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LE TRADIZIONI INTERNAZIONALISTE DEL PROLETARIATO SERBO


Content:

Le tradizioni internazionaliste del proletariato serbo
Il socialismo in Serbia: il proletariato e la guerra
La Federazione comunista balcanica
Piattaforma del Partito Operaio Indipendente della Yugoslavia
Piattaforma elettorale contro l’offensiva assolutista e militarista della borghesia serba
Notes
Source


Le tradizioni internazionaliste del proletariato serbo

I dirigenti della Nato e i responsabili politici dell’imperialismo occidentale affermavano di fare la guerra a Milošević e non al popolo serbo: occorreva lasciare la porta aperta a futuri negoziati con i dirigenti del paese. Le reti della propaganda imperialista, soprattutto fra gli intellettuali, non erano tenute a tanta precauzione. Dato che avevano il compito di alimentare il sostegno alla guerra in corso, tutti gli argomenti erano buoni. Quasi tutto il popolo serbo veniva dunque reso colpevole dei soprusi commessi. Dall’altra parte, le autorità e tutto l’arco dei partiti e delle organizzazioni borghesi serbe, democratici in testa, facevano appello all’unione nazionale in nome delle plurisecolari tradizioni nazionali.

Contro i borghesi di entrambi i fronti e contro la salda tradizione nazionalista alimentata dalla borghesia, vogliamo ricordare che sia i proletari serbi sia quelli non serbi della ex Yugoslavia (e dei Balcani in generale) possono riagganciarsi ad un’altra tradizione, la loro tradizione di classe, rivoluzionaria, apertamente internazionalista e violentemente antiborghese.

La prima guerra mondiale scoppiò, come è noto, a Sarajevo, in seguito ad un attentato nazionalista serbo, ma era stata preceduta dalla guerra dell’Austria contro la Bosnia Erzegovina nel l 908, dalle «guerre balcaniche» nel 1912–1913 e dall’attacco italiano contro la Turchia. La prima guerra balcanica vide lo scontro fra la «Alleanza balcanica» – che riuniva Serbia, Grecia e Bulgaria, appoggiate da Russia, Francia e Gran Bretagna – e l’Impero turco, la cui decadenza stimolava gli appetiti di tutti i maggiori Stati europei, e che era sostenuto da Germania e Austria. Subito dopo la sconfitta turca, scoppiò la seconda guerra balcanica fra gli alleati di ieri per la spartizione del bottino della vittoria. La Serbia e la Grecia, con l’appoggio della Romania, combatterono vittoriosamente contro la Bulgaria, aiutata sottobanco dalla Germania.

I partiti socialisti dei Balcani, che nel 1910 avevano costituito una «Federazione balcanica» per promuovere l’idea di una federazione dei popoli della regione, si opposero alle guerre, denunciando la menzogna dell’interesse nazionale in nome del quale la borghesia di ogni paese chiamava i proletari a sostenere la guerra. Allo scoppio della prima guerra balcanica i due deputati socialisti votarono al parlamento serbo contro la guerra; altrettanto fece l’unico deputato socialista al parlamento bulgaro. Alla vigilia della guerra fu pubblicato un «Manifesto dei socialisti dei Balcani e della Turchia» su cui si poteva leggere:
«Noi, socialisti dei paesi balcanici e del Vicino Oriente, interessati più direttamente dalla guerra, non ci lasceremo travolgere dall’ondata sciovinista. Alziamo con più forza ancora la nostra voce contro la guerra e invitiamo le masse operaie e contadine insieme a tutti i sinceri democratici a unirsi a noi per opporsi alla politica di sanguinose violenze, che trascina dietro di sé le più funeste conseguenze, (diffondiamo) la nostra concezione della solidarietà internazionale.
I proletari dei Balcani non hanno nulla da guadagnare da un’avventura bellica, poiché sia i vinti che i vincitori vedranno ergersi, su mucchi di cadaveri e di rovine, più forti e più arroganti ancora il militarismo, la burocrazia, la reazione politica e la speculazione finanziaria con il consueto seguito di tasse gravose e rincaro della vita, di sfruttamento e di miseria nera.
(..) L’argomento nazionalista in realtà, per i governi balcanici, non è altro che un pretesto. Il vero motivo della loro politica altro non è che la tendenza verso l’espansione economica e territoriale che caratterizza tutti i paesi a produzione capitalista. I vicini turchi cercano in essa gli stessi vantaggi delle grandi potenze, nascoste dietro i piccoli Stati: vogliono dei mercati per piazzare le loro merci, i loro capitali e il personale burocratico in esubero per il quale non vi è più posto negli uffici delle metropoli.
Anche se denunciamo la pesante responsabilità degli Stati balcanici tanto nella guerra che si prospetta quanto nel passato, quando ostacolavano la trasformazione interna della Turchia, anche se accusiamo di ambiguità la diplomazia europea che non ha mai voluto riforme serie in Turchia, non vogliamo affatto sminuire la responsabilità degli stessi governi turchi.
(…) Al sanguinoso ideale delle nazioni di decidere la sorte dei popoli attraverso la guerra e di mercanteggiare i loro diritti e i loro territori, risponderemo affermando l’imperiosa necessità, già proclamata dalla Conferenza interbalcanica e socialista di Belgrado del 1909, di saldare strettamente, sotto la forma più democratica, tutti i popoli dei Balcani e del Vicino Oriente, senza distinzioni di razza o di religione (…)»[1].

Benché questo manifesto fosse più di natura democratica che socialista, mostrava tuttavia un notevole spirito internazionalista in un momento in cui la guerra scatenava le passioni nazionaliste e spingeva i proletari delle diverse nazionalità gli uni contro gli altri. Questa opposizione al nazionalismo da parte dei socialisti serbi e bulgari (parliamo qui del partito socialista bulgaro cosiddetto «ristretto»; i socialisti «allargati» si schierarono, da bravi opportunisti, a fianco della loro borghesia) si verificò di nuovo in occasione della seconda guerra balcanica e, ancora una volta, allo scoppio della guerra mondiale, la prima. Benché, come diceva Lenin, il partito serbo fosse il solo che avrebbe potuto, con una certa ragione, appoggiare la guerra (in quanto la piccola Serbia era stata attaccata dall’Austria-Ungheria), fu l’unico partito della Seconda Internazionale, a parte i bolscevichi e Liebknecht, ad opporsi al voto dei crediti di guerra, scelta che pagò subendo una dura repressione.

Il socialismo in Serbia: il proletariato e la guerra

Nell’aprile del 1919 un rappresentante dei socialisti serbi scriveva sulla rivista dell’Internazionale comunista, nell’articolo intitolato «Il socialismo in Serbia»:

«(..) Quando, nel 1908, il rapace imperialismo dell’Austria- Ungheria annetté la Bosnia-Erzegovina in cui vivono dei serbi, la giovane e focosa borghesia serba colse l’occasione per coprire i suoi appetiti capitalistici con una veste nazionalista. Proclamò la patria e la nazione in pericolo: tutto per l’esercito, tutto per l’armamento, tutto per la difesa nazionale.
Il proletariato serbo rispose: Abbasso la guerra fra i popoli! Viva la solidarietà internazionale degli operai!
(…) Quando, nel 1912, la Serbia e altri paesi balcanici dichiararono guerra alla Turchia ‹per liberare i compatrioti oppressi da cinque secoli› di schiavitù turca, il nostro partito restò fedele alle sue concezioni socialiste e internazionaliste. (…) Dichiarò e sottolineò come la lotta di classe e la rivoluzione socialista siano gli unici mezzi per la liberazione delle classi oppresse e pertanto anche dei popoli dominati. Noi ci opponemmo alla divisione e riproponemmo il nostro progetto di unione dei Balcani in una Repubblica Federativa (…). Nel giugno del 1913, nove me si dopo la ‹guerra liberatrice›, iniziò la guerra fra gli alleati di ieri. In questa guerra la Serbia venne attaccato. L’esercito bulgaro assali l’esercito serbo di notte e senza una formale dichiarazione di guerra. Tuttavia, nonostante il carattere difensivo della guerra, il nostro partito, ancora una volta, tenne alta la bandiera rivoluzionaria della solidarietà proletaria, condusse, ancor più energicamente che nei due casi precedenti, una lotta risoluta contro la guerra fratricida.

(…) Quando, nel 1914, la Serbia fu formalmente attaccata, e, questa volta a ragione, si poteva parlare di una guerra difensiva – ammesso che questa parola possa avere un senso per noi in generale all’interno del sistema capitalistico –, il nostro partito dichiarò guerra alla guerra imperialista. In quell’occasione sostenne ancora con vigore che i proletariati serbo e austro-ungarico non sono in conflitto fra loro e che è la borghesia la responsabile dello spargimento di sangue. Non abbiamo esitato a sottolineare che la borghesia serba svolgeva il ruolo di agente dello zarismo e dei banchieri occidentali. Facemmo appello allora alla solidarietà del proletariato internazionale e alla sua azione rivoluzionaria. Ma, anche in questa occasione, la nostra voce rimase quasi isolata all’interno della II Internazionale. (…).
Adesso si tratta di sapere se il partito socialista o piuttosto il proletariato serbo ha cambiato opinione dopo tre anni di occupazione e dopo l’unione del popolo serbo. A questo proposito posso asserire senza timore di essere smentito. no! (..)»[2].

A sostegno di quanto affermato, nell’articolo di Ilija Milkić si riferiscono varie dichiarazioni dei socialisti serbi contro il socialpatriottismo e a favore della rivoluzione russa; e,in risposta alle richieste del governo serbo, allora in carica, di un intervento militare degli Alleati dell’Intesa contro la rivoluzione scoppiata nella vicina Ungheria (siamo appunto nell’aprile del 1919), si riferisce dell’organizzazione da parte dei socialisti di un o sciopero generale nelle grandi città del paese. Si fa riferimento, inoltre, a diversi casi di fraternizzazione di soldati serbi con i rivoluzionari ungheresi, cosa che fece temere agli ufficiali serbi l’ammutinamento delle loro truppe.

La Federazione comunista balcanica

Prima della guerra i partiti socialisti dei Balcani (Serbia, Romania, Bulgaria, Grecia) avevano formato una Federazione comunista balcanica allo scopo di lottare contro gli antagonismi nazionali e di promuovere l’idea di una Federazione dei popoli della regione. La terza Conferenza socialista balcanica tenutasi a Sofia nel gennaio 1920 (le precedenti si erano tenute nel 1910 e nel 1915), decise di aderire all’Internazionale Comunista con il nome di «Federazione comunista balcanica». Ecco uno dei punti della risoluzione di adesione all’Internazionale:

«3. La situazione dei popoli balcanici provocata dalla guerra, e che ha causato in tutta la vita economica della penisola dei cambiamenti radicali, è caratterizzata, da un lato, da una colossale concentrazione di capitali, da una monopolizzazione senza precedenti di tutti i mezzi di produzione industriale e di scambio commerciale e da accanite lotte per contrasti di interesse, e, dall’altro, dalla rovina economica e dalla carestia, dalla miseria e dal completo sfinimento delle masse operaie. I partiti balcanici non ce la fanno a migliorare questa situazione tanto penosa e a soddisfare gli enormi bisogni delle masse operaie.
Questo stato di cose fa pesare sugli Stati balcanici la minaccia di un fallimento finanziario che sarà la conseguenza della guerra, dell’insostenibile fardello degli enormi debiti pubblici e delle pesantissime condizioni finanziarie imposte loro dalle grandi potenze imperialiste dell’Intesa. Divisi, molto ostili fra di loro, completamente dipendenti dagli Stati imperialisti dell’Intesa, i paesi balcanici non possono, all’interno dei limiti territoriali e su base capitalistica, risollevare la loro vita economica senza l’intervento del capitalismo europeo. (…) Se vi aggiungiamo la ridotta dimensione dei territori, il gran numero di problemi nazionali inestricabili e le forme di amministrazione reazionarie e impregnate di violenza di cui si serve la borghesia balcanica, si può comprendere la grave e difficile situazione in cui si trovano i popoli balcanici e dalla quale non possono uscire a causa della loro disgregazione. Ma, d’altraparte, è impossibile per loro fondersi in una federazione di Stati finché la borghesia rimane al potere, finché persevera nella sua megalomania, a causa degli ostacoli creati in tutti questi paesi dalle dinastie, dalla monarchia e dal militarismo.
Questa congiuntura alla quale i paesi balcanici devono la loro difficile situazione e lo sviluppo del movimento comunista, in presenza di rivoluzioni in Europa, porteranno i partiti comunisti e socialisti dei Balcani a impadronirsi molto presto del potere politico, a istituire la dittatura del proletariato, appoggiandosi sui Soviet operai, contadini e di soldati rossi, e a creare una Repubblica Socialista dei Soviet dei Balcani.»[3].

• • •

L’occupazione della Serbia da parte dell’Austria nel 1915 aveva posto fine all’esistenza del partito socialista serbo, che poté ricostituirsi solo nel 1918, dopo la fine della guerra mondiale. Il 25 aprile del 1919 fu organizzato a Belgrado un Congresso di fondazione del Partito Socialista Operaio Yugoslavo, sezione dell’Internazionale Comunista, tramite la fusione dei partiti socialdemocratici del nuovo Stato. Le influenze e le pratiche socialdemocratiche erano ancora fortemente presenti nel PSOY. Ma al Congresso successivo, a Vukovar (20–25 giugno 1920), la corrente «centrista», che era alla direzione, fu battuta; vennero adottate posizioni più vicine al comunismo rivoluzionario, come l’abbandono dell’organizzazione di tipo federale che rifletteva le divisioni nazionali a favore di un’organizzazione centralizzata, e il partito prese il nome di Partito Comunista Yugoslavo.

Non abbiamo qui la possibilità di seguire nei particolari i rischi della formazione di questo partito, la sua azione di fronte ad una continua repressione e le sue lotte politiche interne; lotte interne che furono inasprite dalle direttive ambigue dell’Internazionale, in particolare sulla questione nazionale. Ma per concludere la breve traccia che abbiamo dato di questa viva tradizione internazionalista che la controrivoluzione ha cancellato dalle memorie, e che la schiacciante maggioranza dei pretesi rivoluzionari è incapace oggi di indicare ai proletari di Serbia, del Kosovo e degli altri Stati borghesi dei Balcani, è istruttivo ripubblicare il testo che segue.

Piattaforma del Partito Operaio Indipendente della Yugoslavia

Questo partito fu costituito all’inizio del 1923 per rimediare alla messa al bando del PCY; non riconoscendosi ufficialmente né comunista né legato all’Internazionale, venne tollerato per 18 mesi. Questo gli permise di utilizzare le poche possibilità di lavoro legale esistenti nel reazionario Regno di Yugoslavia, e in particolare in periodo elettorale. Pubblichiamo di seguito il programma elettorale di questo partito. Noi non siamo sostenitori della partecipazione alle elezioni poiché, qualunque siano gli intenti, esse rafforzano le illusioni democratiche fra i proletari; ma se è mai possibile che questa partecipazione abbia una giustificazione quale tribuna per rivolgersi alle masse, questo caso si è verificato nella Yugoslavia di allora dove sui militanti comunisti, sulle organizzazioni proletarie e sui sindacalisti si abbatteva la repressione.

Il lettore vedrà che questo programma elettorale, che farà indietreggiare inorriditi i nostri moderni campioni trotzkisti ed estremisti dell’elettoralismo, non faceva concessioni alle illusioni riformiste, democratiche e parlamentariste. Visi trovano delle formulazioni discutibili, come «fronte unico di lotta dei Balcani», «repubblica operaia-contadina», che possono in parte essere spiegate dalla preoccupazione di evitare a causa della censura e della repressione termini come «Soviet» o «dittatura del proletariato»; ma questo testo, di cui noi non riproponiamo oggi quelle stesse formulazioni, è però assolutamente esente da sciovinismo ed impregnato come di ardente spirito rivoluzionario testimonia lo spirito internazionalista dell’avanguardia proletaria in quel paese a quell’epoca. È a questa tradizione proletaria, a questo spirito internazionalista che il proletariato dei Balcani deve rifarsi.

Piattaforma elettorale contro l’offensiva assolutista e militarista della borghesia serba

«I partiti borghesi e i partiti ‹democratici› dei popoli oppressi hanno mostrato la politica da essi seguita. La loro ‹democrazia› e il loro ‹parlamentarismo› dimostrano che essi non lottano in realtà per la libertà e la solidarietà dei popoli e per il diritto dei lavoratori, ma piuttosto per il potere della monarchia e del militarismo, per il diritto dei capitalisti di sfruttare gli operai e i contadini di tutte le nazioni della Yugoslavia.
Contro questa offensiva assolutista della reazione panserba, è urgente mobilitare larghe masse operaie e contadine e formare il fronte unico contro l’oppressione delle nazioni e lo sfruttamento delle classi. La lotta deve essere condotta per la libertà delle nazionalità e per il potere operaio-contadino repubblicano.
Partecipando alla lotta elettorale, il Partito Operaio Indipendente della Yugoslavia ritiene suo dovere ricordare ancora una volta che non è attraverso la ‹democrazia› e le elezioni che si rovescerà il sanguinario regime della borghesia capitalista e dei proprietari fondiari. Il regime di oppressione delle nazionalità e delle minoranze nazionali, il regime del terrore e dell’assolutismo sarà rovesciato solo dalla lotta armata degli operai e dei contadini. Solo attraverso questa lotta si arriverà a instaurare il potere del proletariato delle città e delle campagne.(…)».

Questo programma elettorale, dopo avere elencato una serie di rivendicazioni economiche e sociali in 17 punti che qui non riportiamo, termina come segue:

«– Per la lotta contro l’imperialismo degli Stati balcanici, per la realizzazione del fronte unico di lotta dei Balcani
– Per l’alleanza volontaria di tutte le nazioni dei Balcani nella Federazione operaia-contadina delle repubbliche dei Balcani
– La lotta per la Repubblica operaia-contadina è l’unico sbocco dalla situazione attuale, l’unica forza capace di difendersi dall’offensiva assolutista e militarista della borghesia panserba»[4].

Notes:
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  1. Cfr. «Bulletin périodique du Bureau Socialiste international», nr. 9, Novembre 1912.[⤒]

  2. Vedi «Le socialisme en Serbie» di Ilija Milkić, Mosca 30 Aprile 1919, in «L’Internationale Communiste», organo del Comitato Esecutivo dell’IC, nr. 3, Luglio 1919, vol. 1, Feltrinelli Reprint, Milano 1967, pp. 335–342. Abbiamo corretto le imprecisioni più grossolane della traduzione. [⤒]

  3. Vedi la «Risoluzione della Conferenza socialista balcanica», Sofia, 15 Gennaio 1920, in «L’Internationale Communiste», cit., nr. 12, Luglio 1920, pp. 2235–2240.[⤒]

  4. Cfr. «La Fédération Balkanique», nr. 1, Vienna, 15 Luglio 1924.[⤒]


Source: «Il Comunista», N° 67, Ottobre 1999

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