LISC - Libreria Internazionale della Sinistra Comunista
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LE PROSPETTIVE DEL DOPOGUERRA IN RELAZIONE ALLA PIATTAFORMA DEL PARTITO


Content:

Le prospettive del dopoguerra in relazione alla Piattaforma del Partito
Prospettive del terzo ciclo dell’opportunismo collaborazionista
La possibile guerra futura come falsa crociata anti-capitalistica
La guerra futura come crociata anti-totalitaria
L’opposizione marxista al futuro opportunismo di guerra
L’Italia e la situazione internazionale
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Le prospettive del dopoguerra in relazione alla Piattaforma del Partito

I gruppi della Sinistra del Partito Comunista d’Italia che oggi costituiscono non una tendenza ma le sole forze, tra quelle che a Livorno nel 1921 formarono il partito, rimaste sul terreno del marxismo rivoluzionario e della Internazionale di Lenin, nell’intento di dare ordine sistematico alle loro direttive politiche, concentrando su di esse l’organizzazione del nuovo partito, hanno, nel succedersi degli eventi, apprestato diversi testi, la cui elaborazione continua, ed è uno dei fini precipui di questa rivista.
Una piattaforma fu preparata dai compagni del sud d’Italia all’inizio del 1945, quando ancora un fronte di guerra li divideva dal Nord, ma ben rispecchiando il lavoro politico e le direttive anche al Nord seguite dal Partito Comunista Internazionalista.
Tale Piattaforma contiene il riesame, dopo gli eventi che condussero alla seconda guerra mondiale, di tutte le questioni del marxismo: ciclo storico del mondo capitalistico, e in corrispondenza del movimento operaio, questione russa, questione agraria, questione della tattica, ciclo storico italiano della classe dominante e del movimento proletario.
La Piattaforma si conclude con un programma politico per l’azione del partito in Italia già pubblicato e noto a tutti i compagni mentre sono capitoli di essa quello sulla Russia pubblicato nel N. 1 di «Prometeo» e quello sulla Formazione dello stato borghese in Italia pubblicato nel N. 2.
Successivamente gli eventi storici condussero alla riunione delle due parti dell’Italia e più oltre alla finale sconfitta della Germania e del Giappone.
Il testo che qui pubblichiamo, in tutta continuità con la piattaforma, fu predisposto verso la fine del 1945 dopo che la collaborazione tra tutti i gruppi del nord e del sud d’Italia era stata attuata per il semplice fatto dell’avvenuto collegamento.
Esso ha lo scopo di dare la valutazione degli ulteriori eventi e di stabilire le linee dell’azione del partito nei vari probabili sviluppi che le situazioni degli anni avvenire potranno presentare. Dopo la piattaforma di guerra, è una direttiva per l’azione nel periodo di «pace» borghese.
Carattere del tutto centrale e distintivo del nostro indirizzo, contrapposto in una lotta di decenni a quelli di tutti gli opportunisti e disertori della lotta di classe, è quello di stabilire in linee chiarissime le direttive di azione del partito dinanzi alle prevedibili svolte più impressionanti della vita storica del mondo capitalistico che noi combattiamo.
Deve essere totalmente escluso per il partito e, se questo è all’altezza del suo compito, anche per la classe che esso impersona, che allo scoppio di eventi anche grandissimi e di cataclismi storici, centri dirigenti e gruppi organizzati abbiano a scoprire che il travolgere degli eventi indichi la scelta di vie e l’accettazione di parole di azione in contrasto con quelle dal movimento saldamente stabilite e seguite.
Tale è la condizione perché un movimento rivoluzionario possa non solo risorgere ma evitare di sommergersi nelle crisi come quelle del social-nazionalismo del 1914 e del nazional-comunismo imposto da Mosca nella fase storica della seconda guerra.

• • •

Durante tutto lo svolgimento della seconda guerra mondiale la quasi totalità del movimento proletario – sarebbe inutile tentare di non riconoscerlo – ha subito influenze opportunistiche, ed ha deviato su direttive che costituiscono un palese asservimento agli interessi della conservazione capitalistica.

L’aspetto più importante di questo asservimento consiste nella politica svolta dai partiti della ex Internazionale di Mosca, passati in pieno sul terreno della collaborazione di classe, dell’Unione Sacra Nazionale, delle rivendicazioni democratiche, in tutto il periodo in cui lo Stato Russo è stato alleato militare delle grandi potenze capitalistiche d’Inghilterra e d’America.

Poiché durante tutta questa fase storica nessuna voce avente echi mondiali ha potuto ristabilire i valori e le posizioni della critica, della dottrina e dell’azione marxista e rivoluzionaria, il Partito considera come fondamentale per la ricostruzione dell’energia di classe in Italia e nel mondo la «piattaforma» critica e politica che caratterizzava la giusta direttiva rivoluzionaria, purtroppo tradita da socialisti e comunisti «ufficiali» durante la guerra che di recente si è chiusa.

Oggi che la vittoria completa sul piano militare del blocco dei «Tre Grandi» ha segnato l’annientamento delle opposte macchine statali tedesca e giapponese, la situazione si apre a nuove prospettive, che, con continuità e coerenza completa a tutte le precedenti valutazioni storiche, vanno analizzate e vagliate per trarne con assoluta chiarezza le direttive di azione futura.

L’essenza del compito pratico del Partito e della sua possibilità di influire sui rapporti delle forze agenti e sul succedersi degli eventi sta appunto, non nella improvvisazione ed escogitazione di abili risorse e manovre mano a mano che le nuove situazioni maturano, ma nella stretta continuità fra le sue posizioni critiche e le sue parole di propaganda e di battaglia in tutto il succedersi ed il contrapporsi delle diverse fasi del divenire storico.

Così le conclusioni a cui una critica marxista libera da influenze e degenerazioni opportunistiche poteva giungere fin dai primi albori del conflitto oggi cessato, sulla vacuità e la inconsistenza del materiale di agitazione usato dalle democrazie borghesi e dal falso Stato proletario Russo, e con essi da tutti i movimenti che ne prendevano ispirazione e sostegno, appaiono oggi facili e banali dopo la tremenda delusione subita dalle masse che in larga misura avevano creduto in quelle parole. La tesi che la guerra contro gli Stati fascisti e la vittoria dei loro avversari non avrebbe ricondotto in vita i sorpassati e infecondi idilli del liberalismo e della democrazia borghese, ma avrebbe segnato l’affermarsi mondiale del moderno modo di essere del capitalismo, che è monopolistico, imperialistico, totalitario e dittatoriale, tale tesi è oggi accessibile a chiunque; ma cinque o sei anni addietro avrebbe potuto essere enunciata e difesa solo dai gruppi di avanguardia rivoluzionaria rimasti strettamente fedeli alle linee storiche del metodo di Marx e di Lenin.

La forza del Partito politico di classe del proletariato deve sorgere dalla efficacia di queste anticipazioni che sono allo stesso tempo di critica e di combattimento, dalla conferma che esse traggono nello svolgersi dei fatti, e non dal gioco dei compromessi, degli accordi, dei blocchi, e degli sblocchi di cui vive la politica parlamentare e borghese.

Il nuovo Partito di classe Internazionale sorgerà con vera efficienza storica, ed offrirà alle masse proletarie la possibilità di una riscossa, solo se saprà impegnare tutti i suoi atteggiamenti futuri su una ferrea linea di coerenza ai precedenti delle battaglie classiste e rivoluzionarie.

Pur attribuendo quindi la massima importanza alla critica delle falsissime impostazioni che i partiti cosiddetti socialisti e comunisti hanno dato, durante la guerra, alla loro interpretazione degli avvenimenti, alla loro propaganda, ed al loro comportamento tattico, e rivendicando quella che avrebbe dovuto essere la restaurazione di una visione politica classista nel periodo di guerra, il Partito deve oggi tracciare anche le linee interpretative e tattiche corrispondenti alla situazione di cosiddetta pace, succeduta alla cessazione delle ostilità.

Prospettive del terzo ciclo dell’opportunismo collaborazionista

Mentre dopo la prima guerra mondiale per un lungo tempo non sembrò che l’accordo tra i vincitori potesse essere revocato in dubbio, oggi invece, a pochi mesi dalla fine della guerra e della cessazione delle clamorose propagande che presentavano come un blocco granitico quello degli Stati nemici della Germania e del Giappone, già si sente la stessa stampa ufficiale parlare dell’addensarsi di nubi, del presentarsi di gravi contrasti, e perfino della minaccia di non lontani conflitti armati tra gli alleati di ieri.

Ne segue che gruppi e Partiti, che fino ad ieri echeggiavano in coro i luoghi comuni della macchinosa campagna anti-nazista ed anti-fascista, cominciano ad entrare in crisi, a rivedere le loro posizioni, a preparare piano piano i loro seguaci alla possibilità di mutamenti di rotta e di clamorose svolte politiche. Tali riflessi interessano soprattutto i cosiddetti Partiti proletari, socialista e comunista, che per molti anni non hanno più saputo parlare di altri scopi e di altre conquiste che non fossero l’annientamento del pericolo fascista e la instaurazione di una indistinta democrazia comune alle opposte classi sociali, avallando le promesse programmatiche che andavano enunciando i capi degli Stati alleati. Questi Partiti non hanno avuto il tempo di assaporare il loro ritorno sulla scena politica ed il banchetto elettorale da celebrare con la parola dell’abbattuto pericolo reazionario, che già si vedono, nella eventualità di una frattura nel fronte dei «Tre Grandi», obbligati a scegliere tra posizioni clamorosamente contrastanti in teoria ed in pratica.

L’avanguardia rivoluzionaria del proletariato intende chiaramente che alla situazione di guerra è succeduta, per ora, una situazione di dittatura mondiale della classe capitalistica, assicurata da un organismo di collegamento dei grandissimi Stati che hanno ormai privato di ogni autonomia e di ogni sovranità gli Stati minori ed anche molti di quelli che venivano prima annoverati fra le «grandi potenze». Questa grande forza politica mondiale esprime il tentativo di organizzare su di un piano unitario l’inesorabile dittatura della borghesia, mascherandola sotto la formula di «consiglio delle Nazioni Unite», di «Organizzazione della sicurezza». Essa equivale, qualora riesca nel suo scopo, al maggiore trionfo delle direttive che andavano sotto il nome di fascismo e che, secondo la dialettica reale della storia, i vinti hanno lasciato in eredità ai vincitori.

La possibilità di questa prospettiva più o meno lunga, di governo internazionale totalitario del capitale, è in relazione alle opportunità economiche che si presentano alle impalcature pressoché intatte dei vincitori – primissima quella americana – di attuare per lunghi anni proficui investimenti della accumulazione capitalistica follemente progressiva nei deserti creati dalla guerra e nei paesi che le distruzioni di essa hanno ripiombato dai più alti gradi dello sviluppo capitalista ad un livello coloniale.

La prospettiva fondamentale dei marxisti rivoluzionari è che questo piano unitario di organizzazione borghese non può riuscire ad avere vita definitiva, perché lo stesso ritmo vertiginoso che esso imprimerà alla amministrazione di tutte le risorse e attività umane, con lo spietato asservimento delle masse produttrici, ricondurrà a nuovi contrasti e a nuove crisi, agli urti fra le opposte classi sociali, e, nel seno della sfera dittatoriale borghese, a nuovi urti imperialistici tra i grandi colossi statali. Non può tuttavia prevedersi che, finita ormai la guerra, tale complesso ciclo possa svolgersi in modo acceleratissimo; e se anche l’attualità politica degli ultimi tempi parla di fallimento dei congressi di pace e di insuperabili contrasti, e fa prevedere che al posto del nuovo organismo mondiale o «super-stato» tendano a risorgere le sfere di influenza o i grandi blocchi di stati alleati nel loro pericoloso equilibrio, per il momento è da presumere che la stessa vastità delle ferite di guerra da risanare e il vasto campo di lavoro che ciò offre alla tipica organizzazione capitalistica consentiranno il trionfo del compromesso.

Se le grandi reti di propaganda ammaestrata, nella loro sapiente regia, lasciano trapelare l’orribile eventualità che i colossi vincitori si gettino l’uno contro l’altro in un nuovo spaventoso cataclisma mondiale con i nuovi mezzi di offesa aumentati qualitativamente e quantitativamente nel loro potenziale, ciò probabilmente accade per l’esigenza di meglio terrorizzare i vassalli della nuova super-dittatura, che saranno condotti a preferire ad una eventualità così tremenda qualunque forma di supino servaggio verso le ferree disposizioni che il supremo sinedrio mondiale vorrà dettare concorde in materia economica, sociale, politica, territoriale, per riordinare il mondo secondo gli interessi supremi del grande capitale.

Tuttavia il contrasto, la frattura, la frizione che si è già delineata, può e deve essere presa dal Partito proletario di classe come un’anticipazione di situazioni future, seppure lontane, a cui bisogna prepararsi maturamente fin da ora per evitare la dispersione e lo smarrimento che segue nelle file delle classi proletarie, come cento esempi storici ci avvertono, quando i loro partiti oppongono alle svolte della situazione mondiale incomposte e inattese reazioni dell’ultima ora.

Motivi non lievi di contrasto esistono tra il capitalismo inglese, primo finora sulla scena del mondo, e depositario supremo delle forze della controrivoluzione, ed il capitalismo americano, più giovane storicamente, ma che ne appare il successore di gran lunga più possente. I riflessi di questo contrasto e le prospettive di una lotta tra continenti meritano lo studio e l’esame più attento dell’avanguardia marxista rivoluzionaria e costituiscono un compito del partito che la rappresenta.

Ma le conclusioni più immediate e perspicue per l’orientamento tattico della classe operaia mondiale devono trarsi dall’altra prospettiva, sia pure remota, della frattura del fronte capitalistico mondiale, che ponga il blocco anglo-americano come avversario militare contro la Russia.

Le manifestazioni di tale contrasto potranno essere accelerate dal fatto che, essendo la borghesia inglese compressa dall’imporsi della dittatura mondiale americana a retrocedere dalla posizione di potenza oceanica a quella di potenza europea, e tra l’altro mediterranea, essa avrà pressante interesse a conservare ed estendere il controllo di zone, di posizioni e di vie europee contendendolo alla espansione verso occidente dello Stato Russo, che svolge ormai (in coerenza alla valutazione del suo carattere sociale ampiamente esposta nelle tesi che costituiscono la piattaforma del nostro partito) una politica di espansione imperiale. Analoghi rapporti sorgono nel mondo asiatico.

Ammesso che tale conflitto si svolga gradualmente dal terreno del contrasto diplomatico a quello dell’urto militare, dovrà vedersi parallelamente da una parte e dall’altra, sotto l’influenza delle oligarchie sociali che hanno in pugno i due Stati, ripetersi il tentativo di presentare al mondo e alle masse la causa che risponde al proprio materiale interesse sotto l’aspetto di tesi generali, di ideali sociali, di crociate per il bene dell’umanità.

La possibile terza guerra mondiale, non diversamente dalle altre che si sono già svolte, sarà vantata da una parte e dall’altra del fronte come una campagna per la difesa di valori e per la conquista di posizioni che interessano il bene e l’avvenire di tutte le popolazioni.

Per tal modo ancora una volta le minoranze dominanti tenteranno di spostare a proprio favore l’influenza e l’efficienza delle forze sociali e politiche, che sono in campo tanto nel loro territorio che in quello del nemico.

La possibile guerra futura come falsa crociata anti-capitalistica

La posizione opportunistica dei partiti socialisti e comunisti dei paesi in guerra con la Germania negli ultimi anni del conflitto è stata sostanzialmente identica; identiche sono state le loro parole e la loro politica, tutta basata sull’affasciamento delle forze anti-fasciste ed anti-tedesche, tanto che sono giunti perfino sulla soglia della unità organizzativa.

Però, in una situazione precedente e non certo remota, le posizioni di tali partiti contrastavano in modo stridente. Prima dello scoppio quasi inatteso dell’ostilità tra Germania e Russia, i Partiti comunisti in Francia, in Inghilterra, in America, non solo non erano entrati nei blocchi nazionali per la distruzione del nazismo, non solo tennero un atteggiamento di opposizione politica, ma giunsero in alcuni casi fino all’aperto disfattismo e al sabotaggio della guerra, sulla base di una propaganda filo-tedesca (specialmente in Francia). Il cambiamento della situazione internazionale rovesciò questi partiti di colpo nella politica collaborazionista e nei fronti nazionali. Il loro linguaggio e la loro propaganda, dopo la audacissima svolta tradizionale, presentano come cosa impensabile e rinviata per intere generazioni il passaggio ad una intransigenza politica di classe, all’azione rivoluzionaria, alla guerra civile, la cui possibilità sia prospettata tanto in tempo di pace che in tempo di guerra tra gli Stati.

Ma basterà che lo Stato Russo abbia a trovarsi in guerra con i suoi alleati di oggi perché i partiti comunisti in tutti i paesi nemici della Russia abbiano a denunziare di colpo i fronti nazionali, ad uscire dai governi di coalizione, ad iniziare una politica di opposizione, ad esperire i metodi dell’azione illegale e della insurrezione, ed a propugnare, alle spalle del fronte, la costituzione di formazioni partigiane che lottino a favore della Russia, come la si propugnava prima alle spalle del fronte tedesco.

È anche verosimile che questi partiti presentino e giustifichino questa nuova strategia politica con le parole della lotta di classe, della guerra sociale, della necessità che i proletari improvvisamente spostino l’obbiettivo storico del loro sforzo dalla democrazia progressiva alla integrale rivoluzione classista.

Questa agitazione sarà imperniata sulla presentazione del nuovo conflitto non già quale manifestazione della insanabile crisi capitalistica, ma come lotta fra due forme sociali, due mondi, due epoche contrapposte, gli Stati borghesi d’Europa e d’America da un lato, la Russia proletaria comunista dall’altro.

È anche possibile che le tesi critiche di Marx e di Lenin contro gli inganni della democrazia borghese, oggi tenute nel dimenticatoio, vengano riesumate e sbandierate a fine di propaganda bellica.

Nei paesi però che, per essere sotto l’influenza dello Stato Russo a seguito della vittoria militare, ne saranno gli alleati, si può, con altrettanta probabilità, prevedere che saranno realizzati Fronti Nazionali, sostenendo che tutte le classi sociali (borghesi, contadini, operai) debbano lottare unite per i finì di indipendenza e di libertà nazionale.

Una tale politica non incontrerà l’avallo, l’approvazione e la solidarietà dei marxisti rivoluzionari di sinistra, poiché falsa ed opportunistica in tutto il suo svolgimento, nella sua valutazione critica, nelle sue parole di propaganda, nei suoi atteggiamenti tattici, e, per conseguenza di tutto ciò, nei suoi effetti sul potenziale rivoluzionario del proletariato mondiale.

Lo Stato Russo, per le ragioni ampiamente svolte in altre dichiarazioni del nostro movimento, non è più uno stato del proletariato. Il potere in esso non è tenuto più dalla classe operaia ma è passato nelle mani di una gerarchia oligarchica, esponente degli interessi della rinascente borghesia interna e del capitalismo internazionale. Soltanto perché non è uno Stato proletario la Russia ha potuto nell’ultima guerra non solo allearsi con le potenze più stabili e salde del Capitalismo, salvandole dal disastro col sacrificio di milioni di proletari russi, ma ha potuto organizzare e propugnare in tutti i paesi la pratica della collaborazione di classe ed il rinnegamento della preparazione proletaria all’abbattimento della borghesia ed alla conquista del potere.

Se quindi questo Stato non proletario farà appello ad un’insurrezione partigiana alle spalle dell’esercito nemico, lo farà non per la mobilitazione del proletariato sul piano di una guerra di classe, ma allo stesso titolo a cui lo hanno fatto Stati borghesi conservatori e contro-rivoluzionari, per ottenere un ausilio militare, pronti però e preparati a ricondurre ovunque dopo la vittoria l’ordine borghese ed il dominio di classe.

La capacità di un movimento politico di inquadramento del proletariato a lottare per le finalità rivoluzionarie si ottiene in conseguenza di un comportamento classista coerente e continuo in tutte le situazioni, e quei Partiti che già si sono dimostrati capaci di ordinare il disarmo dell’azione di classe e dell’insurrezione ad una svolta della situazione mondiale, non possono in nessuna successiva fase e attitudine tattica essere accettati come alleati da un movimento rivoluzionario che tende all’abbattimento del potere della borghesia in tutti i paesi.

Anche quindi questa suggestiva propaganda di esaltazione della guerra Russa, basata sulla utilizzazione delle tradizioni della Rivoluzione Leninista, dovrà essere considerata come una delle tante formo storiche della mobilitazione opportunistica del proletariato, non potendosi valutarla separatamente dalla precedente analoga campagna svolta con gli stessi mezzi per convincere le masse a farsi uccidere per la vittoria del capitalismo americano ed inglese su quello tedesco.

I Partiti che hanno chiamato i proletari a combattere a favore degli Stati borghesi inglese e americano non meriteranno alcun ascolto quando li chiameranno a combattere contro di quelli.

La corrente marxista rivoluzionaria deve tenerli inchiodati alla loro responsabilità di collaboratori delle forze capitalistiche, di apologisti della democrazia borghese, di servitori ministeriali del vincitore anglo-americano.

La caratteristica delle loro gerarchie di essere disfattiste della rivoluzione dovrà considerarsi confermata dalla nuova clamorosa svolta che la loro politica dovrà subire se la nuova situazione di guerra si verrà a determinare.

La guerra futura come crociata anti-totalitaria

Dall’altro lato del possibile scontro mondiale armato, le oligarchie borghesi di Inghilterra e d’America, a loro volta, non rinunceranno al tentativo di trascinare nel proprio campo le correnti proletarie, non solo nei propri paesi ed in quelli alleati e vassalli, ma altresì nei paesi nemici.

Se è prevedibile che la propaganda di guerra, in quanto diretta ai ristretti ceti abbienti, sfrutterà ancora il motivo della minaccia rivoluzionaria e sanguinaria del bolscevismo che invaderebbe il mondo espropriando e massacrando i ricchi sulle orme delle armate Russe (motivo che non ha portato nessuna fortuna alle borghesie naziste e fasciste di Germania e d’Italia) è da cercarsi però altrove il fulcro della futura campagna antirussa da parte delle potenti organizzazioni propagandistiche anglosassoni, che hanno dimostrato una perfezione tecnica insuperabile.

Sebbene le democrazie occidentali evolvano progressivamente verso le forme totalitarie e farciste, esse potranno per un complesso di ragioni inerenti alla loro base sociale ed alla loro posizione nel mondo (specialmente per l’America) recitare ancora per lungo tempo la commedia della difesa di tutte le libertà. Come già si delinea negli atteggiamenti e negli indirizzi di varie correnti borghesi, e come affiora nelle prime polemiche tra ex alleati, si comincia dai borghesi d’occidente ad attaccare il regime Russo come dittatoriale totalitario e fascista.

Che in Russia non vi sia nulla di democrazia formale (la sostanziale è ovunque chimera) e di sistema rappresentativo a tipo liberale, è stato sempre risaputo, ma ha fatto comodo per molti anni alla propaganda anti-hitleriana fingere di credere alla democratizzazione del regime Russo.

Vediamo e vedremo, a grado a grado, trasformare questa tesi in quella opposta, e rinfacciare all’apparato russo di governo il carattere oligarchico ed oppressivo e i metodi prepotenti e crudeli finora rinfacciati alle belve naziste dagli agnelli delle democrazie parlamentari.

Già sarebbe stato accusato il rappresentante sovietico Molotov di atteggiamenti che ricordano quelli di Hitler; i nomi non sono che un indice banale della posizione delle forze storiche; ma in ogni caso lo sbaglio importante di valutazione non è quello di considerare Molotov meno brutale di Hitler, ma quello originato dal farsi gabellare il laburista britannico Bevin come espressione di forze meno brigantesche e brutali di quelle rappresentate dagli altri due. Comunque sarà largamente sfruttato il luogo comune della campagna contro tutte le dittature, avvalorata dalla stupida complicità dei traditori del marxismo, e la stampa borghese di occidente scoprirà che Stalin è un dittatore ed il regime sovietico altro non è che fascismo, per impiantare su questa asserzione la tesi che la libertà democratica trionferà in un mondo pacificato soltanto dopo che una nuova guerra, vittoriosa come quella che travolse i Mussolini gli Hitler e gli Hiro-Hito, avrà tolto dal potere Stalin o il suo successore.

Anche qui si vorrà provare ai proletari che il regime della libertà parlamentare è una conquista che li interessa, un patrimonio storico che rischiano di perdere e che è minacciato, come ieri dall’imperialismo teutonico o nipponico, domani da quello moscovita.

Dinanzi a questa propaganda ed alla invocazione del fronte unico di guerra in nome della libertà, cui aderiranno, tra mille sfumature piccolo-borghesi, i socialisti del tipo II Internazionale (che sotto la temporanea tregua diverranno antirussi come lo furono per altri motivi al tempo di Lenin), molti anarcoidi, i vari democratici sociali a fondo bigotto e confessionale che vanno infestando tutti i paesi, il Partito proletario di classe risponderà con la più risoluta opposizione alla guerra, con la denunzia dei suoi propagandisti, e, ovunque potrà, con la lotta diretta di classe impostata su quella svolta dall’avanguardia rivoluzionaria in ogni paese.

Ciò in coerenza alla sua specifica valutazione critica dello svolgersi della presente fase storica secondo la quale, mentre il regime russo non è un regime proletario, e lo Stato di Mosca è divenuto uno dei settori dell’imperialismo capitalistico, tuttavia la sua forma centralizzata e totalitaria appare più moderna di quella sorpassata e agonizzante della democrazia parlamentare; e la anacronistica restaurazione della democrazia al posto dei regimi totalitari entro i limiti del divenire capitalistico, non è un postulato che il proletariato debba difendere.

Tale postulato d’altronde è contrario al cammino storico generale, e non è realizzato nelle guerre imperialistiche dalla vittoria militare degli Stati che se ne fanno assertori.

L’opposizione marxista al futuro opportunismo di guerra

L’attitudine preconizzata per il nostro movimento, nella possibile futura terza guerra imperialistica, è quella dunque di rifiutare e respingere, in entrambi i campi della grande lotta, ogni parola avente il carattere di «difesismo» (termine già ben noto ed adoperato da Lenin nella battaglia critica e politica contro l’opportunismo del primo ciclo 1914–18) e contro ogni «intermedismo», termine col quale vogliamo intendere la pretesa di indicare come obiettivo precipuo e pregiudiziale della forza e degli sforzi del proletariato rivoluzionario non l’abbattimento dei suoi oppressori di classe, ma la realizzazione di certe condizioni nei modi di organizzarsi della presente società, che gli offrirebbero terreno più favorevole a conquiste ulteriori.

L’aspetto «difesista» dell’opportunismo consiste nell’asserire che la classe operaia, nel presente ordinamento sociale, pure essendo quella che le classi superiori dominano e sfruttano, corre in cento guise il pericolo di veder peggiorare in modo generale le sue condizioni se certe caratteristiche del presente ordinamento sociale vengono minacciate.

Così dieci e dieci volte abbiamo visto le gerarchie disfattiste del proletariato chiamarlo ad abbandonare la lotta classista per accorrere, coalizzato con altre forze sociali e politiche nel campo nazionale o in quello mondiale, a difendere i più diversi postulati: la libertà, la democrazia, il sistema rappresentativo, la patria, l’indipendenza nazionale, il pacifismo unitario, ecc., ecc., facendo gettito delle tesi marxiste per cui il proletariato, sola classe rivoluzionaria, considera tutte quelle forme del mondo borghese come le migliori armature di cui a volta a volta si circonda il privilegio capitalista, e sa che, nella lotta rivoluzionaria, nulla ha da perdere oltre le proprie catene. Questo proletariato, trasformato in gestore di patrimoni storici preziosi, in salvatore degli ideali falliti della politica borghese, è quello che l’opportunismo «difesista» ha consegnato più misero e schiavo di prima ai suoi nemici di classe nelle rovinose crisi svoltesi durante la prima e seconda guerra imperialistica.

Sotto l’aspetto complementare dell’«intermedismo» la corruzione opportunista si presenta non più soltanto col carattere negativo della tutela di vantaggi di cui la classe operaia godeva e che potrebbe perdere, ma sotto l’aspetto più suggestivo di conquiste preliminari che potrebbe realizzare – s’intende col compiacente e generoso aiuto di una parte più moderna ed evoluta della borghesia e dei suoi partiti – portandosi su posizioni da cui le sarà più facile spiccare un balzo verso le sue massime conquiste. L’«intermedismo» trionfò in mille forme, sempre sfociando però nel metodo della collaborazione di classe, della guerra rivoluzionaria cui Mussolini chiamava i socialisti italiani nel 1914, alla insurrezione partigiana ed alla democrazia progressiva, che nella recente guerra i transfughi del comunismo della III Internazionale hanno creato come surrogato della lotta rivoluzionaria e della dittatura del proletariato, con l’aggravante di camuffare questo mercimonio di principi come l’applicazione della tattica elastica che attribuiscono a Lenin. Forme non diverse di questo metodo si hanno nelle parole poco comprensibili e destituite di contenuto di «Europa proletaria» di «Stati Uniti del Mondo» ed altri simili sostituti equivoci del postulato programmatico centrale di Marx e di Lenin per la conquista armata di tutto il potere politico da parte del proletariato.

In conclusione, nella prossima possibile frattura del fronte imperialistico mondiale, il movimento politico rivoluzionario operaio potrà affermarsi, resistere e ripartire per una storica riscossa solo se saprà spezzare le due insidie dell’opportunismo «difesista» secondo cui dovrebbero essere bruciate tutte le munizioni: da un lato del fronte per la salvezza della libertà rappresentativa delle democrazie occidentali, dall’altro per la salvezza del potere proletario e comunista russo. Parimenti sarà condizione per la ripresa classista l’analoga repulsione di ogni «intermedismo» che voglia ingannare le masse additando la via per la loro ulteriore redenzione rivoluzionaria, da una parte del fronte nell’affermarsi del metodo di governo parlamentare contro il totalitarismo moscovita, dall’altra nella estensione del regime pseudo-sovietico ai paesi del capitalismo dell’Ovest.

A questa giusta impostazione della politica proletaria (purtroppo rappresentata oggi da gruppi più esigui ed isolati che alla fine della prima- guerra imperialistica) le possenti organizzazioni propagandistiche che alimentano l’imbottimento opportunista dei crani al servizio dei grandi mostri statali, risponderanno a preferenza con la congiura del silenzio o col moderno monopolio dei mezzi di informazione e di organizzazione, e quando sia necessario con la repressione e col terrore di classe. In quanto però il campo della discussione polemica cosiddetta imparziale (ipotesi inaccettabile per marxisti) possa ancora essere dischiuso, sarà certamente mossa alla impostazione ora delineata (con analogia perfetta a quanto fecero nel primo ciclo opportunista i mussolinisti, nel secondo i demo-comunisti progressivi) l’accusa di dogmatico apriorismo, di cieco indifferentismo alle multiformi possibilità di sviluppo della realtà storica.

Adottate talune formule fisse: «Lotta di classe», «Intransigenza», «Neutralità» i comunisti di sinistra, senza prendersi la briga di compiere l’analisi delle situazioni e del tormentoso loro divenire, concluderebbero sempre per una sterile e negativa indifferenza teorica e pratica tra le strapotenti forze in conflitto.

È mai possibile a marxisti, ossia a sostenitori dell’analisi scientifica più spregiudicata e libera da dogmi applicata ai fenomeni sociali e storici, asserire che sia proprio indifferente, per tutto lo svolgersi del processo che condurrà dal regime capitalistico a quello socialista, là vittoria o la sconfitta, ieri degli Imperi Centrali, oggi del nazi-fascismo, domani della plutocrazia americana o del totalitarismo pseudo-sovietico? con questa tesi insinuante l’opportunismo ha sempre iniziate e finora vinte le sue battaglie.

Ora non è affatto vero che caratterizzi i comunisti della sinistra l’ignoranza voluta di queste alternative ed il rifiuto della più sottile analisi di quelle successive e complicate vicende e rapporti della crisi capitalistica. Esse sono invece un compito incessante del movimento e della sua opera di indagine critica e teorica, e nessuna accettazione di principi immutabili ne pregiudica o limita insuperabilmente le conclusioni. Anzi, è appunto una critica più profonda e più acuta, ma soprattutto più scevra dell’accettazione, esplicita e assai più spesso implicita, di certi preconcetti che traducono gli interessi delle forze a noi nemiche, che conduce il marxismo rivoluzionario a confutare l’opportunismo disfattista sul terreno della polemica; ma assai più importante sarà il confutarlo con le armi della guerra di classe.

Noi affermiamo senz'altro che alle diverse soluzioni non solo delle grandi guerre interessanti tutto il mondo, ma di qualunque guerra, anche più limitata, hanno corrisposto e corrisponderanno diversissimi effetti sui rapporti delle forze sociali in campi limitati e nel mondo intero, e sulle possibilità di sviluppo della azione di classe. Di ciò hanno mostrato l’applicazione ai più diversi momenti storici Marx, Engels e Lenin, e nella elaborazione della Piattaforma del nostro movimento se ne deve dare continua applicazione e dimostrazione.

In tutto questo svolgimento, la confutazione della tesi di partenza dei social-traditori è risolta nella critica delle tre arbitrarie posizioni, che nelle sue presentazioni innumeri essa sempre comprende.
1°) Non vi è guerra in cui da ciascuna parte del fronte non sia possibile l’artata presentazione degli obiettivi di una delle parti come il preteso trionfo di valori e ideali universali che corrispondono alle aspirazioni dell’umanità e delle classi sacrificate. Ad esempio, la guerra franco-prussiana del 1870 fu presentata come suscettibile di sviluppi sociali e rivoluzionari tanto come effetto della possibile vittoria della Francia della Rivoluzione sulla Prussia ancora feudale, quanto come ripercussione dell’abbattimento della reazione bonapartista, ed entrambe le prospettive avevano marxisticamente un certo contenuto esatto. Non se ne doveva però concludere che i comunisti internazionali dovessero passare politicamente e militarmente sotto la bandiera dello Hohenzollern o del Bonaparte. Notoria è l’analisi in tutte le situazioni storiche posteriori (v. le tesi di Lenin del 1916).
2°) Una ipotesi arbitraria è che lo spostamento di rapporti prodotto dal prevalere di una delle forze militari sull’altra determini una evoluzione sociale generale nel senso del diffondersi nel mondo del tipo di organizzazione e di regime propri degli Stati vincitori. Non solo le possibilità dei riflessi sono molto più complicate, ma anzi il corso storico nel suo complesso ha piuttosto mostrato un carattere dialetticamente inverso. Le invasioni barbariche spezzarono la difesa militare dell’Impero Romano, ma tutta l’Europa fu condotta a organizzarsi secondo il tipo sociale e le leggi Romane.

Le coalizioni contro la Francia rivoluzionaria pervennero alla sconfitta dì Napoleone e ne distrussero senza appello la forza militare, ma l’Europa intera andò organizzandosi secondo i principi borghesi e il codice napoleonico.

Due grandi guerre mondiali hanno assicurato la vittoria a quella parte che sosteneva di rappresentare la democrazia (sebbene la Russia fosse, nella prima guerra, assolutista e, nella seconda, totalitaria, priva in entrambe le fasi di meccanismi parlamentari interni), ma appunto ad un’analisi libera da preconcetti borghesi appare come il mondo moderno si svolga inesorabilmente verro forme sempre più severe di controllo dall’alto, di complessità burocratica, di intervento statale, d’impastoiamento e di soffocazione di ogni iniziativa o autonomia periferica da parte di mostruosi centri monopolistici di organizzazione (il che, bene inteso, non va constatato e giudicato dai marxisti sub specie aeternitatis per gridare allo scandalo, ma appunto analizzato come l’evolversi dei modi di essere del mondo capitalistico, e non tanto dei rapporti tra borghesi e proletari, che furono e restano di spietata oppressione, ma tra borghesi e borghesi).

3°) Quando anche le due soluzioni del conflitto siano apportatrici di diverse possibilità, sicuramente prevedibili e calcolabili per il movimento, la stessa utilizzazione di queste possibilità non può venire assicurata che evitando di compromettere nella politica dell’infeudamento opportunista, le energie principali di classe e le possibilità di azione del Partito.

Il Partito di avanguardia marxista, se ha per compito essenziale il decifrare accuratamente lo sviluppo delle condizioni favorevoli all’azione massima di classe, è quello che deve in tutto il corso storico dedicarsi a svolgete e condurre vittoriosamente quell’azione, e non a costruirne le condizioni intermedie. Ciò va inteso nel senso marxistico e dialettico che la condizione centrale perché il socialismo vinca è il capitalismo stesso, mentre il partito rivoluzionario, dal suo primo sorgere, lotta spietatamente contro di lui, e secondo i rapporti delle forze materiali ascende la scala che va dalla critica scientifica all’opposizione diprincipio, alla polemica politica, alla insurrezione armata; e appunto e soltanto per la continuità di questo atteggiamento la sua funzione è uno degli aspetti del maturarsi di condizioni rivoluzionarie che costituiscono il contenuto della crisi capitalista.

In conclusione, ammesso per un momento che le «Carte», i parlamenti, le leggi liberali e simili armamentari, che nella fase modernissima della storia appaiono vuote parole ormai non solo all’accorto marxista ma al più ingenuo osservatore, possano per avventura in dati settori di tempo e spazio farci comodo, lasceremo dialetticamente che altre forze ed altri partiti lottino per esse, e ci dedicheremo incessantemente a svergognare e sabotare quelle finalità ed i loro paladini.

L’Italia e la situazione internazionale

La valutazione del compito del partito nel paese in cui agisce non è punto di partenza, ma punto di arrivo della politica internazionale proletaria. La lotta proletaria è dunque la lotta nazionale nel senso che il proletariato deve anzitutto sbarazzarsi della propria borghesia; dice il «Manifesto». Non, dunque, in quanto prima di valutare la strategia degli schieramenti internazionali delle opposte classi il proletariato debba domandarsi se non abbia interessi, postulati rivendicazioni comuni alla borghesia del suo paese da accampare nel giuoco mondiale.

Queste tesi furono sconvolte dalla marea opportunista della prima guerra, ma questa urtò nella tremenda contro-ondata della Rivoluzione leninista. Oggi, invece, alla fine della seconda guerra, pare non vi sia capo od esponente proletario che non accetti come indiscusso evangelo l’assoluta necessità di una solidarietà nazionale per difendere, ieri nella guerra, oggi nella pace, gli interessi e la causa della patria, della nazione, dell’Italia, dello Stato Italiano. Tutti questi termini, presupponenti l’obliterazione dei contrasti interni di classe, sono sostenuti da pretesi marxisti che non si avvedono, o vogliono celare, di muoversi direttamente nella scia tracciata dal metodo politico fascista che in essi si perpetua e si perfeziona.

La classe dirigente italiana esperimentò con successo nella prima guerra mondiale l’arte di scegliere il campo del finale vincitore, e ne trasse certi benefizi, notevolmente limitati però dagli sfacciati appetiti dei nuclei più forti del brigantaggio imperialista. Volle naturalmente rifarsene a spese delle masse lavoratrici interne, ma queste, appunto perché avevano durante la guerra evitato di cadere nella completa abdicazione alla lotta di classe, condussero una politica di insolidarietà nazionale, di opposizione aperta e di tentativi di assalto rivoluzionario. La borghesia rispose, in tutti i suoi partiti, abbracciando subito la tesi che il peggiore nemico è quello entro frontiera, vinse nella guerra di classe, tenne stretta nel pugno il potere dello Stato, e navigò fra le tempeste della politica internazionale sperando di riuscire a portarsi nel gruppo più potente e candidato alla vittoria.

All’uscita da questa seconda guerra, la situazione è ben diversa. Lo stato borghese nazionale giace sotto il peso della sconfitta militare e la classe di cui è lo strumento attende il suo destino dalla sorte che i vincitori le riserveranno. Per realizzare conseguenze meno disastrose, essa tende, nella ben diversa situazione, la stessa politica di allora e di sempre.

Nella piattaforma del nostro partito è bene dimostrata la continuità di questa politica a cavallo delle famose date 28 Ottobre 1922 – 25 Luglio ed 8 Settembre 1943.

Dopo avere offerto in appalto alla borghesia di Germania gli interessi, le braccia e il sangue delle masse italiane, la classe dominante (pur rivestendosi di nuovi partiti per affermare che quella politica criminale aveva disperso, stremato e stritolato ogni risorsa ed energia del popolo italiano) ha riofferto lo stesso appalto al nemico di ieri, tentando una nuova edizione patriottica e guerraiola, che, in relazione appunto alle precedenti rovine, se non fosse stata una nuova volgare truffa, sarebbe risultata più criminale della prima.

Per ottenere dagli strapotenti Stati vincitori un nuovo mandato di dominio e di sfruttamento parassitario, questa classe borghese idenificantesi, come nella tendenza generale del mondo contemporaneo, nello strato oligarchico degli affaristi e dai politicanti, offre nelle trattative internazionali al più vile mercato ancora una volta il lavoro e la vita dei proletari italiani.

Il partito di classe del proletariato non può avere altra politica che di respingere, non solo ogni collaborazione di governo, ma ogni solidarietà con le richieste internazionali di questa borghesia anche quando sono ipocritamente presentate come vantaggi per le classi più misere. Esso deve proclamare che la classe dominante italiana va trattata da vinto, e che ogni diversa situazione non maschererebbe ché un compromesso conducente al peggioramento delle condizioni dei lavoratori italiani.

Quali particolari riflessi di questa criminale politica si hanno nella prospettiva di una frattura nel fronte internazionale dei vincitori?

Gli elementi direttivi della società e dello Stato italiano sono ora tormentati da un solo problema, che non è quello di assicurare il trattamento migliore alle masse economicamente provate dai disastri di guerra ma è piuttosto quest’altro: la direzione suprema mondiale resterà ad un unico centro di compromesso tra Inglesi, Russi e Americani, o si spezzerà in due blocchi, per ora dissenzienti e non guerreggianti? In tal caso lo Stato di Roma da quale dei due prenderà gli ordini?

Nel primo caso l’attuale compromesso di governo continuerà vivere in forme più o meno ibride attraverso le vuote vicende della questione costituzionale ed istituzionale.

Per il partito rivoluzionario tale questione in linea di fatto e di reale valutazione storica non si riconduce alla utopia di un’autodecisione del popolo italiano. In ogni caso la deciderebbe un giro di schermaglie e di mercati interni nella gerarchia oligarchica dominante, che manipolerebbe facilmente nell’orgia elettorale (anelata esattamente come nell’altro dopo guerra) assemblee, corpi ed istituti. Ma nemmeno questo agirà, perché statuti, inquadrature, elezioni e decisioni le verranno – con ordini tutti fatti e servilmente accolti – dalle gerarchie straniere.

Rompere questo ciclo con azione di massa non è compito nazionale, ma europeo e mondiale, e non si realizzerebbe in campi e con mezzi legalitari, unica parola, quindi del nostro Partito è, conforme alla recisa diagnosi marxista, lo smascherare come ennesima atroce delusione del proletariato, dopo la vittoria, l’antifascismo, l’armistizio, la fine della guerra in Italia, la pace mondiale, anche la ricetta ciarlatanesca della Costituente e della Repubblica.

Ed in vista dei diversi sviluppi, che l’altra ipotesi della frattura nella suprema gerarchia internazionale proietterebbe sulla situazione di governo in Italia, il partito deve fin da ora battere in breccia la prevedibile sconcia manovra del passaggio di alcuni schieramenti politici dalla più servile collaborazione a possibili atteggiamenti di opposizione.

Taluni gruppi resteranno comunque legati ad uno dei tre colossi stranieri: i comunisti e parte dai socialisti alla Russia; le destre, i liberali, e forse alcune sinistre alle potenze anglosassoni. Un centro di partiti e di gruppetti opportunisti (ma non più degli altri) consulterà affannosamente l’oroscopo sull’influenza che dominerà in Italia e forse domani sul vincitore presumibile della terza guerra. Per oggi è compito urgente di chiarificazione rivoluzionaria non già l’inseguire le passate dichiarazioni fasciste degli anti-fascisti, ma ricordare spietatamente a quelli che polemizzano contro la prepotenza americana le loro idiote e servili piaggerie di quel tipo di civiltà e delle direttive di propaganda dei Roosevelt e dei Churchill; ed ai critici della barbarie totalitaria staliniana le loro istrioniche esaltazioni degli immani sacrifici sui campi di guerra di milioni di proletari Russi per la causa di cui erano allora fautori. La doppia responsabilità deve condannare gli uni e gli altri e squalificare la loro influenza sul proletariato italiano.

Nel conflitto mondiale di interessi, e soprattutto nel delimitarsi delle sfere europee, le masse lavoratrici debbono riuscire a non commuoversi per tutti gli interessamenti alla «causa italiana». L’Italia geograficamente e per nostra disgrazia è una posizione chiave. Ogni gruppo ne proclama necessaria la libertà per tenerla lontana dalle grinfie dell’altro, ma considera che la più sicura garanzia, per questo fine, è il conservarne lo stabile controllo. Con questo criterio va considerato il problema dei confini territoriali e va denunziata la falsità di classe degli scontri politici interni sui problemi delle frontiere, delle rivendicazioni irredentistiche. Ogni gruppo della oligarchia politica dominante risolve tale problema secondo gli interessi dei poteri stranieri ai quali è già aggiogato, o secondo le previsioni sul probabile prevalere dell’uno o dell’altro potere straniero che convenga servire.

In una possibile situazione di scontro bellico sul territorio italiano la valutazione critica e la politica del partito dovranno essere quelle che discendono dalle impostazioni di natura internazionale. Esso condannerà apertamente ogni organizzazione nelle retrovie di formazioni armate che dipendano direttamente da poteri stranieri i quali le alimentino con la loro propaganda, il loro danaro e le loro armi, e perciò stesso siano arbitri di mobilitarle e smobilitarle. La possibilità di agire con inquadramenti combattenti va riservata alla condizione che la loro efficienza ed azione dipendano soltanto da collegamenti internazionali rivoluzionari, non subordinati alla situazione di guerra, di pace, di vittoria e di sconfitta dell’uno o dell’altro gruppo di stati militari, autonomi dagli stati maggiori e dalle polizie di Stato di entrambi.

Parola di azione semplice e chiara: né un uomo né una cartuccia per nessuno dei due.


Source: «Prometeo», № 3, 1946

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