In Spagna, in Polonia, in Germania degli operai sono assassinati nel nome di un ordine borghese che niente può più fare tremare oggi. I fucili delle guardie, dei gendarmi, l’ascia dei boia, ecco le armi che hanno fatto comprendere ai lavoratori di questi paesi che alla vigilia della guerra imperialista niente può alterare la serenità dell’Unione Nazionale.
Dove sono dunque le fiere coorti del proletariato mondiale che dopo la Rivoluzione Russa si sarebbero alzate per tendere una mano fraterna ai loro fratelli feriti e per vendicare con la loro lotta spietata il sangue versato? Il capitalismo può dunque massacrare impunemente i proletari? Sfortunatamente, la fase di sconfitte che viviamo è anche quella in cui i crimini della borghesia sono non solo tollerati ma acclamati dalle masse la cui comprensione di classe fu spezzata dagli avvenimenti e dal lavoro dei social-centristi.
Operai cadono sotto le pallottole degli sbirri del governo popolare spagnolo? Cosa importa dopo tutto! Sono fascisti o agenti del fascismo e non proletari che fanno lo sciopero generale per migliorare la loro situazione. Socialpatrioti tradizionali e centristi di tutti i paesi urleranno che il Fronte Popolare spagnolo si difende contro il fascismo quando in realtà la borghesia spagnola strangola i movimenti di classe degli operai. E non una voce che si innalzi per preservare il significato dell’ultimo sacrificio dei lavoratori. Al contrario, la danza macabra dei socialcentristi alleati alla peggiore reazione si sviluppa mentre i cannoni si apprestano al massacro nel quale gettano, già da ora, gli operai. In Polonia, in Germania, gli operai pagano con la loro vita il tradimento dei socialisti e dei centristi. I grandi scioperi che sono schiacciati dai «cosacchi» polacchi sono una eco delle debolezze, dell’isolamento e delle sconfitte del proletariato polacco. Ah!, possono meditare i minatori del bacino di Dombrowa il senso delle parole di Molotov a Chastenet, direttore del «Temps»: far cessare la lotta dei comunisti polacchi per permettere un avvicinamento russo-polacco? Ma è tagliare un capello in quattro. Stalin strangolerà con le sue mani il proletariato di questi paesi se il capitalismo mondiale lo desidera. La borghesia polacca non lo ignora, ma essa sa perfettamente che all’azione nefasta dei socialisti e dei centristi deve aggiungere il crepitio dei fucili e il sibilo delle fruste: l’ordine sarà mantenuto a Varsavia!
E in Germania. Qui, sotto i laconici comunicati dei giornali, giace una terribile tragedia. Ieri i sindacalisti di Wuppertal (dopo quanti altri) erano battuti a morte. Oggi la stampa tedesca nell’emigrazione comunica altri nomi, altre vittime che, pur presentateci sotto qualche bandiera socialista o centrista, stanno a simbolo del destino di un proletariato vinto dalle forze democratiche, centriste e fasciste del capitalismo. Dunque, in tutte le parti del mondo la reazione borghese brandisce la bandiera della sua vittoria, mentre le sue soldataglie imbrattano i pantani di sangue proletario. Anche in Russia, gli isolatori, i luoghi di deportazione non si vuotano perché anche là si colpiscono gli operai rivoluzionari, i comunisti internazionalisti, tutti quelli che rappresentano una reazione dei lavoratori russi alla feroce dittatura della burocrazia centrista.
Inviando il nostro fraterno saluto, oggi Primo Maggio, al compagno Calligaris, deportato in Siberia, noi salutiamo fraternamente in lui le migliaia di comunisti russi, di operai rivoluzionari con i quali divide la sorte.
La reazione mondiale della borghesia non è eterna. È limitata dai contrasti naturali del regime capitalista. Gli stupidi boia della repressione non arresteranno l’ondata montante della rivoluzione di domani come non impediscono che alla bassa marea dei mari si sostituisca l’alta marea. Il sangue versato non resterà impunito. In questo 1° Maggio il proletariato mondiale deve scrivere il nome di quelli che sono caduti in conseguenza del tradimento dei centristi e dell’azione dei socialisti, deve scrivere i loro nomi sulle sue bandiere rosse per brandirli come una minaccia certa in faccia al regime che, quando ha finito di vincere, deve ricominciare per non essere spazzato via dalle masse comuniste.