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MASSACRI E APPETITI IMPERIALISTICI A TIMOR


Content:

Massacri e appetiti imperialistici a Timor
Gli avvoltoi imperialisti
Il ruolo criminale dell’ONU
Notes
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Massacri e appetiti imperialistici a Timor

Era appena scomparso dalle prime pagine dei media il dramma del Kosovo quando al suo posto si è presentata la tragedia di Timor Est. si sono scatenati massacri e deportazioni della popolazione, mentre i funzionari dell’ ONU abbandonavano precipitosamente il territorio in cui erano venuti a portare la pace e la democrazia…

Timor Est è una ex colonia portoghese che aveva proclamato la propria indipendenza alla fine di novembre dell’1975 (l’anno dell’indipendenza delle ultime colonie portoghesi in Africa, Mozambico e Angola). Il 7 dicembre dello stesso anno le truppe indonesiane, che erano state ammassate nella parte occidentale di Timor, invasero il territorio dell’est schiacciando qualunque resistenza. Poco dopo veniva proclamata l’annessione di Timor est all’Indonesia. La repressione contro gli indipendentisti e le conseguenze della carestia avrebbero causato finora oltre 200 000 morti in un territorio che ha oggi una popolazione inferiore a 800 000 abitanti.

L’annessione di Timor Est è stata riconosciuta da pochissimi paesi, la vicina Australia fra i primi, ma non dall’ONU e dai paesi occidentali. In realtà era stata avallata dagli Stati Uniti, preoccupati di ricompensare un alleato di fiducia e nel timore che il piccolo Stato cadesse sotto l’influenza sovietica o cinese; d’altra parte il governo militare golpista di Suharto si distinse, fra l’altro, per aver messo fuori legge il partito comunista indonesiano e per aver diretto una repressione che provocò centinaia di migliaia di vittime. Era l’epoca in cui gli americani avevano appena preso la batosta in Vietnam e avevano perso l’Indocina; un alleato così decisamente anticomunista, antirusso e anticinese come Suharto meritava evidentemente un occhio di riguardo…

Nel maggio '98, dopo forti pressioni internazionali e interne dovute soprattutto alle conseguenze della famosa crisi asiatica del '97–'98 e al clima di estrema violenza e di saccheggi diffusosi in tutto il paese, il presidente Suharto si dimette e passa la mano al suo vice Jusuf Habibie. La fine del regime di Suharto e il processo di «democratizzazione» in corso nel paese, avente lo scopo di aggregare strati borghesi più ampi alla gestione del paese – con la mira di affari più succulenti, un tempo monopolio di cricche ristrette di affaristi – e di rafforzare la legittimità dello Stato agli occhi delle masse, è stata individuata dall’ONU e dai suoi padrini come l’occasione per voltar pagina sul conflitto timorese.

Era l’occasione per eliminare uno dei focolai di tensione esistenti nell’arcipelago: l’Indonesia ha una importanza strategica per tutti i paesi imperialisti, non solo per le sue dimensioni (oggi conta più di 200 milioni di abitanti) e per le sue risorse (petrolio, gas naturale, carbone, riso, canna da zucchero, ecc.). L’Indonesia controlla infatti una via commerciale marittima di primaria importanza che collega il Giappone e i paesi asiatici ai mercati europei e alle fonti di materie prime. Tutto ciò che alimenta l’instabilità dell’Indonesia – paese giovane, senza tradizione nazionale e frammentato sia dal punto di vista geografico sia da quello etnico e religioso – costituisce una minaccia per questa via commerciale, dove continuano ad imperversare i pirati; una minaccia, quindi, per il commercio internazionale.

Ma vi sono senza dubbio motivazione meno confessabili. L’indebolimento del potere indonesiano stuzzica inevitabilmente appetiti imperialistici. Come spiegare altrimenti l’atteggiamento dell’Australia che, dopo essere stata la prima a riconoscere l’annessione di Timor Est (ed essere stata regolarmente denunciata dagli indipendentisti timoresi per tutto questo periodo), dopo aver allacciato col regime indonesiano relazioni molto strette, coronate nel 1995 dalla firma con l’Indonesia di uno storico accordo sulla reciproca «sicurezza» (il trattato prevedeva, fra l’altro, assistenza militare reciproca e programmi comuni di addestramento militare), è diventata improvvisamente favorevole all’autodeterminazione di questo territorio sul quale è l’unico Stato straniero ad avere una presenza significativa?

Timor Est è indubbiamente una regione molto povera e dalle magre risorse, ma nel suo mare c’è il petrolio! L’Australia aveva ottenuto dallo Stato indonesiano accordi che le garantivano il 50 % del ricavato delle sue esplorazioni petrolifere nel mare di Timor. La sterzata dell’Australia all’inizio di quest’anno, accompagnata da dichiarazioni bellicose (annuncio del raddoppio degli effettivi militari nel nord del paese messo in stato di all’erta) aveva suscitato la collera delle autorità indonesiane che hanno visto in questo un tradimento; l’Indonesia ha risposto rompendo il trattato di sicurezza e ha cercato di opporsi al fatto che l’Australia svolga un ruolo nella forza internazionale ONU intervenuta a Timor Est; il portavoce del governo è arrivato a dichiarare che nessuno avrebbe pianto se dei soldati australiani fossero stati uccisi dai miliziani.

L’ONU, o più esattamente le potenze imperialiste che la fanno muovere (in particolare il «Gruppo consultivo per l’Indonesia» che riunisce i suoi creditori), aveva previsto una transizione pacifica e senza violenza. Per non urtare le autorità indonesiane, gli inviati dell’ ONU (in maggioranza australiani) dovevano organizzare le elezioni sull’autodeterminazione del tutto disarmati, benché l’armamento e la preparazione ad opera dell’esercito delle milizie antiindipendentiste siano avvenuti alla luce del sole[1].

Gli imperialisti chiedevano alle forze armate indonesiane, carnefici delle popolazioni timoresi, di «garantire» la pace e la sicurezza di queste stesse popolazioni![2]. Facendo in pieno il gioco delle potenze imperialiste, le forze armate della guerriglia timorese indipendentista avevano accettato di restare in disparte durante e dopo le elezioni e i loro capi alla fine di agosto ancora proponevano la riconciliazione alle milizie anti-indipendentiste che stavano compiendo i massacri che tutti hanno visto documentati alle tv e nei media[3]. Come risultato, le popolazioni, abbindolate da questi discorsi tranquillizzanti, sono state abbandonate del tutto indifese alle orde assassine.

L’umiliazione inflitta all’ONU da poche migliaia di miliziani, con l’attacco alla sede Onu nella capitale Dili e la precipitosa fuga degli incaricati Onu, è stata molto imbarazzante per l’imperialismo; la questione di Timor, di colpo, assumeva un’importanza politica che superava di gran lunga la posta in gioco iniziale: la «credibilità» dell’ ONU doveva essere ristabilita!

Ma, d’altra parte, una soluzione «alla jugoslava» cioè un attacco dell’ esercito indonesiano presente a Timor era impensabile, perché questo esercito è l’ultimo garante della stabilità e perfino dell’esistenza – in quanto Stato unificato – dell’ arcipelago indonesiano. Da qui le esitazioni degli imperialismi, i ridicoli appelli alle forze armate indonesiane affinche fermassero i massacri e le deportazioni mentre sono state proprio loro ad organizzarli, ecc. Alla fine sembra che siano state le minacce del FMI e della Banca Mondiale, su richiesta degli Stati Uniti e di molti paesi europei, nonostante l’opposizione del Giappone e della Gran Bretagna, a portare le autorità indonesiane a cedere e ad accettare l’invio di soldati stranieri, australiani compresi[4].

Gli avvoltoi imperialisti

L’esercito, vera spina dorsale dell’ Indonesia, non è riuscito a raggiungere il suo obiettivo principale, che verosimilmente era una divisione del territorio di Timor est: le zone che avevano votato contro l’indipendenza, popolate da coloni venuti da altre regioni o da musulmani ai comandi della vita economica del territorio, sarebbero rimaste in tal caso indonesiane. Massacrando e distruggendo sistematicamente tutto ciò che poteva per giorni e giorni, l’esercito ha conseguito comunque un altro obiettivo: dare un avvertimento inequivocabile alle altre regioni più ricche o più importanti del paese in cui esistono dei movimenti indipendentisti (come ad es. in Irian-Jaya, nel nord di Sumatra, annessa all’ Indonesia nel 1963), ma anche, in generale, alle masse proletarizzate indonesiane tentate di infilarsi nella breccia costituita dal cambiamento di regime e non soddisfatte della riverniciatura dell’ordine costituito rappresentata dalla «democratizzazione» in corso.

L’imperialismo è riuscito, alla fine, ad evitare la perdita di credibilità dell’ ONU, l’organismo che gli è tanto utile per porre una maschera umanitaria alle sue rapine. L’ Australia, che provvede al comando delle forze ONU e fornisce la maggior parte degli 8000 soldati, si è assicurata di fatto il mandato su Timor Est che avrebbe dovuto, secondo gli accordi del maggio 1999 fra Indonesia e Portogallo, ritornare all’ Indonesia. Gli Stati Uniti, imperialismo planetario non ha alcun interesse a lasciarsi invischiare nei piccoli conflitti locali, ma non può disinteressarsi del mantenimento dell’ ordine costituito, si sono accontentati di fornire un aiuto logistico alle forze ONU rendendone possibile la formazione. L’importante per loro è soprattutto mantenere i propri stretti legami con i militari indonesiani, mentre Timor in se stessa è una preda priva praticamente di interesse. L’imperialismo francese si è affrettato ad inviare una nave e 500 soldati per riaffermare di essere una potenza presente in Oceania; la Gran Bretagna ha fatto la stessa cosa perché ha degli interessi in Asia e nell’ Estremo Oriente; l’Italia dalemiana non vuole perdere questa ulteriore occasione «internazionale» per inserirsi nelle iniziative imperialistiche che hanno spessore mondiale, e dunque per ribadire – come già in Libano, in Somalia, in Kosovo – di voler essere considerata fra i «grandi» del mondo; e così via tutti gli altri. Anche in questa occasione constatiamo che ogni conflitto, seppure locale e di minor incidenza sul piano generale dei rapporti interimperialistici, attira inevitabilmente tutti gli avvoltoi imperialisti. A maggior ragione lo stesso succederà in futuro, quando scoppieranno conflitti più ampi: l’intero pianeta è per gli imperialisti un terreno di caccia e, quindi, un campo di battaglia.

Il ruolo criminale dell’ONU

C’anche qualche insegnamento politico da trarre. Ancora una volta si è formato un fronte unico tra i difensori dell’ imperialismo dietro la bandiera dell’ intervento umanitario, sotto il pretesto, in apparenza irrefutabile, di andare in aiuto alle popolazioni martirizzate. Intorno alla sorte dell’ex colonia, in Portogallo si è creta una vera comunione nazionale, che va dai trotskisti alla destra più conservatrice e che ha mobilitato come non mai la popolazione, senza distinzioni di classe, in una nuova unione sacra. In Francia, e in altri paesi europei,, in cui la questione timorese, avendo meno implicazioni, non ha suscitato mobilitazioni popolari, abbiamo assistito comunque ad appelli a favore dell’intervento dell’ONU da parte dei trotskisti, sindacati, partiti di sinistra – alleati nei fatti con Chirac e i partiti borghesi di destra. In Italia, dove la questione timorese non ha implicazioni di sorta, il problema della partecipazione alle forze dell’ONU è stato risolto alla maniera burocratica: 50 paracadutisti della Folgore (così la Folgore si riprende un po’ di onori dopo la trucida vicenda del paracadutista trovato morto in caserma) e qualche centinaio di marinai a supporto, il tutto per ribadire che l’Italia è presente e che si dovrà sempre più considerarla come una forza attiva nelle operazioni di gendarmeria internazionale. Nessun partito ha posto ostacoli all’invio dei paracadutisti della Folgore, né della sinistra parlamentare né della estrema sinistra. D’altronde, dopo il Kosovo, l’ONU sta in qualche modo rigiocando il ruolo del salvatore degli innocenti…

Tuttavia, i fatti mostrano che a Timor l’ONU (vale a dire i paesi che sono all’origine della sua azione e che l’hanno organizzata, cioè Portogallo, Australia, Stati Uniti ecc.) ha giocato in modo criminale con la vita della popolazione; l’ONU ha quindi la sua parte di responsabilità nei massacri: affrettando il referendum sull’ autodeterminazione[5] l’ONU ha fatto credere alle masse che non ci fosse pericolo e si è ostinata a non prendere la benché minima misura pur essendo al corrente dei preparativi e dei piani dell’ esercito indonesiano. Poi, quando sono iniziati i massacri e le deportazioni, ha lasciato che i miliziani e i soldati indonesiani compissero i loro misfatti, permettendo perfino la proclamazione dello stato d’emergenza sul territorio da parte dell’ esercito (cosa che era stata espressamente vietata dagli accordi preparatori al referendum). È dunque a ragione che alcune organizzazioni umanitarie accusano l’ONU di «corresponsabilità» nei massacri, ma non vanno poi molto lontano quando spiegano questo atteggiamento con «il cinismo o l’incompetenza» dei responsabili dell’ONU, In realtà, questo modo di agire si spiega col fatto che, contrariamente a quanto pretende la propaganda borghese, l’ONU e i suoi caschi blu non sono una forza di pace neutrale, disinteressata e al di sopra delle parti, tesa unicamente a venire in aiuto alle popolazioni sfortunate, ma è uno strumento dell’ imperialismo mondiale, e più precisamente dei più potenti paesi capitalisti.

I proletari e le masse sfruttate devono nutrire la massima diffidenza nei confronti di questo covo di briganti che è l’ONU, e devono considerare come loro nemici coloro che sostengono il ricorso all’ONU come la soluzione per porre fine a guerre e massacri. No! Non sarà certo l’ONU, cioè l’imperialismo dal casco blu, a metter fine a guerre e massacri, ma solo la lotta dei proletari e di tutti gli sfruttati, indipendentemente e contro tutte le forze e le organizzazioni borghesi, nazionali e internazionali, che culminerà nella distruzione rivoluzionaria del capitalismo internazionale; sarà l’armata rossa del proletariato internazionale l’unica forza che riuscirà a fermare e debellare le forze dell’imperialismo, gli eserciti borghesi e le mille organizzazioni mercenarie al loro servizio.

Le masse a Timor Est hanno pagato a caro presso la fiducia riposta nell’ONU, nei conciliatori indipendentisti, nei pacifisti religiosi. Non si possono combattere oppressione, repressione e massacri con le preghiere, le schede elettorali, il pacifismo o chiedendo aiuto ai gangsters imperialisti, ma solo opponendo la forza alla forza, la forza dei proletari uniti al di là delle frontiere, delle razze e delle differenze religiose o nazionali, alla forza degli Stati borghesi.

Ecco una scottante lezione che non vale solo per gli oppressi della piccola Timor, ma per i proletari del mondo intero.

Notes:
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  1. Numerosissime sono le testimonianze sul rifornimento di armi e l’addestramento delle milizie da parte dell’esercito, e sulla messa in atto da parte di queste della cosiddetta operazione «Pulizia totale» a partire da marzo con l’insediamento della milizia Aitarak nella capitale di Timor Est. Cfr. «Le Monde» del 8/9/99. La missione ONU era al corrente di questo piano, ma non ha reagito in alcun modo. [⤒]

  2. Per esempio, l’accordo di New York del 5/5/99 fra Portogallo e Indonesia chiedeva alla soldatesca indonesiana di assicurare la sicurezza delle popolazioni che essa stessa stava ferocemente reprimendo da più di 25 anni! [⤒]

  3. Secondo «Le Monde» del 6/9/99, il capo degli indipendentisti, imprigionato a Giacarta, prima di essere liberato
    «ha dato il là, incontrandosi con i generali indonesiani, diplomatici americani o portoghesi, invocando ogni volta la riconciliazione, la transizione morbida verso l 'indipendenza, la coabitazione futura, una volta acquisita l 'indipendenza, con il gigante indonesiano».
    Mentre a Timor, in occasione di una conferenza stampa per annunciare un accordo di «riconciliazione» con le milizie (ovviamente rotto l 'indomani da queste ultime)
    «uno dei comandanti del Falintil – la guerriglia indipendentista – ha sorpreso tutti riconoscendo degli ‹errori passati› e abbracciando il capo della milizia Aitarak che ha contribuito a terrorizzare la popolazione di Dili per settimane.» [⤒]

  4. Cfr. «Financial Times», 13/9/99. Lì Giappone che fornisce il 60 % dell’aiuto all’Indonesia è stato il paese che si è maggiormente opposto alle sanzioni. [⤒]

  5. Secondo un responsabile di una organizzazione portoghese di sostegno agli indipendentisti («Le Monde Diplomatique», giugno '99), e un corrispondente del «Financial Times» (7/9/99) – assassinato qualche giorno più tardi – il capo degli indipendentisti timoresi preconizzava un periodo intermediario di autonomia piuttosto che l’indipendenza immediata. [⤒]


Source: «Il Comunista», N° 67, Ottobre 1999

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