Una conquista così chiara e solida nel campo teorico e politico come la sistemazione della questione dello Stato in Marx Engels e Lenin – talché nel primo dopoguerra sembrava che il movimento comunista rivoluzionario dovesse lavorare su questioni di organizzazione e di tattica, ma mai più su questioni di programma – è seriamente compromessa quando si può permettere di dirsi esponente di partiti marxisti e leninisti chi prospetta e propone nel campo nazionale una intesa programmatica coi partiti borghesi sul piano della «costituzione»; sul piano internazionale una collaborazione storica e sociale tra Stati «proletari» e Stati capitalistici.
I nostri testi di base fanno anzitutto giustizia della visione dello Stato propria delle concezioni teocratiche ed autoritarie, e di quella propria delle vedute immanentistiche democratico-borghesi.
Entrambi i sistemi pongono a traguardo di tutta la corsa del pensiero e della storia la edificazione dello Stato perfetto ed eterno.
Nel Vecchio Testamento quale è ancora dogmaticamente accettato dalle chiese prevalenti in gran parte del mondo avanzato, lo stesso Padre Eterno è mobilitato a dettare a Mosè una vera e propria Costituzione per il popolo eletto in tutti i suoi dettagli. Nella organicità di questo sistema chiesa, giustizia, Stato ed esercito formano tutt'uno, sono perfino tracciate la statistica e la divisione amministrativa del territorio geograficamente definito, e le norme per passare a fil di spada i vecchi occupatori se non intenzionati a sgomberarlo. Verrà poi il cristianesimo ad allargare i confini del popolo eletto a tutta l’umanità, a distinguere la città di Dio dalla città di Cesares, la gerarchia sacerdotale da quella militare, ben guardandosi però dal rinnegare le norme di autorità di dominazione e di sterminio del primo e massimo dei profeti.
Nei nuovi sistemi del moderno critico pensiero borghese il dogma e l’autorità da rivelazione vengono scossi, ma fra tanti miti quello dello Stato rimane intatto e ancora più ossessionante. Da Lutero ad Hegel ad Hobbes a Robespierre si levano le definizioni del nuovo Leviatano, che Marx Engels Lenin verranno a deridere scarnificare e demolire: «realtà dell’idea morale» – «immagine e realtà della ragione» – «realizzazione dell’Idea», frasi che Lenin assimila a quella di «Regno di Dio sulla terra» nei reiterati violenti attacchi alla ignobile «superstizione dello Stato».
«Lo Stato è un prodotto della Società in una certa fase del suo sviluppo» (Engels). Lo Stato compare quando la società si divide in classi economicamente antagoniste, quando appare la lotta di classe. Lo Stato «è la macchina per l’oppressione di una classe su di un’altra» (Marx).
In tutti i paesi capitalistici, in qualunque parte del mondo e in qualunque periodo della loro storia, non potendovi essere capitalismo senza lotta di classe, questa macchina è presente, ed ha la stessa funzione di esercitare la «dittatura della borghesia» (Lenin) tanto nella monarchia come nella più democratica delle Repubbliche (Marx).
Diciamo una volta ancora che in questa nostra costruzione lo Stato della borghesia capitalistico non è l’ultima macchina statale della storia (come mostrano di pensare gli anarchici). La classe operaia non può «utilizzarla» (come sostengono tutti i riformisti ed opportunisti), deve «infrangerla», e deve costruire un nuovo Stato nella dittatura rivoluzionaria del proletariato.
Questo Stato operaio, dialetticamente opposto allo Stato capitalistico, andrà, nel corso della costruzione della economia comunista, dissolvendosi, sgonfiandosi, deperendo, fino a scomparire.
Si torni ora al processo storico di sviluppo del presente, concreto Stato capitalistico per vedere il suo corso storico, in attesa che si consumi secondo la visione marxista il suo affossamento, ed in seguito anche l’affossamento dello Stato senza aggettivi.
Lo Stato capitalistico, sotto i nostri occhi di generazione straziata da tre paci borghesi a cavallo di due guerre universali imperialistiche, spaventosamente si gonfia, assume le proporzioni del Moloch divoratore di immolate vittime, del Leviathan col ventre gonfio di tesori stritolante miliardi di viventi. Se veramente si potessero come nelle esercitazioni della filosofica speculazione personalizzare l’Individuo, la Società, l’Umanità, tutto l’orizzonte dei sonni di questi esseri innocenti sarebbe coperto dall’Incubo statalista.
Di questo Mostro pauroso noi (che al nostro Stato rivoluzionario prevediamo la dissoluzione graduale, l’Auflösung) di tempesta in tempesta attendiamo invece la Sprengung calcolata da Marx, la paurosa, ma luminosa Esplosione.
La nostra rivendicazione non è dunque quella di chiedergli di ingentilirsi, assottigliarsi e ridarsi una «linea» umana, ma di affrettare, sotto la pressione delle sue leggi interne inesorabili, e del loro odio di classe, la sua orribile enfiagione.
La inflazione dello Stato ha nel mondo modernissimo due direzioni, quella sociale e quella geografica, territoriale. Sono intimamente connesse. La seconda è fondamentale. Stato e territorio sono nati insieme. Engels nell’Origine della famiglia della proprietà e dello Stato dice infatti: Lo Stato in primo luogo si distingue dinanzi all’antica organizzazione della gens della tribù o del clan, per la ripartizione della popolazione secondo il territorio.
Ciò vale per lo Stato antico, per quello feudale, per quello moderno. Se Mosè dittatorialmente diede ad ognuna delle dodici tribù una precisa e sconfinata provincia della promessa terra di Israele, se Papi ed Imperatori investirono i Signori medievali di Terre e di Vassalli, i moderni civili e democratici Stati di oggi smistano tra i territori masse di popolazione come mandrie di bestie da lavoro, maneggiano come stock di merci folle di prigionieri di guerra, di internati politici, di profughi dalle invasioni, di rifugiati senza terra, di proletari emigrati; il Peplo della Libertà cui bruciano incensi è ormai intessuto di filo spinato.
Quanto alla estensione del territorio, il mondo antico ci presenta piccole unità statali ridotte alla città e grandi Imperi derivati da conquiste militari, il Medio Evo ci mostra piccoli autonomi Comuni e grandi complessi statali. Il mondo capitalistico offre, invece, la decisa ininterrotta concentrazione su estensioni immense delle unità statali, e la dominazione sempre più totale delle grandi sulle piccole.
Questo processo è del tutto parallelo all’aumento di ingerenza della macchina statale in tutte le fasi della vita delle popolazioni cui sovrasta, al diffondersi di tale influenza dal campo politico, di polizia, giuridico, sempre più esplicitamente e soffocatamente a quello sociale, economico e fisico.
Già in «Stato e Rivoluzione» (Cap. II Par. 2) Lenin dà di tale processo interno una decisiva analisi riferita a tutti i paesi d’Europa e di America, e soprattutto ai più parlamentari e repubblicani.
«In particolare l’imperialismo, epoca del capitale bancario, epoca dei giganteschi monopoli capitalistici, mostra lo straordinario rafforzarsi della 'macchina dello Stato’ e la inaudita crescenza del suo apparato amministrativo e militare, in seguito al rafforzarsi della repressione contro il proletariato, tanto nei paesi monarchici che nei più liberi paesi repubblicani».
Parole scritte nel 1917.
La sostanziale menzogna della costruzione giuridica e politica propria della dominante borghesia non può meglio essere posta in evidenza che con il ricordare la presentazione delle due guerre mondiali come lotte per le rivendicazioni di autonomia e di libertà di individui, di gruppi etnici e nazionali, di piccoli Stati nella loro sovranità illimitata. Si è invece trattato di tappe gigantesche e sanguinose nella concentrazione del potere statale e della dominazione capitalistica.
Nella teoria del diritto borghese come sono salve all’individuo singolo una serie di illusorie prerogative di fronte al pubblico potere nel pensare, parlare, scrivere, associarsi, votare, in qualunque direzione – non nel mangiare! L’affamato potrebbe scegliere quella del desco cui siede il disinteressato corpo dei Soloni! – così è affermato che entro nei propri confini territoriali, girino essi dieci o diecimila chilometri, ogni Stato è sovrano e può amministrarsi come vuole.
Ma già nel quadro roseo e madreperlaceo della fine Ottocento si distingueva tra Grandi e Piccole Potenze. Lasciando stare l’America che «non faceva politica estera» in Europa se ne avevano sei, Inghilterra splendidamente sola, Russia e Francia nella Duplice Alleanza, Germania, Austria-Ungheria e Italia nella Triplice. In Oriente cresceva la forza del Giappone aspirante a controllare l’Asia, come già la falsa maltusiana America del Nord diffondeva la sua egemonia su quella del Centro Sud. Volta a volta già la storia aveva ridotto al rango di ex-potenze Svezia, Spagna, Portogallo, Olanda, Turchia…
A sentir le chiacchiere, esplose la guerra non già perché i più forti Stati capitalistici avessero fame di più vasti imperi e mercati, ma perché la sovranità di un piccolo libero Stato, la Serbia, era stata offesa dalla tracotanza del dispotico impero di Vienna.
La sconfitta dei tedeschi eliminò due potenze mondiali e la Rivoluzione Russa ne mise fuori causa una terza nel sistemare la pace. La bugiarderia liberale proclamò ai quattro venti la autodecisione delle piccole nazionalità e la liberazione delle genti oppresse. I cinque grandi Stati militari vincitori permisero la nascita, in apparenza, di piccole potenze nuove, più o meno storiche, nella vecchia Europa, non mollando tuttavia un chilometro quadrato dei loro propri imperi su genti della più varia lingua e colore. Polonia, Cecoslovacchia, Croazia e Slovenia (unite alla Serbia), Albania, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania furono costituite in Stati «sovrani».
In effetti tutta questa pleiade di staterelli, in uno a quelli tradizionali, per i motivi e i caratteri del moderno organamento produttivo e mercantile mondiale, non servirono che a formare costellazioni di satelliti per le egemonie che tentavano di sorgere. Francia ed Inghilterra fecero in questo campo le loro prove dividendosi in sfere di influenza l’Europa centro-orientale, concordi tuttavia negli attentati alla Russia proletaria di allora; la stessa Italia scese in tale campo col successo ben noto, mentre negli Stati Uniti nell’Ovest e il Giappone nell’Est seguitavano a slargare i limiti visibili ed invisibili della propria dominazione.
Alla vigilia della seconda guerra generale era già chiaro, sia per l’ulteriore evoluzione monopolistica del grande capitalismo, sia per quella della tecnica militare che sempre più richiedeva masse di mezzi economici formidabili, che ogni Stato avente pochi milioni di abitanti non poteva esercitare alcuna autonomia economica diplomatica o militare e doveva porsi nell’orbita e nella soggezione di uno più grande. Risorgeva intanto la Germania e seguendo la legge storica generale – non inventandola come si faceva credere agli allocchi – riassorbiva i pezzi rimasti del dissolto Impero Austro-Ungarico (che, sia detto tra parentesi, se aveva la peggiore letteratura aveva pure la migliore più seria e più onesta amministrazione contemporanea). La Russia svolgendo un ciclo storico del massimo interesse partito dalla rivendicazione delle autonomie nazionali nel pieno della lotta tra vecchio e nuovo regime, si sistemava a sua volta in un potente complesso unitario statale.
Fu così evidente che nel nuovo gioco diplomatico e militare avrebbero contato solo i grossi bestioni statali, i quali solo potevano far conto su forze apprezzabili nella guerra soprattutto dei mari e dell’aria, lunga, ingombrante, costosa a preparare, richiedente oltre che immensi capitali grandi distanze geografiche tra le basi e i confini politici. Ne sanno qualcosa i paesi a popolazione fitta, cioè che hanno anche, con molta popolazione e magari ricchezza, relativa poca estensione. Anche tra le «grandi potenze» di ieri Germania Inghilterra Francia Italia Giappone, con vario esito politico, hanno dovuto subire tremendi pestaggi militari.
Anche questa guerra di più feroce dominazione e concentrazione di potere distruttivo fu presentata come rivendicazione di libertà e sovranità offese dai prepotenti nei «piccini» della storia. Si partì per impedire che Hitler sopraffacesse la libera Polonia, fresca ancora della riattaccatura con la colla democratica dei tre storici pezzi. Fu immediatamente rotta in due e divisa tra i due colossi che la fiancheggiavano. Sparito uno dei due, sta di nuovo in un solo pezzo al servizio di un solo padrone. La peggiore sorte per una romantica, generosa, civile e libera Nazione con la N grande è questa di oggi, la «spartizione in uno».
Gli Stati veramente superstiti sono quelli che hanno vinto nella corsa senza freni all’Inflazione territoriale. Si cominciò ben presto, pur senza rinunciare alla quotidiana litania alla libertà, a parlare di Grandi. Furono Tre, Quattro, Due o Cinque? Importa poco. Erano almeno otto alla partenza della guerra.
I veri Grandi sono quelli che alla vastità del territorio loro proprio e alla numerosa popolazione (per l’effetto di questi dati va seguita la Cina ove veramente vi sorgesse un grande Stato di tipo capitalistico moderno malgrado il profondo ibridismo sociale) aggiungono una vasta costellazione di Satelliti, lasciati a giocherellare colla finzione di Sovranità, mentre il loro personale dirigente è sempre più ubriacato corrotto e comprato nelle case da tè e da cocaina che sono i grandi convegni e consigli politici internazionali.
Caduta l’Italia nel satellitame più vile, Gran Bretagna e Francia vedranno se contentarsi del posto di primo Lord e prima Lady nella Costellazione Americana. Resta dall’altra parte la Costellazione russa, alle prese con qualche pianetino indisciplinato che vorrebbe saltare fuori dalla sfera di attrazione primitiva.
I Grandi Mostri sono così ridotti a due in sostanza. Andranno verso la unificazione col mezzo della Pace o con quello della Guerra? Sarà in ambo i casi tremendo. Ma sarà altrettanto tremendo che per la terza volta, dopo aver ciascuno divorato per metà le grandi e piccole specie zoologiche della carta politica della terra, si aggrediranno reciprocamente accusandosi di voler divorare la sacra libertà dell’ultimo topino.