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«PACE» IN ALGERIA?
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«Pace» in Algeria?
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«Pace» in Algeria?
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Da quando é stato firmato l'armistizio di Evian, la sinistra democratica francese riempie l'aria delle sue grida di soddisfazione e di trionfo. Questi negoziati, questa pace infine ottenuti, essa li proclama opera sua, e sotto riserva di applicazione «leale» se ne dichiara entusiasta.

In realtà si può dire, in un certo senso, che la sinistra democratica francese abbia davvero «operato» per le trattative con l'FLN condotte e concluse da De Gaulle. Certo, essa non ha fornito alla rivoluzione anti-imperialista algerina l'appoggio del proletariato metropolitano: non poteva né voleva fornirglielo. Solo un movimento veramente proletario, un partito veramente comunista, avrebbe potuto riprendere e applicare i principi rivoluzionari del marxismo: il proletariato metropolitano deve sostenere ogni lotta rivoluzionaria dei popoli colonizzati anche se questa lotta rimane nazionale e borghese; deve sostenerla lottando contro la propria borghesia, opponendo i propri interessi di classe rivoluzionaria internazionale all'interesse nazionale della borghesia; deve sostenerla praticamente con la propria azione rivoluzionaria di classe contro il proprio capitalismo, ma deve nello stesso tempo aiutare il proletariato coloniale a sottrarsi all'influenza della sua borghesia, a trovare la sua autonomia di classe e il suo legame col proletariato internazionale.

La sinistra democratica e piccolo-borghese, che non giura su altro che sull'interesse nazionale, non poteva evidentemente fornire agli algerini quest'appoggio rivoluzionario. Essa ha lavorato per le trattative, ma a contrario. Se non ha fatto nulla per indebolire l'imperialismo francese, ha tentato tutto per salvare l'Impero. Sono i governi di «sinistra» (a cominciare dal Fronte Popolare), dal «tripartitismo» fino al «Fronte repubblicano» sostenuto dal partito «comunista» francese, quelli che sono stati i più feroci gendarmi del colonialismo: sono essi che hanno gettato a poco a poco nella bilancia tutto il peso dell'esercito francese finché non è apparsa alla luce del sole l'impotenza dell'enorme apparato militare metropolitano a vincere la rivoluzione algerina. L'OAS non ha proprio ragione di gridare al «tradimento»: la sua politica di repressione rabbiosa, di lotta «fino in fondo», la sinistra democratica l'ha già applicata, abbandonandola suo malgrado solo quando e perché ve l'hanno costretta i combattenti algerini! Da allora la borghesia francese, salvo i suoi gruppi direttamente minacciati dall'insurrezione anti-coloniale, non si è preoccupata d'altro che di salvare il salvabile, e di evitare sconvolgimenti sociali tanto in Francia quanto in Algeria. Anche in questo la sinistra democratica è stata superiore ad ogni elogio. Essa non ha parlato che di pace e di amicizia, di trattative e d'ordine; non pensando che all'interesse nazionale, essa ha avuto paura di non indebolire in alcun modo il rappresentante degli interessi «legittimi» della Francia. Ogni volta che ne aveva più o meno bisogno, essa ha sostenuto il governo e così l'ha aiutato a mercanteggiare la pace, questa pace che oggi pretende di avergli strappata e di cui si inorgoglisce come dell'opera delle sue mani.

Bell'opera, in verità! Il risultato di un'insurrezione abbandonata a se stessa, venduta dalla sinistra democratica legata ai suoi interessi nazionali-borghesi, non sostenuta dal proletariato tradito e disorientato, il risultato della lunga lotta eroica del popolo algerino non è se non una rivoluzione borghese abortita, la rivoluzione di una borghesia che ha ottenuto un successo politico ma che è incapace di elevarsi all'altezza dei compiti sociali elementari che le incombono. Giacché una rivoluzione, anche borghese, è pur sempre altra cosa dalla sostituzione del signor Morìn col signor Farès: è la soluzione di una crisi sociale mediante la trasformazione radicale di tutte le strutture sociali. Ma la borghesia algerina, associata o non alla Francia, è incapace di intraprendere questa metamorfosi rivoluzionaria, è inetta a risolvere anche solo in modo borghese la terribile crisi della società algerina; non può dare la terra ai milioni di uomini strappati al loro villaggio, né può loro fornire neppure un lavoro salariato. In Algeria, si vedono spinte all'estremo le contraddizioni che, nell'era dell'imperialismo, ostacolano fin dall'inizio la rivoluzione borghese.

Nulla é dunque più vano e risibile che il beato pacifismo della sinistra democratica. «Gli algerini hanno conquistato il diritto all'indipendenza nazionale; tutto è bene ciò che finisce bene».

Poveri idealisti, credete davvero che gli algerini si siano battuti solo per «far rispettare la propria dignità?» Non vedete l'atroce miseria che li spingeva alla lotta? Ma questa miseria è sempre lì; la borghesia indigena non potrà rimediarvi, e i milioni d'uomini sradicati e senza lavoro non si lasceranno nutrire di parole. Essi costituiscono una gigantesca forza esplosiva contro la quale la borghesia algerina affila già le sue Forze dell'Ordine. Tremino, essa e tutti i cantori della Pace: non vi sarà pace sociale nell'Algeria indipendente!

Il solo vantaggio della «indipendenza», è di togliere un'ipoteca. Sebbene sempre legata alla Francia in virtù degli accordi di Evian, la borghesia algerina non potrà più contrapporre alle rivendicazioni sociali la «premessa necessaria» dell'indipendenza nazionale, e i problemi si porranno sul loro vero terreno: il terreno di classe. Spinti alla lotta dalla disperazione, le masse algerine presto o tardi infrangeranno l'Unione nazionale, e daranno fuoco alle polveri della lotta di classe in tutta l'Africa. Il proletariato africano potrà allora trovare la sua saldatura col proletariato internazionale e, per suo mezzo, la soluzione di tutti i problemi dei paesi del Terzo Mondo. Perché nessuna dominazione borghese, qualunque sia il colore della sua pelle, potrà mettere fine alla crisi sociale in cui li ha precipitati l'irruzione del capitalismo.

Solo la dittatura internazionale del proletariato, liberata dalla contraddizioni e dagli imperativi dell'economia capitalistica, vi riuscirà!

Source: «Il Programma Comunista» - 7 maggio 1962 - N. 9, tradotto di «Programme Communiste», nr. 19

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