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ANCORA SULL’INFLAZIONE DELLO STATO


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Ancora sull’Inflazione dello Stato
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Sul filo del tempo

Ancora sull’Inflazione dello Stato

Tanto a mostrare che i marxisti ortodossi radicali, gli archeiomarxisti come dicevano i compagni greci, mentre non si smuovono dalla originaria dottrina per soffiar di bufere o di venticelli a tergo vellicanti, colgono a pieno il senso del moderno svolgersi di questo regime capitalistico duro a morire, l’argomento della contemporanea «Inflazione dello Stato» (№ 38 di «Battaglia Comunista») esigerebbe una completa esposizione sulla base di un riordinamento dei dati di fatto.

Sarebbe però necessario un trattato irto di cifre di documenti e di carte storico-geografiche distanti talvolta pochi mesi, mentre quelle del tempo in cui andavamo a scuola distavano secoli.

Ci limitiamo quindi a pochi esempi relativi ai recenti ed attuali Stati di Europa. La storia di molti di essi fa venire la tentazione non diciamo di romanzarla secondo il vezzo della moda borghese di oggi, ma di esopizzarla, di fonteinizzarla in favolette ove grossi bestioni e innocenti uccellini svolgano i loro dialoghi ammonitori. Sarebbe materia di scherzo, se la tragedia non consistesse nel fatto che mentre tutte le svolte, le trasformazioni, gli sconvolgimenti si attuano tra l’incessante pubblicità che le giustifica secondo la civiltà la redenzione l’elevamento dei popoli, la sovrastruttura reale di questa orgia retorica ci mostra interi territori di gente laboriosa ed ignara schiacciati da cieli di fuoco e di fiamma, carname morto a cumuli, carname vivo gettato nei recinti di prigionia e poi messo in moto verso nuove sedi dettate dai poteri regolatori e vittoriosi, lungo piste di martirio con gli scudisci e le punte di baionette alle reni. Ci sono fasce della lacrimante terra di Europa ove in pochi anni decine di volte la guerra l’invasione il cannone il tritolo e la polizia di guerra hanno macinato i disgraziati abitanti allo scopo proclamato di fabbricare loro una Patria, il mostruoso supremo bene che il dominante Capitale promette ed infligge alle masse che tiene schiave.

Estonia. Piccolo paese sul golfo di Finlandia di 46 mila Kmq, grande quanto Toscana e Lombardia sommate; un milione di abitanti, ossia meno delle Marche. Naturalmente (come per tutti gli altri che citeremo) i pochi borghesi ed intellettuali del luogo spiegano che si tratta di una unità etnografica, una razza a sé di origine ugrofinnica, una lingua definita, con una letteratura, una storia.

Abbastanza per dare diritto a quel milione di contadini ad una serie di deliziose avventure: per secoli dominio degli zar. Nel gennaio 1918 la indipendenza, in piena guerra europea, quale risultato della grande Rivoluzione Russa. Nell’agosto 1940, nel corso della Seconda Guerra ma prima che la Russia vi intervenisse, annessione alla stessa. Nel luglio 1941, all’attacco tedesco alla Russia, parte di un governatorato di guerra della Germania. Colla fine della guerra, «liberazione» dalla occupazione tedesca, ritorno alla Russia. La favola bella è finita.

Lituania. 62 mila Kmq, quanto Piemonte Lombardia e Liguria; 3 milioni di uomini, meno della Toscana. Con la interpolazione di contese e scambi con la Polonia per riavere la capitale storica Vilna, vicende analoghe all’Estonia.

Lettonia. Grande quanto la Lituania o poco più, ma con soli due milioni di abitanti (Marche più Umbria). Indipendente nel novembre 1918 soltanto per volere degli alleati vincitori, che in questi staterelli loro vassalli vedevano punti di appoggio (come prima i tedeschi) contro la Russia allora rossa. Poi stesso gioco dal 1940. Russi-tedeschi-russi. Cala il sipario.

Finlandia. Il sentimentalismo borghese potrebbe dare alla favoletta tinte graziose di leggenda. Il 6 dicembre 1917 è proclamata la indipendenza dopo la lunga oppressione degli zar e le inutili rivolte secolari, per i 4 milioni di abitanti pari quasi a quelli del Veneto, sul gran territorio che la parte artica rende maggiore dell’Italia. Le simpatie dell’Europa borghese vi coltivano l’antibolscevismo intensivo. Tra la distrazione generale la Russia di Stalin nel 1939–40 prova a papparsela. Entusiasmi letterari e di civiltà occidentale a turno in Germania e America per il democratico piccolo esercito che se la cava con una piccola amputazione, ma nella polpa, di 35 mila Kmq e un mezzo milione di abitanti. Questi iniziano un doloroso trasferimento in Finlandia. Nel dicembre 1941 per effetto dei colpi tedeschi alla Russia, serrata a Leningrado, i finlandesi si riannettono i territori e migrano in senso opposto. Alla sconfitta tedesca nuovo attacco russo, nuovo armistizio e nuova amputazione; col trattato di Parigi infatti nel 1947 la Finlandia ha ceduto 45 mila Kmq.

(Altro tema è quello della riconquista di questi paesi sventurati da ponente o da levante, chiuse le guerre ufficiali militari, col gioco politico dei partiti interni, e il gabellamento di questa sporca materia con la «lotta di classe» sia pure nella sua castrata edizione di «riforma sociale di struttura». Facciamo ora qui statistica di chilometri quadrati e animali-uomo, non di filosofie politiche).

Cecoslovacchia. Altra figlia bilingue della guerra 1914–18, si formò al dissolversi dell’impero austriaco con quindici milioni e un territorio di 140 mila Kmq, pari all’Italia del nord, e più. Un terzo non erano né boemi né slovacchi. Nel 1938 la Germania le ritolse senza colpo ferire i Sudeti, dimensioni del Piemonte, boccone da re. Durante la guerra i tedeschi si papparono il resto lasciando una Slovacchia protetta di 38 mila Kmq e 2 milioni e mezzo (Lazio). Vinta la Germania lo Stato del 1918 è risolto con qualche taglietto (alla Russia 7 mila e 11 mila, circa l’Umbria). Consta ora di 13 milioni e mezzo. Satellite russo. Nell’interguerra squisito satellite occidentale. Paese per governi di monsignori sbirri e rivoluzionari rinnegati parecchie volte di seguito.

Ungheria. Altro affare di poema degnissimo e di storia. Nel 1914 unita all’Austria come Stato pari era un po’ più vasta dell’Italia con 21 milioni di abitanti. Il trattato del Trianon la «liberò» tagliandole una serie di fette e restò di 9 milioni, e 93 mila Kmq. Legata alla Germania nel 1938 nel 1939 e nel 1941 grattò da tutti i suoi vicini e nemici tradizionali e si gonfiò a 15 milioni di abitanti. La vittoria del 1946 l’ha ridotta alle ragionevoli misure del Trianon. Un popolo che crepa per indigestione di patriottismo nei secoli in nome dell’Europa civile della Fede della Libertà e chi più ne ha più ne metta. Un popolo che salvò dai Turchi tedeschi slavi e latini, ma che poi era mongolo più di quelli al lume dell’etnografia, e come quelli si era riversato verso le pingui pianure danubiane…

Romania. Altro paese dalla storia geografica fatta a soffietto. Uscita bene dalle due guerre balcaniche e dalla prima guerra europea e col vento in poppa di una letteraria nobiltà latina riuniva 19 milioni e mezzo di uomini di ogni razza. Nel 1940 le cose si mettono politicamente al negativo, i russi grattano Bucovina e Bessarabia, gli ungheresi la Transilvania, i bulgari la Dobrugia. Nel 1941 litigano russi e tedeschi, questi occupano e fascistizzano il paese, e gli fanno riannettere tutto e perfino la «transnistria» quasi fino a Odessa. Viene il 1944 e tutto il contorno è vomitato fuori. Ma nel 1945 si torna ad annettere la Transilvania a danno degli ungheresi. Consta ora di 16 milioni e mezzo e di 237 mila Kmq, quasi grande come la penisola italiana. La storia dei regimi monarchie e repubbliche si regala.

Albania. Felicemente nata nel 1914 tra gli inni alla democratica santa carabina, grande quanto il Piemonte ma con un milione solo di abitanti, nell’aprile 1939 ebbe l’insigne fortuna di unirsi alla corona italica, e nel 1941 in tempo di guerra salì provvisoriamente a danno di Greci ed altri a quasi due milioni. Rimessa dalla vittoria contro l’Asse ai vecchi limiti e ancora libera. Socialmente raggiunto l’alto capitalismo, può vantarsi sulle soglie del socialismo da baraccone.

Jugoslavia. Affare complesso. Nato dopo la guerra per fare da sentinella agli zar riunendo gli «slavi del sud», il Regno S.H.S. comprendeva tre popoli con accessori. Grande quanto l’Italia senza isole, passava i 15 milioni. Durante l’ultima guerra ne ha viste di tutti i colori, fatta in non meno di otto pezzi nell’aprile del 1941, dopo che la faccenda militare-politica aveva avuto una esplicazione classica: in pochi giorni governi parimenti gonfi di «autodecisione» popolare si erano alleati col gruppo di questi e poi col gruppo di quelli. Scesi rapidamente i tedeschi fecero lo Stato a pezzi. Il meglio fico del bigoncio fu lo Stato di Croazia col sabaudo re designato: un centinaiuccio di Kmq e sei milioni e mezzo di abitanti, un po’ più della Lombardia. Il 29 novembre del 1945 la repubblica si è ricomposta nelle stesse dimensioni del 1918; politicamente aspettiamo ancora qualche mese per sapere da quale parte ha la coda e da quale le corna.

Polonia. Dulcis in fundo. Ricostituita dopo la parentesi annosa nel novembre 1918 coi tre pezzi prussiano russo e austriaco, formò un complesso di 34 milioni di uomini su 388 mila Kmq; meno popolazione, più territorio dell’Italia.

Qui l’orchestra che al passo sull’Ungheria aveva bisogno di piangenti violini tzigani può scegliere nella musica più classica la marcia funebre.

O il primo novembre del 1939 che la Germania si annette colla guerra-lampo la parte di ponente, mentre per effetto del patto con la Russia questa occupa il 17 successivo la parte di levante. Per fortuna del montone polacco i due feroci carnivori si azzuffano. Riferiamo queste indicazioni zoologiche ai complessi statali organizzati e ai loro pretoriani: per la massa della popolazione la «fortuna» è altra. La Polonia attuale consacrata il 9–5-45 è più piccola: 24 milioni e 310 mila Kmq. Ma ciò vuol dire poco. La Russia in definitiva si è tenuta 80 mila Kmq e 14 milioni di abitanti, ma dalla Germania sono stati prelevati 103 mila Kmq ove 5 milioni di individui si permettevano di soggiornare. Due milioni e più di tedeschi ne sono stati cacciati via per ficcarli nella Germania vinta e occupata, mentre i polacchi rimasti oltre le frontiere con l’URSS sono stati fatti migrare nella attuale area polacca. Sembra un cattivo sogno in cui si vedano sulle pagine di un Atlante danzare linee e colori impazziti.

Naturalmente non facciamo cenno dei neutrali di professione; Svizzere, Iberie e Scandinavie, che hanno anche visto i loro guai, o li vedranno, e nemmeno dei corpi grossi usciti dalla guerra alla meglio, e col Leone britannico e il Gallo francese lasciamo alle sue vicende il Somaro italiano.

Una sola occhiatina alle cifre di due mostri in Inflazione: la Germania fino a ieri, la Russia oggi.

La statistica della Germania di Versailles presenta 14 tappe di espansione traverso annessioni e conquiste, fino alla rovina. L’impero degli Hohenzollern aveva 65 milioni di abitanti su 540 mila Kmq. Versailles lasciò le cifre praticamente in piedi. In piena guerra vittoriosa, all’agosto 1941, a parte gli immensi territori occupati militarmente e gli Stati satelliti, il Reich si era gonfiato a ben 120 milioni di sudditi. Venuta la sconfitta i tedeschi sono così ripartiti: zona americana 17 milioni, inglese 22, francese 6, russa 17, Berlino 3.

Quanto all’Orso russo, nel 1939 si consideravano 173 milioni di abitanti, nei territori russi e asiatici di cui le cifre cominciano a non avere senso.

Dopo le annessioni ad Occidente si parla di 195 milioni, dopo aver colmato la perdita paurosa di 17 milioni dovuta alla guerra. I territori guadagnati a ponente sono quelli tolti a Finlandia, Estonia Lituania Polonia Slovacchia Ungheria e Romania, un insieme paragonabile in grandezza all’Italia.

Non abbiamo parlato, trattandosi di altri temi, dei tipi di ordinamento centrale o federale, ponendo in evidenza le unità sul piano della forza armata che è assorbente. Nemmeno era il luogo di parlare di imperi oltremare, a proposito dei quali contro qualche apparenza prevale il fatto del concentramento. Nei continenti non europei, l’America tutta tende a divenire un unico Stato sotto l’egemonia di Washington (vedi attitudine nelle guerre europee degli Stati minori). Il Giappone ha seguito il processo della Germania nella invertita corsa alla inflazione. I regimi cinesi rispondono, in fondo, alla esigenza di sostituire sotto la sigla del Capitale un Centro statale unico alla pratica autonomia di cento province nominalmente unite nel Celeste Impero di una volta. La pretesa liberazione dell’India è a sua volta la fine della autonomia di centinaia di principati e sultanati feudali a vantaggio di due centri moderni di burocrazia e di affarismo. E così per tutti i figuranti balordi di colore alla Assemblea delle Nazioni Unite, vero mercato ove si commerciano i popoli e si concia la loro pelle per le borse di cuoio giallo di alcune decine di ruffiani. Scrisse Marx che al lavoratore andato al mercato non restava che essere conciato. L’ONU, non Ilse Koch, ha attuata la profezia.


Source: «Battaglia Comunista», № 41 del 1949

Vedi anche: «Inflazione dello Stato»

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