atlante sahariano, ad occidente, dove gli altipiani sud-oranesi si spingono molto verso nord, non si allontana invece dalla costa.

Questo squilibrio fra est ed ovest accentuato dall'opposizione fra la costiera coltivata e il retroterra nomade. Ma queste due zone potrebbero completarsi in modo armonico, ed è un fatto che l'una deperisce (specialmente il sud) quando l'altra ne viene separata.

Gli abitanti delle oasi del deserto e i pastori nomadi delle steppe devono chiedere alle regioni più favorite dalle piogge l'orzo e il grano che sono loro necessari e, poiché i nomadi sono commercianti, possono a loro volta fornire ai sedentari lana, carne, latte, datteri, ecc. Perciò i re berberi scelsero sempre per capitale una città interna, contrariamente agli invasori che occuparono principalmente la zona nord, rovinando per riflesso il sud e turbando tutto l'equilibrio dell'economia del Paese.

I primi invasori che non vennero assimilati furono i romani, i quali introdussero nella stretta fascia costiera il loro sistema di produzione schiavista e di proprietà individuale: l'Africa del Nord fu notoriamente uno dei granai dell'Impero. La zona sud fu isolata mediante un cordone sanitario militare, il limes. Kautsky spiega che, in tutta la zona mediterranea, la prima forma di società di classe diede un colpo terribile alla vegetazione, alla fauna e allo stesso terreno: perfino in Italia, gli effetti furono disastrosi (ma il capitalismo, malgrado gli sviluppi della tecnica, ha aggravato a poca a poco la situazione lungo tutte le rive del Mediterraneo, fin sulle coste francesi, in cui la degradazione della natura ha aspetti quasi cronici). In Algeria, la proprietà privata nacque sotto l'influenza del diritto romano, e domina ancor oggi fra i berberi autoctoni, oltre che presso i mauri e gli ebrei, che formano il principale contingente della popolazione urbana.

Gli invasori arabi tentarono di reagire agli effetti della proprietà individuale: non a caso essi erano maestri nell'arte dell'irrigazione. La resistenza degli autoctoni durò più di 70 anni. In seguito, le rivalità in seno al pletorico Impero arabo e gli attacchi dall'esterno ebbero ragione dei tentativi di unificazione di tutta l'area islamica. Nella stessa Algeria, né i nomadi né i sedentari riuscirono a prendere il sopravvento, sebbene gli ultimi vi si avvicinassero dal 947 al 984 d.C.

L'altopiano nord-africano, non tagliato da montagne elevate, è ricco di vasti pascoli: questi rimasero in possesso indiviso delle tribù nomadi che li percorrevano.

Conformemente alle loro leggi, i turchi (terza grande ondata di invasori) in linea generale lasciarono il Paese in mano alle tribù; ma una parte importante delle terre non coltivale, che fin allora erano appartenute alle tribù, divenne terreno demaniale, coltivato a spese del governo turco. Alla fine della dominazione turca, la situazione fondiaria era la seguente:

Nel Tell; proprietà demaniale: un milione e mezzo di ettari. A disposizione dello Stato come beni comuni di tutti i credenti: 3 milioni di ha., di terre incolte. Proprietà privata (sotto continua minaccia di espropriazione da parte dei turchi): 3 milioni di ha., di cui 1 milione e mezzo diviso fin dall'epoca romana fra i berberi, e i milione e mezzo aggiuntosi sotto la dominazione turca mediante appropriazione privata. In godimento indiviso delle tribù arabe: 5 milioni di ha.

Nel Sahara: 5 milioni di ha. situati nell'interno delle oasi, in parte proprietà familiare indivisa, in parte proprietà privata. 23 milioni di ha. Desertici.

Che cosa pensava allora, di questa situazione, il marxismo? Ce lo dice una lettera di Engels a Bernstein del 9-10-1886, anche se si riferisce ad un possedimento turco situato all'altra estremità dell'Impero:
«
I bulgari si comportano finora in modo ammirevole [sui campi di battaglia; guerra russo-turca], e lo devono al fatto di essere rimasti cosi a lungo sotto i turchi, che hanno tranquillamente conservato i vecchi residui di istituzioni gentilizie [cioè comunitarie] e si sono limitati ad ostacolare lo sviluppo degli elementi borghesi mediante le confische operate dai pascià. I serbi, invece, che da 80 anni si sono liberati dai turchi, hanno assistito alla rovina delle loro istituzioni gentilizie ad opera della burocrazia formatasi all'austriaca e della loro legislazione: ecco perché saranno inevitabilmente sconfitti dai bulgari. Uno sviluppo borghese di 60 anni, che non li condurrebbe a nulla, renderebbe i bulgari altrettanto vulnerabili che i serbi di oggi. Per i bulgari come per noi, sarebbe stato infinitamente meglio che fossero rimasti turchi fino alla rivoluzione socialista europea: le istituzioni gentilizie avrebbero fornito un magnifico punto di collegamento ad un ulteriore sviluppo in senso comunista, esattamente come il mir russo che ora vediamo disgregarsi sotto i nostri occhi».

Questa prospettiva di rivoluzione proletaria occidentale non essendosi realizzata, resta quella posta dal marxismo fin dal 1853 per l'India. Se non potrà beneficiare del comunismo instaurato dalla classe proletaria, essa «beneficerà» degli apporti del capitalismo:
«
Gli indiani non raccoglieranno i frutti degli elementi di una società nuova seminati in mezzo a loro dalla borghesia britannica, finché nella stessa Inghilterra le classi dominanti non saranno abbattute dal proletariato industriale, o finché gli stessi indù non saranno abbastanza forti per scrollarsi di dosso il giogo della dominazione inglese» («I risultati futuri della dominazione britannica in India», 22.7.1853).

Poiché finora la rivoluzione proletaria non ha vinto, sorge la domanda: quale sarà il carattere della rivoluzione nei Paesi Orientali in cui il capitalismo non si è sviluppato spontaneamente, e quali vi sono le probabilità di sviluppo del capitalismo? La nostra analisi si limiterà naturalmente all'Algeria, in cui i risultati ai quali il capitalismo è giunto dopo più di un secolo ci forniscono un primo inizio di risposta.

Coesistenza esplosiva nell'agricoltura
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Le ragioni del conflitto algerino si leggono nella differenza tra la situazione fondiaria alla fine della dominazione turca e quella alla vigilia dell'insurrezione del 1954. Si tratta di differenze di ordine qualitativo, giacché, se il modo di produzione è diverso, i dati mostrano che il capitalismo non ha soppiantato dovunque la proprietà locale arcaica, che sussiste in zone immense sia pure sotto forme degenerate e decrepite. Ma, appena vittoriosa, la stessa agricoltura capitalistica declina, come mostrano le cifre sulla produzione agricola che daremo più avanti. Inoltre la proprietà privata che la tabella riportata più sotto indica si è sviluppata assumendo, nelle grandi fattorie europee e mussulmane, un carattere pienamente capitalistico: oltre alla terra, agli strumenti e ai prodotti, essa contiene quella merce nuova, che è la forza-lavoro.

Sotto i turchi sussisteva ancora un vasto e florido settore di proprietà comunitaria, «ponte formidabile verso il comunismo superiore»; oggi questa è caduta in rovina, e a sua volta la proprietà capitalistica ha dato origine al suo becchino, il proletariato. Di qui la situazione «esplosiva» dell'Algeria d'oggi.

Le statistiche ufficiali distinguono fra azienda europea e azienda mussulmana; noi, partendo dal criterio corrente di considerare capitalistiche tutte le aziende agricole di estensione superiore ai 50 ha., distingueremo fra settore capitalista - in cui metteremo a fianco a fianco europei e mussulmani - e settore precapitalistico. Una soluzione politica corrispondente a questo schema è intervenuta in Tunisia e nel Marocco, in cui la grande proprietà fondiaria capitalistica degli europei è rimasta intatta accanto a quella dei mussulmani; essa potrebbe essere vista con favore, in seno all'FLN, dai rappresentanti della grande proprietà mussulmana e dell'industria alimentare ed estrattiva che vi è legata. Ma osserviamo subito che li peso dei contadini poveri (gli elementi radicali dell'FLN) non è trascurabile. In Tunisia e nel Marocco, la soluzione di compromesso di cui sopra è stata possibile perché la proprietà comunitaria che ora gioca un ruolo reazionario di stabilizzazione del contadiname, analogo a quello della proprietà privata particellare dell'Europa occidentale - era meno dissolta che in Algeria. Paradossalmente, è la numerosa colonizzazione europea che, appropriandosi le migliori terre mussulmane, ha contribuito alla soluzione esplosiva propria della Algeria in confronto agli altri due territori nord-africani: è questo il segreto di un Paese nel quale la lotta anti-imperialista ha preso appunto perciò la forma più violenta e sarà senza dubbio decisiva. Ecco la tabella nella forma data dalle statistiche ufficiali:

Aziende agricole

Superficie in migliaia di ettari

 

non-mussulmani

mussulmani

Totale

Meno di un ha.

0,8

37,2

38

da 1 a 10 ha

21,8

1.341,3

1.363,1

da 10 a 50 ha

135,3

3.185,8

3,321,1

da 50 a 100 ha

186,9

1.096,1

1.283

Più di 100 ha

2.381,9

1.688,8

4.070,7

Totale

2.726,7

7.349,2

10.075,9

Adottando il criterio di cui sopra, il settore capitalista (composto anche di piccole aziende ortofrutticole europee a coltura intensiva) comprende grosso modo, fra aziende europee e mussulmane, 5 milioni 500.000 ha. contro 4.550.000 ha. al settore precapitalista.

Aspetti esplosivi dell'agricoltura
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Si è visto dalle statistiche già citate di fonte francese che: 1) la proprietà indivisa (comunitaria) delle tribù è stata sempre più sostituita nelle zone agricole dalla proprietà privata: 2) il tipo di conduzione agricola capitalistico domina sul tipo tradizionale mussulmano.

Non basta. La popolazione europea che vive dell'agricoltura, compresa la popolazione non attiva, era nel 1954 di 93.000 persone (attivi 45.000), mentre risultava di 221.230 nel 1911 e nel 1948 di 123.000, cosicché, se al principio del secolo rappresentava 1/3 della popolazione europea complessiva, oggi non ne è più che il decimo; ma in sessant'anni la proprietà europea è aumentata di oltre il 50%, passando da 1.846.000 a 2.726.000 ha., e ha così raggiunto il massimo di estensione e concentrazione, avendo occupato il massimo di terre atte al suo modo di produzione e compresso fino ai limiti del possibile l'agricoltura arcaica mussulmana. Le terre migliori del litorale, coltivate a viti, agrumi, prodotti ortofrutticoli, e tutte le colture industriali (alfa, sughero, ecc.), sono in mano ad europei.

Parallelamente all' estensione e concentrazione della proprietà capitalistica, sono stati spettacolosi gli sviluppi della meccanizzazione dell'agricoltura. Fra il 1939 e il 1955, il numero delle mietitrici-trebbiatrici è aumentato di oltre 7 volte: do 500 nel 1939 a 3.730 nel 1955.

Quello dei trattori è cresciuto di quasi 4 volte, cioè da 5.600 a 20.508 nello stesso periodo.

Questa situazione si ripercuote sulla manodopera agricola. L'arcaico khamessat (colonia parziaria a 1/5) tende rapidamente a scomparire senza che la manodopera salariata aumenti di altrettanto. Nel 1951, il numero dei lavoratori agricoli permanenti era di 171.232, di cui 8.000 europei; nel 1954, era di 112.000, mentre i non-permanenti raggiungevano i 459.000, Nessuno dei diversi piani per l'avvenire prevede un aumento della manodopera agricola.

Paragonando la produzione del 1911, del 1938 e del 1953 nei settori base dell'alimentazione, si constata che essa è diminuita notevolmente per testa di abitanti. Poiché ci interessa la produzione globale, non distinguiamo qui fra produzione europea e produzione mussulmana: della partecipazione effettiva dei due gruppi al consumo globale sarà possibile farsi un'idea riferendosi all'ammontare dei redditi delle diverse categorie sociali riportati in una successiva tabella.

Vediamo dunque l'andamento della produzione per testa:

PRODUZIONE IN KG PER ABITANTE

Anno

Grano

(duro e tenero)

Orzo

Patate

Legumi

Mais

Olio d'oliva (hl)

Datteri

1911

163,0

174,0

7,3

7,0

2,5

2,4

7,0

1938

132,0

99,8

10,58

4,6

3,2

2,0

10,7

1953

119,2

83,0

25,8

6,0

1,3

3,0

12,2

Analoghi risultati si ottengono nelle statistiche riguardanti l'allevamento, dove la decadenza colpisce non solo il rapporto fra numero di bestie per abitanti, ma anche il patrimonio zootecnico assoluto (salvo, fra il 1938 e il 1953 una leggera ripresa degli ovini).

NUMERO DI BESTIE PER MILLE ABITANTI

Anno

Bovini

Ovini

Caprini

1911

200

110

91

1938

1533

824

631

1953

694

378

339

La decadenza dell'agricoltura è, come si sa, un fenomeno tipico dell'economia capitalistica, aggravata qui dal forte tasso di incremento demografico della popolazione algerina (oggi calcolato al 28 per mille, tre volte quello degli europei in Algeria).

Si aggiunga che le prospettive di miglioramento qualitativo del suolo sono ormai nulle: il limite estremo non solo è stato raggiunto, ma, secondo R. Dumont, «ogni giorno che passa l'Algeria ha in media 100 ettari di terre in meno». È vero che, dal 1926, è in atto un piano di costruzione di sbarramenti più adatti alle condizioni naturali, ma la politica dei grandi sbarramenti-serbatoi trova un freno nella «terribile minaccia dell'invasamento» (R. Gendarme, «L'économie de l'Algérie», 1959), giacché nel periodo di 50 anni in cui si calcola che una opera di sbarramento sia ammortizzata essa è pure soggetta ad insabbiarsi e la terra perde di qualità in modo probabilmente irrimediabile in un'economia mercantile. Nessuna speranza, dunque, di guadagnare terre nuove agli indigeni, o agli europei.

Classi sociali e interessi di classe
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La tabella che segue, basata su uno studio pubblicato recentemente dal Club Jean Moulin («Les perspectives d'emploi des Européens en Algérie»), dà sia la struttura delle diverse classi in presenza, sia le differenze di reddito tra europei e mussulmani all'interno di ogni categoria e tra «madrepatria» e colonia:

Gruppi sociali

Famiglie

Popolaz.

totale

in % del

totale

Redd. indiv.

In frs.

Rapp. con

la Francia

1. - Conduttori agricoli ricchi e dirigenti del commercio e dell'industria:

Europei

10.000

30.000

3

1.215.000

5 volte

Mussulmani

4.000

21.000

0,25

434

1,8 volte

2. - Quadri amministrativi e tecnici, commercianti. medi e agiati,

liberi professionisti:

Europei

77.000

277.000

26,6

365.000

1,5 volte

Mussulmani

25.000

133.000

1,5

226.000

0,9 volte

3. - Salariati permanenti dell'industria, del commercio e dell'amministrazione, piccoli e medi commercianti:

Europei

168.000

638.000

61,3

119.000

0,5 volte

Mussulmani

225.000

1.193.000

14,2

75.700

0,3 volte

4. - Operai agricoli permanenti, e non-agricoli a impiego irregolare, disoccupati, casalinghe, piccoli commercianti:

Europei

25.000

95.000

9,1

57.900

0,25 volte

Mussulmani

310.000

1.653.000

19,6

34.600

0,14 volte

5. - Conduttori agricoli su piccole aree, giornalieri agricoli, lavoratori stagionali, famiglie di lavoratori in Francia:

Nessun europeo

-

-

-

-

-

Mussulmani

996.000

5.400.000

64,2

24.500

0,1 volte

Basta uno sguardo alla tabella per dimostrare che l'Algeria presenta le caratteristiche di una economia coloniale, ed è percorsa da violentissime tensioni sociali, facilmente rilevabili dall'enorme scarto fra i redditi delle diverse categorie. Le categorie privilegiate della colonia, e le loro controparti o appendici indigene, sono ultra-ricche; a volte, anzi, più ricche che le categorie corrispondenti in Francia (cfr. i numeri 1 e 2 del quadro).

I loro interessi sono comuni: solo quella che può essere considerata come la «borghesia algerina» - soprattutto i capitalisti fondiari mussulmani - potrebbe avere un interesse anche all'indipendenza nazionale, per la cui causa si è schierato, perlopiù, molto tardi. Ma essa è spaventata dalla massa enorme degli espropriati e del proletariato agricolo e industriale e dai problemi che un ritorno alla calma e allo sviluppo economico solleva (specialmente l'impossibilità di rendere sedentari gli espropriati: riforma agraria). Di qui la sua tendenza al compromesso e al blocco col resto della sua classe, anche se francese, come è avvenuto in Tunisia e un po' meno nel Marocco, malgrado i suoi «sentimenti nazionali».

Come è confermato dai numeri 3, 4 e 5 - sebbene il quadro, di fonte borghese, sia piuttosto confuso nelle delimitazioni di classe, cosicché si possono trovare unite sotto lo stesso titolo categorie e sottocategorie sociali diverse, proletarie e non-proletarie (piccolissimi commercianti, ambulanti, ecc.) –, esiste in Algeria un terreno favorevole alla rivoluzione doppia, in cui si profila un proletariato che si metta alla testa della massa contadina miserabile - la cui estrema povertà e documentata da un reddito medio di frs. 24.500 allora! e cerchi d'imporre la propria soluzione. È in questi paesi che la Rivoluzione russa ebbe naturalmente una ripercussione formidabile nel 1919-27; le masse l'avevano capito; possano capire in futuro che la Russia di Krusciov non ne è la erede!

In fondo alla tabella troviamo (categoria 5) i soli indigeni, quelli che il marxismo considera ancor più miserabili ed oppressi del proletariato: il reddito medio, qui calcolato nel 1954 a 24.500 frs. si ritiene oggi caduto a 17.000 (Moch).

La situazione di questa categoria è stata così giudicata dagli economisti borghesi: «Supponendo che l'impiego medio di un agricoltore sia di 200 giorni all'anno, almeno 700.000 agricoltori mussulmani e rispettive famiglie (circa 3.500.000 persone), cioè il 45% degli effettivi rurali al giorno d'oggi, potrebbero ritirarsi dall'agricoltura senza che la produzione diminuisca». Le masse ritirate dal lavoro agricolo per riempire i «campi di raccolta» (in cui sarebbero concentrati da 1,5 a 2 milioni di mussulmani) non assorbono che la metà della popolazione eccedente.

Come si vede ai numeri 3 e 4 della tabella, il problema nazionale e coloniale tocca direttamente il proletariato. I mussulmani espropriati affluiscono nelle «bidonvilles» e fanno concorrenza agli operai europei che sono privilegiati in quanto godono di diritti negati agli altri (assunzione al 100-90%, reddito assicurato in tempo di crisi); la concorrenza fra i lavoratori e l'immenso esercito di riserva causato dalle espropriazioni ad opera della classe capitalistica fondiaria a favore dei compari capitalisti dell'industria, sia in Francia che in Algeria, inasprisce a sua volta il conflitto fra le due «comunità di operai» e rigetta gli europei nel campo dei colonialisti, perché l'antagonismo cresce col crescere della concorrenza stessa. Così, ogni europeo, sia pure un lavoratore, si presenta in linea di principio come un colonialista, perché la società europea nella sua totalità opprime l'indigeno. Questo il ruolo del fattore di razza e nazione nel gioco degli antagonismi di classe in Algeria: ed è un ruolo sociale, come spiegava Marx a proposito dell'Irlanda, la «prima colonia» dell'Inghilterra.

Vediamo i fatti in Algeria: nel 1954, mentre la disoccupazione infuriava tra i mussulmani, e il pieno impiego regnava fra gli europei, di fronte a 65.120 impiegati europei si trovavano 15.190 mussulmani; di fronte a 51.650 operai qualificati europei, 49.830 mussulmani; di fronte a 7.200 manovali europei, 141.130 mussulmani; di fronte a 33.890 domestici e personale di servizio non-mussulmani, 47.000 mussulmani. Ma dietro questi concorrenti mussulmani si profilavano più di 200.000 disoccupati e semidisoccupati delle bidonvilles e del bled, da cui masse enormi di senza-lavoro si rovesciavano senza tregua nei centri urbani. Di recente, i mussulmani hanno superato in numero gli europei in tutte le città ad eccezione di Algeri, dove il rapporto è di 43 a 57: eppure, il 90,8% degli europei abita nelle città contro il 19% dei mussulmani. Il fenomeno dell'urbanesimo ci fornisce l'indice sicuro del ritmo dell'espropriazione; ed è impressionante:

 

Popolaz.

Urbana (A)

Popolaz.

Rurale (B)

Rapporto fra (A)

e popol. algerina

1900.....

316.000

3.700.000?

0,077

1930.....

590.000

4.900.000?

0,120

Tasso d'aumento in

rapporto al 1900

+ 90%

+ 32%?

---

1959.....

2.100.000

6.700.000?

0,235

Tasso d'aumento in

rapporto al 1930

+ 260%

+ 36%

---

Cortina di ferro contro la Francia
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Si è analizzato finora lo sviluppo dell'agricoltura, che è il dato fondamentale dell'Algeria, giacché le principali industrie algerine sono estrattive, e quindi anch'esse legate al suolo (Marx, infatti, le includeva nell'agricoltura). Passiamo ora all'analisi dell'economia globale, indicando l'importanza di ogni settore produttivo rispetto all'insieme degli altri.

Nel 1954, la produzione bruta complessiva dell'Algeria ammontava in valore a 591,1 miliardi di franchi, così ripartiti:
1) Agricoltura, allevamento, foreste e pesca: 197,6 miliardi, pari al 33,4% del totale (in Francia, 30%).
2) Trasporti, commercio, servizi diversi: 230 miliardi, cioè il 39,2% (in Francia, 30%).
3) industria (compresi energia, miniere, edilizia, lavori pubblici): 163,5 miliardi, cioè il 27,4%, contro il 50% in Francia.

Analizzando comparativamente i diversi settori, distinguiamo:

Nell'agricoltura:
1) produzione vegetale, rappresentante il 43,5% del settore, suddivisa in:
cereali (frumento, orzo, avena, mais, riso, sorgo), 37%;
vino (non consumato dai mussulmani), 35%;
frutti (agrumi, olive, datteri, fichi, uva da tavola ecc.), 14%;
ortaggi (patate, pomodori, legumi secchi ecc.), 12%;
2) colture industriali, rappresentanti il 26.5% del totale, suddivise in:
tabacco, 73,5%,
cotone, lino, barbabietole da zucchero, 26,5%;
3) produzione animale, rappresentante il 25% della produzione agricola:
carne, 42%,
prodotti lattieri, 34%,
pollame 15%, lane e pelli 9%;
4) produzione forestale, rappresentante il 4% dell'insieme della produzione agricola (alfa, crine vegetale, sughero, ecc.).

Gli altri due settori (trasporti, commercio, industria) si suddividono in industria alimentare (compresi fiammiferi, tabacchi e saponi), 39,5%; lavori pubblici e edilizia, 23%; miniere, elettricità, gas e petroli, 12,75%; produzione e trasformazione metalli (comprese manutenzione e riparazione), 12%; materiali da costruzione, ceramiche, vetrerie, 4,75%; tessili, 4,5%; industria chimica e caucciù, 3%; cuoi e calzature, 2.25%; ind. poligrafica, 1,75%; carte e cartoni, 0,75%; diversi 2,15%.

Le prospettive di sviluppo economico decennale (1957-1966) sono le seguenti: «Portare ad oltre 1.600 miliardi il valore annuo di una produzione interna che fu di circa 695 miliardi nel 1956; aumentare del 5% all'anno in media il livello di vita di una popolazione cresciuta da 10 a 13 milioni (l'europeo avrà quindi un aumento di 246.000 frs. contro 24.600 al mussulmano, il che aggraverà lo scarto già esistente); assicurare un impiego non-agricolo a circa 875.000 persone in più, di cui 780.000 mussulmani». Ma, a giudicare dai piani in atto per il 1966, si avrebbe una sviluppo estremamente debole del settore agricolo, la cui parte sul totale diminuirebbe dal 33,4% al 15,4%; nel settore industriale, sarebbero stimolati soprattutto la produzione di petrolio, l'industria edilizia, i lavori pubblici e in misura minore l'industria di trasformazione; che devono dare impulso al settore industriale che passerebbe dal 27,4% al 47,9 %. Ciò significa che la dipendenza economica dell'Algeria dalla Francia aumenterebbe.

Il rimedio? Marx lo proponeva per l'Irlanda: autogoverno e indipendenza dall'Inghilterra; rivoluzione agraria; protezione doganale verso le merci inglesi.

Trasferimento del conflitto algerino in Francia e in «Oriente»
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«L'Irlanda il baluardo dell'aristocrazia fondiaria britannica. Lo sfruttamento di questo paese non è solo la fonte principale della sua ricchezza materiale, ma anche la sua maggior forza morale. È grazie ad essa, in realtà, che l'Inghilterra domina l'Irlanda. L'Irlanda è dunque il grande mezzo con cui l'aristocrazia inglese mantiene la sua dominazione nella stessa Inghilterra» (Marx a A. Meyer e A. Vogt, 9-4-1870).
Allo stesso modo, la perdita dell'Algeria vibrerebbe un colpo terribile alla grande proprietà fondiaria francese e alle numerose industrie che beneficiano delle sue materie prime e di questo mercato protetto.

Lo studio citato più sopra concludeva a favore dell'abbandono del vespaio algerino: sarebbe perfino più economico rimborsare tutti i proprietari per le perdite subite, il che rappresenterebbe al massimo il prezzo di 18 mesi di guerra. Ma sarebbe uccidere la galline dalle uova d'oro. Un capitalista non accetterà mai, a meno d'essere pazzo completo, di vendere la propria azienda per vivere poi di rendita: essa non solo gli dà da vivere, ma si ingrandisce, e aumenta di valore, se la tiene. I «riformatori» del Club Jean Moulin confondono il capitale (cifra d'affari complessiva) con i titoli di proprietà delle installazioni, degli attrezzi, del suolo ecc.; credono che il capitalismo sia un modo di proprietà mentre è un modo di produzione. Ma le terre e il capitale situati in Algeria non possono essere trasferiti in Francia: col gettito della loro vendita bisognerebbe acquistare terre da altri proprietari francesi, cioè espropriarne un gran numero e accrescere la concentrazione della proprietà terriera, o creare nuove industrie in concorrenza con quelle esistenti. Quello che si verificherà è dunque un trasferimento dell'elemento fondamentale del conflitto algerino. Finora la proprietà fondiaria capitalistica in Francia godeva di una stabilità notevole; gli inconvenienti del capitalismo agrario erano riservati ai «territori d'oltremare», e la piccola proprietà particellare metropolitana poteva sopravvivere. Ciò non potrà più avvenire. D'altro lato la concorrenza fra i lavoratori in Algeria si trasferirebbe in Francia se tutti gli europei fossero rimpatriati; mentre nell'industria, colpita dalla concorrenza mondiale, si aggraverebbero i conflitti di classe fra capitale e lavoro. È vero che il prolungarsi della guerra d'Algeria ha già permesso d'imporre i primi sacrifici «materiali» e di introdurre progressivamente le «misure di austerità» imposte dalla perdita dell'Impero coloniale. La smobilitazione delle masse lavoratrici ad opera di organizzazioni economiche e politiche corrotte mira, in definitiva, a evitare alla borghesia francese una sorpresa simile a quella che si è prodotta in Belgio. Ma nessuna astuzia potrà evitare alla crisi di installarsi nel cuore del sistema economico francese, soprattutto man mano che la concorrenza sul mercato internazionale si accrescerà.

Nel 1909 (lettera a I. I. Skvorzóv-Stepanov, del 16-12) Lenin caratterizzava così la differenza fra la Germania 1849 e la Russia dopo il 1900: la Germania era divisa in 36 stati feudali che la rivoluzione borghese doveva abolire per erigere uno Stato capitalista unitario: quella che si poneva per prima era dunque una questione nazionale. In Russia, invece, l'unità nazionale era già compiuta; dunque si poneva la questione agraria. Ma la borghesia non poteva «risolvere» il problema agrario che a prezzo di molti decenni di espropriazioni e delle peggiori calamità (è la storia di tutti i piani agricoli della Russia degenerata e borghese): dunque, solo il proletariato poteva, mediante la sua dittatura, spezzare gli ostacoli allo sviluppo delle forme produttive sull'agricoltura e regolare il problema agrario. Per l'Algeria la situazione è analoga: e i «comunisti», con la loro «nazione algerina in formazione», sono ben lontani dal leninismo. La prima questione che si porrà non appena proclamata l'indipendenza dell'Algeria, quale che essa sia, sarà quella fondamentale, che nessun velo nasconderà più agli occhi delle masse: la questione agraria, il problema sociale. Nessun paese divenuto indipendente in quest'area geografica ha finora risolto quel problema: esso sarà la prossima tappa, non per la «volontà» delle masse o dei loro dirigenti, ma per la spinta irresistibile delle condizione economiche.

L'Algeria, in cui la decomposizione della proprietà comunitaria stabilizzatrice è più progredita, rischia di scatenare il movimento generale. L'area geografica e storica cui l'Algeria appartiene non troverà dunque la «pace» con la «fine della colonizzazione» vantata da Krusciov. Né l'esempio dei cholchos russi o delle comuni rurali cinesi, né lo sviluppo della politica agraria fin qui praticata, potranno risolvere la questione. Lenin aveva concluso dal problema agrario russo alla necessità della dittatura del proletariato: questa è la soluzione sempre «attuale» anche per l'Algeria.

Source: «Il Programma Comunista», Anno X, N.7, 7 aprile 1961, e N.8, 22 aprile 1961

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