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POVERO URANIO… IMPOVERITO


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Povero uranio… impoverito
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Povero uranio… impoverito

Ma quanto si blatera sull’uranio impoverito, trattato come necessario materiale per strumenti di guerra più efficaci ma dai fatali effetti anche per coloro che lo usano allo scopo di vincere più rapidamente e durevolmente guerre che – a dir dei governanti di mezzo mondo – nessuno vorrebbe mai fare.

Dopo l’ecatombe di morti, di mutilati, dopo orribili e tragiche mutazioni genetiche per generazioni, provocate dalle bombe atomiche della maggiore Democrazia del mondo, lanciate a Hiroshima e Nagasaki, con cui gli Stati Uniti piegarono definitivamente il Giappone, i borghesi di tutto il mondo giurarono di non usare mai più mezzi di distruzione così devastanti (lo fecero anche dopo la prima guerra mondiale per i gas). Ma i giuramenti dei governanti borghesi equivalgono a quelli di un qualsiasi mercante che giura di non scostarsi mai dalla lealtà nella guerra di concorrenza sul mercato. In realtà i vincitori della seconda guerra imperialista, americani, inglesi, russi, francesi, spogliata la vinta Germania anche dei suoi scienziati, diedero il massimo impulso alla ricerca scientifica, soprattutto in campo militare. E la ricerca sull’energia atomica, in campo bellico e successivamente in campo civile, fu sostenuta e finanziata per decenni.

Le conoscenze sulla radioattività sono progredite di pari passo con la messa a punto di norme per la radioprotezione. Fin dall’inizio del secolo appena trascorso fu ben chiaro ai radiobiologi che non si potevano applicare alla biologia le stesse leggi della fisica. Ci sono troppe variabili in biologia per poterle controllare tutte.

In un primo tempo si era pensato che gli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti fossero direttamente proporzionali all’energia globale che le stesse radiazioni depositavano. Nacque così il concetto di dose di radiazioni depositata nell’aria dai raggi X, la cui unità di misura è il Roentgen. Ma con l’arrivo sul mercato di elettroni, neutroni, protoni e altri tipi di radiazioni, ci si accorse che il Roentgen non andava più bene. Venneintrodotto allora il rad=quantità di energia assorbita per unità di massa (quando si parla di rad si deve indicare il materiale a cui ci si riferisce). Purtroppo anche il rad non esprimeva una quantità direttamente legata agli effetti biologici in quanto un rad depositato sullo stesso organo del corpo produce nei diversi soggetti effetti biologici quantitativamente e qualitativamente diversi. Il problema sembrò risolto con l’equivalente di dose, la cui unità di misura è il rem.

Veniva così stabilito che una persona esposta ad una dose di 1 rem sarebbe andata incontro ad effetti prevedibili in modo rigoroso. Ma anche il rem non quantificava in maniera univoca l’effetto perché una stessa dose di rem dipende dall’organo investito e dalla intensità delle radiazioni. Fu così necessario affiancare al rem i concetti di effetti prevedibili (non stocastici) ed effetti non prevedibili (stocastici).

Le radiazioni possono essere assimilate a minuscole particelle provviste di elevata energia che, quando attraversano la materia, interagiscono con i nuclei, gli atomi e le molecole della materia stessa. Se la materia attraversata è il corpo umano, queste interazioni a livello nucleare o atomico o molecolare si manifestano con perturbazioni dell’«equilibrio» corporeo, cioè con danni o malattie più o meno gravi. Questi effetti sul corpo umano possono essere distinti in tre categorie:
1) effetti somatici precoci non stocastici: radiodermite, infertilità, cataratta, sindrome acuta da irradiazione; hanno periodo di latenza breve (giorni, settimane), sono dose-dipendenti, e quindi è identificabile una dose soglia;
2) effetti somatici tardivi, stocastici: tumori solidi, leucemie: si manifestano dopo anni, decenni;
3) effetti genetici, stocastici: mutazioni genetiche, aberrazioni cromosomiche; si manifestano nella progenie.
Le ultime due categorie sono del tipo tutto-nulla indipendentemente dalla dose, quindi non è individuabile una dosesoglia. Essendo impossibile prevedere esattamente gli effetti, fu posta, come criterio base della radioprotezione, l’eventualità che si verificasse l’effetto peggiore per la salute, cioè che ad ogni dose corrispondesse un effetto. Dopo le esperienze delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki e del reattore nucleare di Chernobyl[1], per citare solo le più importanti, il «mondo scientifico» prese unanime posizione contro l’utilizzo di sostanze radioattive per uso bellico. Eppure ciò non ha impedito di usare proiettili all’uranio impoverito nelle guerre del Golfo e dei Balcani. A riprova che il «mondo scientifico» è al servizio, volente o nolente, degli interessi del capitale, e in particolare degli interessi dei paesi capitalistici in cui per la ricerca scientifica vengono messe a disposizione più risorse finanziarie. D’altra parte, se la storia delle società umane divise in classi si è evoluta attraverso le guerre, la scienza borghese non poteva e non può evolversi in modo significativo che attraverso le guerre borghesi.

Gli isotopi dell’uranio, tutti radioattivi, presenti ancora oggi in natura sono: 238U, 235U, 234U. L’uranio solubile introdotto nell’organismo viene eliminato in parte attraverso le urine; la parte non eliminata si ritrova nelle ossa dove precipita sotto forma di microcristalli. La tossicità radioattiva dell’uranio naturale è minore di quella chimica che si manifesta nel sangue con una forte precipitazione di proteine, nel rene alterando le cellule tubulari fino a provocarne la morte.

L’uso principale dell’uranio è quello di combustibile nucleare in modo «controllato» per usi pacifici e in modo non controllato per le applicazioni nucleari (bomba nucleare). Gli altri isotopi 232U, 237U e 233U sono ottenuti artificialmente per ridurre il grado di impoverimento del combustibile nucleare.

L’arricchimento dell’uranio, necessario per il suo utilizzo come combustibile, è un processo che prevede varie fasi di lavorazione nelle quali compaiono diverse forme chimiche (il metallo, gli ossidi, alcuni sali come il fluoruro, il cloruro, il nitrato) in diversi stati di valenza e con vari coefficienti di solubilità oltre che in differenti attività specifiche (diverse frequenze e intensità delle radiazioni) e fasi fisiche. La prima di queste reazioni, per citarne una, trasforma l’uranioin esafluoruro (UF6), gas altamente tossico, i cui vapori sono stati responsabili della morte entro pochi minuti di alcuni operatori e, in altri, della paralisi del sistema nervoso centrale. Il danno cui può andare incontro l’organismo con un uranio così prodotto è complesso in quanto i diversi componenti agiscono con meccanismi del tutto differenti sia in base alla loro natura sia in base alla via di introduzione.[2]

Per ogni unità di uranio arricchito si ottengono nove unità di un prodotto di scarto che ha una radioattività di circa il 40 % inferiore a quella dell’uranio naturale, con una densità simile al tungsteno e che per di più costa pochissimo. Questo scarto di produzione è l’uranio impoverito (Depleted Uranium, o DU).

Le pubblicazioni sui possibili effetti biologici del DU sono centinaia; di queste soltanto una trentina hanno un valore «scientifico». Questi studi dimostrano che durante la Guerra del Golfo del 1991 i bambini iracheni hanno riportato malattie devastanti dovute al sommarsi di più cause concomitanti: stress, infezioni, medicazioni, esposizione ad agenti chimici e biologici dello stato di guerra, tossicità chimica del DU e, soprattutto, depressione del sistema immunitario (sistema deputato alla difesa dalle malattie)[3]. Uno studio con modelli matematici della quantità di radiazioni ionizzanti presenti a guerra finita dimostra che una particella di DU del diametro di un micron ha un raggio di azione di 10 Km, che il DU emette più tipi di radiazioni (ognuna con effetti differenti) cioè alfa, beta (le più pericolose) e gamma, con emivita (tempo di dimezzamento della radioattività) di 7,1 per 10 anni. Se si pensa che nella Guerra del Golfo sono stati sparati 950 000 proiettili al DU, in Bosnia 10 800, in Kosovo 31 000, ci si può fare un’idea del danno ambientale subito da queste aree geografiche, e dei danni alla vita umana per generazioni. La presenza ubiquitaria nel terreno e nelle falde acquifere del DU depongono, infatti, per la sua entrata nella catena alimentare.

In un altro studio si riporta che il 10 % dei soldati americani durante la Guerra del Golfo ha presentato astenia, dolori muscolari e articolari, perdita dell’equilibrio, sintomi sensoriali, manifestazioni nervose, diarrea, disfunzione renale, disturbi della sudorazione, della respirazione e gastrointestinali, malattie cutanee. Anche in questo caso si attribuiscono i suddetti sintomi a più cause: pesticidi, organofosfori, insetticidi e DU[4]. Inoltre, in una pubblicazione più recente, si dimostra che a 10 anni di distanza, i veterani presentano livelli tossici di DU nelle ossa(in alcune ossa è presente il midollo osseo dove hanno origine le cellule del sangue, e quindi vi è la probabilità di una possibile trasformazione leucemica), nel rene, nel polmone, nell’apparato genitale, nell’intestino[5].

Il quadro ora descritto viene chiamato Sindrome del Golfo che sarebbe simile alla sindrome descritta recentemente per la Guerra dei Balcani, per cui anche in seguito a questa guerra si parla di Sindrome del Golfo. In definitiva la scienza ufficiale ammette la tossicità chimica del DU in concerto con altre cause ma, per quanto riguarda la sua tossicità radioattiva, assume una posizione agnostica riservandosi di pronunciarsi dopo ulteriori, approfonditi e lunghi studi… Forse si dovranno aspettare altre guerre radioattive per studiare il DU! Sovviene un detto dei nostri nonni: mentre i medici studiano… il malato muore.

Si può azzardare l’ipotesi che un proiettile al DU quando viene sparato, acquistando energia cinetica, emetta una quantità maggiore di radiazioni e per di più al momento dell’impatto con carri armati di fabbricazione russa, in dotazione all’esercito serbo, i quali a loro volta presentano uno strato protettivo al DU, inneschi una piccola reazione nucleare con liberazione sia di plutonio radioattivo (239Pu), i cui effetti tossici sono più pericolosi dello stesso DU, sia di 232U che ha la più grande attività specifica (maggiore frequenza e intensità delle radiazioni) di tutti gli isotopi artificiali dell’uranio.

In effetti, la radioattività è un’attività dinamica; l’attività di un radioisotopo varia col tempo, il valore di attività che si attribuisce ad un radioisotopo è sempre una quantità media, calcolata sul tempo di misura[6]. Inoltre, non tutte le nazioni accettano le stesse norme per la misura delle radiazioni e non tutti gli scienziati si tengono al corrente di campi specifici che non siano quelli pascolati da loro stessi. In definitiva, la radioattività misurata a cose fatte sarebbe diversa da quella che si rileverebbe durante l’impatto tra proiettile e bersaglio. Purtroppo, per quest’ultimo tipo di radioattività, prendendo per veritiere le affermazioni degli organi militari, non ci sono tuttora strumenti di misura idonei. Se la suddetta ipotesi fosse confermata, il tempo di latenza per la comparsa dei tumori (leucemie) potrebbe essere molto più breve. I casi, quindi, di leucemie, riscontrati prima di tutto su soldatiamericani nella prima Guerra del Golfo, e poi su soldati canadesi, inglesi, italiani che fecero parte dei contingenti cosiddetti di «pace» a guerra di Bosnia o di Kosovo finita, potrebbero perciò essere collegati direttamente a questo tremendo cocktail di DU e agenti chimici di varia natura.

E qui ci si riferisce a media occidentali che sistematicamente si disinteressano dello stato di salute delle popolazioni che dagli eserciti occidentali sono state bombardate. Non è dato di sapere la dimensione degli effetti sui bosniaci, sui kosovari, sui serbi, sui croati, della guerra «pulita» degli imperialisti occidentali; come non è dato di sapere la dimensione vera della tragedia che sta passando da almeno 10 anni la popolazione irachena che alla repressione e allo sfruttamento bestiale della propria borghesia e dei capitalisti di casa si è vista aggiungere embargo occidentale e bombardamenti al DU: la morte per fame e per mancanza dei medicinali più elementari è il presente e il futuro che l’imperialismo occidentale nei suoi giochi di potenza le riserva.

D’altronde, le conoscenze degli effetti biologici delle radiazioni ionizzanti sono relativamente maggiori di quelle degli effetti dei prodotti chimici che, va sottolineato, sono molto più deleteri per l’organismo umano. Inoltre, negli ultimi 10/15 anni le riserve finanziarie, messe a disposizione per gli studi sui danni da radiazioni, hanno subito in tutti i paesi a tecnologia avanzata, una notevole decurtazione. I fondi per la ricerca sono limitati ed è naturale che le mutevoli disponibilità degli enti finanziari a sostenere i progetti di ricerca fanno sì che in ogni momento esistono settori di mercato che «tirano» ed altri no, il cui avvicendamento è indipendente dall’importanza teorica e sociale ma dipende dagli orientamenti della produzione e della riproduzione di capitale.

Vano è appellarsi allo scienziato buono perché aldilà delle buone intenzioni è sempre il mercato che decide. Utopistico è anche attendere che le conoscenze scientifiche progrediscano perché la scienza dovrebbe essere sufficiente per il suo tempo storico. Da altre parti si invoca un controllo più efficiente meravigliandosi che sia sempre in ritardo. In una società che ha come scopo generale ed esclusivo il profitto, l’industria della produzione è costantemente in anticipo rispetto all’industria del controllo, dati gli improvvisi cambiamenti della produzione stessa imposti dalla concorrenza sul mercato. Lo stesso controllo, d’altra parte, è delegato ai poteri pubblici che a loro volta dipendono dall’industria e dalla finanza[7].

Ma l’uranio, in tutta questa faccenda di mercanti, che colpa ha?

Nato sotto buoni auspici nel 1789, aveva trovato un posto sicuro nella Tavola di Mendeleev nel 1871, fu impoverito nel 1939, mandato in guerra nel 1991 e nel 1996. In fondo… in fondo…è simpatico perché sarà costretto a ribellarsi per non passare da criminale e per ritornare quello che era, uranio naturale.

Non c’è bisogno di essere radiobiologi per comprendere che in una società dove non esiste una «pace pulita» è impossibile una «guerra pulita»; è un’acquisizione empirica dettata dall’esperienza che è maestra di vita. Si dovrebbe sperare nel futuro, ma il futuro è passato perché il futuro del capitalismo lo si conosce dai tempi di Marx ed Engels che delinearono scientificamente la traiettoria e la catastrofe della società borghese. Il futuro non sta nello «sviluppo sostenibile» del capitalismo, perché il capitalismo ha già ampiamente dimostrato di non avere alcuna possibilità di modificarsi nel suo sviluppo se non in una sola direzione storica: più si sviluppa la potenza del capitale più crescono i fattori di crisi e di catastrofe generale. Non c’è via di scampo all’interno della società capitalistica, non c’è alcuna sostenibilità se non a prezzi sempre più alti in termini di distruzione dell’ambiente, distruzione della vita. Il futuro del capitalismo è segnato storicamente ed è visibile soltanto attraverso l’analisi marxista: sarà la rivoluzione degli affamati, degli sfruttati, degli schiavi salariati, in una parola, dei proletari a chiudere i conti che la società umana ha aperto con il modo di produzione capitalistico e la classe dominante borghese, e ad aprire agli uomini non più schiavi del lavoro salariato e del capitale la propria storia. Solo allora le scienze saranno finalmente al servizio dello sviluppo della società umana e non più al servizio dell’esclusivo profitto capitalistico.

Notes:
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  1. A. Rindi, M. Quintiliani, M. Di Pofi, «Chernobyl, un anno dopo», «Medicina», volume 7, nn.3/4, Firenze 1987. [⤒]

  2. B. L. Carson, H. V. Ellis III, J. L. Melana, «Toxicology and Biological Monitoring of Metals in Humans», 1986, Lewis, Chelsea, Michigan. [⤒]

  3. «Desert Storm syndrome: sick soldiers and dead children?», «Med War», 1994 Jul-Sep., 10 (3), pp.183–194. [⤒]

  4. «Gulf War syndrome model for the complexity of histological and environmetal in the human health». «Adverse Drug Reactions and Toxicological Reviews» 1998, Mar. 17 (1), pp. 1–17. [⤒]

  5. «Health effect of Depleted Uranium on exposed Gulf War veterans». «Environmental Research 2000», Feb. 82 (2), pp. 168–180. [⤒]

  6. «Mutagenesis», 1998, Nov. Pp.643–648. [⤒]

  7. «Marxismo e scienza borghese». Reprint de «Il Comunista», 1986, pp. 28–33. [⤒]


Source: «Il Comunista», № 75, Aprile 2001

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