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ELEZIONI POLITICHE
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Elezioni politiche
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Elezioni politiche
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«Decidere una volta ogni qualche anno qual membro della classe dominante debba opprimere, schiacciare il popolo nel parlamento: ecco la vera essenza del parlamentarismo borghese, non solo nelle monarchie parlamentari costituzionali, ma anche nelle repubbliche le più democratiche»
(Lenin, Stato e Rivoluzione, Agosto 1917)

Queste parole di Lenin sono sempre di grande attualità.

Nel 1917 il popolo, in Russia e non solo, era rappresentato soprattutto da milioni di contadini poveri e dai proletari delle fabbriche. La rivoluzione antizarista doveva ancor farla finita con la zar e l'aristocrazia; ci volle la rivoluzione d'Ottobre per chiudere i conti con lo zarismo e per aprire i conti storici con la stessa giovane borghesia russa e con la giovane democrazia parlamentare russa.

In Europa e nei paesi industrializzati, i contadini poveri trasformatisi in proletari per la maggior parte sono parte integrante della classe proletaria, e non c'erano e non ci sono conti da regolare da parte delle vecchie borghesie con il feudalesimo; in verità non c'erano nemmeno negli anni Venti e Trenta con i fantasmi feudali del Mezzogiorno italiano di ordinovista memoria. I conti da regolare, da quel dì, sono direttamente con la borghesia e con la sua democrazia, liberale o fascistizzata che sia.

Le elezioni democratiche e parlamentari da più di centocinquant'anni hanno dimostrato sempre più di rappresentare esclusivamente gli interessi di dominio politico della borghesia già dominante.

Il parlamento, vero e proprio mulino di parole, non è mai stato, in realtà, il luogo in cui le classi antagoniste della società capitalistica mediassero i loro interessi a favore dell'intera comunità della nazione.
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Nei parlamenti non si fa che chiacchierare, con lo scopo determinato di turlupinare il 'popolino'» (Lenin).
Non è mai stato il luogo dove la classe dominante prende le vere decisioni. È sempre stato il luogo in cui venivano discusse ed emanate leggi e direttive che rafforzavano, e rafforzano, il potere economico e politico della classe dominante borghese. Tutt'al più, di volta in volta, una fazione borghese riusciva a strappare ulteriori privilegi rispetto ad un'altra fazione borghese. E la presenza, e l'attività parlamentare, dei partiti «operai» non faceva che alimentare la mistificazione della democrazia per eccellenza: lo Stato al di sopra di tutte le classi.

Lo Stato non è mai al di sopra delle classi; è espressione diretta del dominio di una classe su tutte le altre.
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Lo Stato è il prodotto e la manifestazione degli antagonismi inconciliabili tra le classi. Lo Stato appare là, nel momento e in quanto, dove, quando e nella misura in cui gli antagonismi di classe non possono essere oggettivamente conciliati. E, per converso, l'esistenza dello Stato prova che gli antagonismi di classe sono inconciliabili» (Lenin).
Ciò nondimeno, lo Stato, per svolgere al meglio la sua funzione, si pone al di sopra della società e si estranea sempre più da essa (Engels). L'ordine creato dallo Stato borghese è un ordine che legalizza e consolida l'oppressione della classe dominante sulle classi proletarie, e che tende a moderare il conflitto fra le classi. Per i democratici piccoloborghesi, l'ordine è invece la conciliazione fra le classi e non l'oppressione di una classe da parte di un'altra;
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attenuare il conflitto vuol dire per essi conciliare e non già privare le classi oppresse di determinati strumenti e mezzi di lotta per rovesciare gli oppressori» (Lenin).

La borghesia ha maturato una sua intelligenza di classe, e di classe dominante soprattutto. Essa, pur constatando che l'arma delle elezioni col tempo, e con l'accumulo di milioni di episodi di corruzione e mancato benessere per le classi oppresse, perde la lucentezza e la presa dei primi decenni, sa d'altra parte che può continuare ad usarla finché riesce a trascinare su questo terreno di conciliazione sociale buona parte del proletariato. E sa che per trascinare il proletariato ai seggi elettorali per votare ha sempre bisogno delle forze organizzate dell'opportunismo e del collaborazionismo riformista. Distogliere il proletariato dalla difesa classista dei suoi interessi immediati significa, per la borghesia, distogliere il proletariato dalla difesa classista dei suoi interessi più generali e politici. Dunque, più il proletariato abbassa la testa e va a votare per qualche membro della classe dominante che continuerà ad opprimerlo nello sfruttamento salariale, nella disoccupazione e nella miseria, più il proletariato devia dalla sua strada indipendente di classe, più il proletariato segue le mistificazioni piccoloborghesi sulla conciliazione fra le classi e sullo Stato al di sopra della società.

Ma, «se lo Stato è un prodotto dell'inconciliabilità degli antagonismi di classe, se esso è una forza che sta al di sopra della società e che 'si estranea sempre più dalla società', è evidente che la liberazione della classe oppressa è impossibile non soltanto senza una rivoluzione violenta, ma anche senza la distruzione dell'apparato del potere statale che è stato creato dalla classe dominante e nel quale questa 'estraneazione' si è materializzata» (Lenin).

Lo Stato, quindi, è strumento di dominio della classe economicamente più potente che, per mezzo di questo dominio economico, diventa la classe anche politicamente dominante; la classe borghese dominante acquisisce perciò un nuovo strumento, politico e nello stesso tempo militare, per tenere sottomessa e sfruttare la classe oppressa. Lo Stato borghese è il comitato d'affari e di difesa degli interessi generali della classe dominante borghese. È per questo motivo che non può essere utilizzato, come pensano invece i democratici piccoloborghesi, dalla classe proletaria per ottenere un rivolgimento interno alla società. I cambi della guardia, al governo, e quindi nell'apparato del potere statale, sono funzionali esclusivamente alla difesa degli interessi generali della classe dominante borghese, e del capitalismo su cui essa poggia il suo potere politico.

La repubblica democratica, anche la più democratica possibile, come afferma Lenin, non sfugge a questa legge. Tutti coloro che propagandano e diffondo nelle file proletarie la speranza che un cambio di governo possa davvero liberare il proletariato dallo sfruttamento salariale e dall'oppressione borghese, non fanno che alimentare la mistificazione democratica. I governi Prodi, D'Alema, e poi Amato, governi di centrosinistra che hanno allineato le forze della cosiddetta sinistra, anche di Rifondazione comunista benché recalcitrante, se mai ce ne fosse stato bisogno, hanno dimostrato esattamente quel che affermava Lenin, e prima di lui i fondatori del socialismo scientifico, Marx ed Engels: La repubblica democratica è il miglior involucro politico possibile per il capitalismo, poiché fa convergere alcuni fondamentali metodi borghesi di difesa e di realizzazione dell'onnipotenza della ricchezza: la corruzione diretta dei funzionari statali, l'alleanza tra governo e Borsa, la corruzione indiretta del proletariato.

Come farà il proletariato a sottrarsi a questo abbraccio mortale rappresentato dalla democrazia e dal parlamentarismo; come farà a sottrarsi alla corruzione democratica che affievolisce e stempera i conflitti che gli antagonismi sociali inevitabilmente fanno emergere; come farà a ritrovare una via d'uscita e ad imboccare la strada maestra della lotta contro l'oppressione salariale e poliziesca della borghesia dominante?

Dovrà fare come fecero le generazioni proletarie precedenti, di tanti anni fa: imboccare la strada della rottura sociale, accettare la pressione degli antagonismi di classe come la spinta storica necessaria per sottrarsi definitivamente dall'influenza mefitica, asfissiante e paralizzante dei mezzi e dei metodi democratici ed elettorali, organizzare le proprie forze in modo indipendente dagli apparati e dalle politiche della borghesia e delle organizzazioni del collaborazionismo riformista, e scendere sul terreno dell'aperta lotta di classe in difesa non di falsi rappresentanti «operai» o, peggio, «comunisti» nel parlamento borghese, ma degli interessi immediati che sono innanzitutto le condizioni di vita e di lavoro. I proletari eleggeranno nelle proprie organizzazioni di difesa immediata i propri rappresentanti più combattivi e avanzati non per inviarli al parlamento borghese, ma perché si prendano la responsabilità di guidare la lotta classista contro le classi borghesi, contro i padroni e i loro alleati, sul terreno dello scontro di classe.

Il rifiuto dell'elettoralismo e del parlamentarismo non significa, per i comunisti rivoluzionari, la semplice astensione di protesta, né tanto meno il disinteresse verso le questioni politiche. Significa porsi un'alternativa, e porre al proletariato l'unica alternativa efficace nella lotta contro l'oppressione salariale: organizzare le forze proletarie per difendere i propri interessi di classe immediati e, con ciò, difendere i propri interessi di classe futuri. Se i proletari non sono in grado di prendere nelle proprie mani le sorti immediate delle loro condizioni di vita e di lavoro, tanto meno saranno in grado di assumersi il compito di liberarsi definitivamente dall'oppressione salariale e dal capitalismo attraverso la rivoluzione e l'abbattimento dello Stato borghese. Ecco perché il primo passo da fare è rompere con la complicità democratica ed elettoralistica, ponendosi sul terreno della lotta di classe.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE (IL COMUNISTA)

Source: «Il Comunista», n° 75, Aprile 2001

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